Una pillola contro la COVID-19

Gli Stati Uniti hanno investito 3,2 miliardi di dollari per la ricerca di terapie pratiche e accessibili per trattare la malattia prima che sia troppo tardi

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Nell’ultima settimana, il governo degli Stati Uniti ha annunciato lo stanziamento di 3,2 miliardi di dollari per lo sviluppo, la sperimentazione e i test di farmaci in grado di trattare le fasi iniziali della COVID-19, in modo da ridurre il rischio di sintomi gravi che rendono necessario il ricovero in ospedale. Insieme ai vaccini, che consentono di prevenire la malattia, questi medicinali potrebbero rivelarsi essenziali per salvare centinaia di migliaia di vite nei prossimi anni, trovando eventualmente impieghi per altre malattie.

L’iniziativa è coordinata dal Dipartimento della salute degli Stati Uniti e ha come principale obiettivo quello di accelerare i test clinici di alcuni farmaci, non necessariamente sviluppati contro la COVID-19, ma che potrebbero comunque avere effetto nel contenere la malattia nelle sue fasi iniziali. Alcune soluzioni potrebbero essere disponibili entro la fine dell’anno, i tempi saranno invece più lunghi per i medicinali ancora in fase di sviluppo.

Mentre la ricerca dei vaccini contro il coronavirus è stata un successo, la sperimentazione dei farmaci per trattare la COVID-19 non ha portato a risultati soddisfacenti. All’inizio della pandemia, quando molti aspetti della malattia non erano ancora noti, i medici avevano tentato diverse strade con i farmaci a loro disposizione, sviluppati per trattare altre malattie. Molte di quelle esperienze non avrebbero portato da nessuna parte, mostrando comunque l’importanza di intervenire il prima possibile dopo un’infezione con sintomi per avere i migliori risultati.

Mentre la maggior parte degli individui guarisce dalla COVID-19 senza particolari problemi, alcuni pazienti sviluppano sintomi più gravi nel caso in cui il sistema immunitario vada fuori controllo, iniziando a danneggiare i tessuti dell’organismo. Spesso questa reazione prosegue anche dopo la fine dell’infezione virale e rende necessario un ricovero in ospedale, con periodi in terapia intensiva per i casi più gravi, che si possono rivelare letali. Intervenire il prima possibile sulla malattia, con un farmaco che blocchi la sua avanzata, è quindi essenziale per evitare danni più seri.

L’unico farmaco finora utilizzato per farlo, con alterni successi, è stato il remdesivir. Sperimentato qualche anno fa per trattare l’Ebola, il farmaco sembra avere qualche effetto quando viene somministrato nelle fasi iniziali della COVID-19. Il suo impiego è stato autorizzato in diversi paesi, anche se molti ricercatori e la stessa Organizzazione mondiale della sanità (OMS) hanno consigliato di non utilizzarlo, prediligendo altri sistemi.

L’uso precoce del remdesivir è del resto complicato dalla necessità di somministrare il farmaco per via venosa, circostanza che rende necessaria l’assistenza del personale sanitario. Non può essere somministrato per via orale, tramite una compressa, perché il suo principio attivo non resisterebbe agli acidi dello stomaco, e non potrebbe essere assimilato correttamente.

Un farmaco sotto forma di pillole che aveva dato qualche segnale incoraggiante era invece il molnupiravir, un antivirale sviluppato un paio di anni fa per contrastare le infezioni da alcuni virus compresi quelli influenzali. La statunitense Merck, una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, ne aveva programmato un test clinico su un gruppo di volontari, ma ha poi rinunciato all’iniziativa quando lo scorso aprile un test tra alcuni pazienti ricoverati non aveva dato gli effetti sperati.

Insieme a un’altra azienda, Merck ha comunque avviato un’altra ricerca lo scorso autunno, dedicata interamente al trattamento precoce della COVID-19, sempre con il molnupiravir. I primi risultati dovrebbero essere disponibili entro l’autunno, ma non è ancora chiaro se porteranno a qualcosa di concreto.

Il governo statunitense ha intanto acquistato 1,7 milioni di dosi di molnupiravir da Merck, spendendo circa 1,2 miliardi di dollari. Se il test clinico dovesse offrire risultati positivi, sarebbero disponibili in tempi rapidi farmaci da distribuire per chi sviluppa i sintomi iniziali della COVID-19.

Le autorità sanitarie statunitensi stanno anche tenendo in considerazione un altro farmaco, che l’azienda farmaceutica Pfizer aveva iniziato a sviluppare per trattare la SARS, e che aveva poi abbandonato quando la malattia era stata contenuta. I ricercatori hanno ripreso lo sviluppo la scorsa primavera, chiedendosi se potesse essere adattata contro la COVID-19. Hanno inoltre lavorato per renderla da farmaco che si somministra in vena a compressa da assumere oralmente. Un test clinico è stato avviato lo scorso marzo per verificare la sicurezza del farmaco, mentre le successive fasi di test per accertarne l’efficacia dovrebbero essere avviate nell’estate.

È in fase di valutazione anche un farmaco, l’AT-527, sviluppato per trattare l’epatite C e che secondo le prime ricerche potrebbe funzionare anche contro gli stadi iniziali della COVID-19. Roche, grande azienda farmaceutica svizzera, ha avviato un test clinico per verificare questa circostanza.

Anthony Fauci, tra i più rispettati immunologi statunitensi e direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive degli Stati Uniti, ha spiegato che l’investimento da 3 miliardi di dollari ha l’obiettivo di rendere più semplice e rapido il trattamento della malattia in modo da ridurre ulteriormente i ricoveri in ospedale, già diminuiti grazie ai vaccini: «Mi sveglio una mattina, non mi sento un granché bene, non sento gli odori e mi fa male la gola. Chiamo il mio medico e gli dico che ho la COVID-19 e che ho bisogno di una prescrizione».

È probabile che i risultati dell’iniziativa non siano immediati, ma secondo numerosi analisti la scelta dell’investimento è una buona strategia per coprire un’area che negli ultimi mesi aveva ricevuto minori attenzioni, rispetto a quella più discussa dei vaccini. Le nuove soluzioni sviluppate potrebbero inoltre rivelarsi utili contro altri virus o eventuali nuove pandemie.

Nel frattempo, i vaccini già disponibili ed efficaci continuano a essere la prima risorsa per ridurre i casi di COVID-19 e, più in generale, la circolazione del coronavirus tra la popolazione.