Gli Oscar del 2001
Vinsero Russell Crowe e Julia Roberts, c'era Donald Trump, era l'anno di "La tigre e il dragone" e del bislacco abito di Björk
Agli Oscar di vent’anni fa, il 25 marzo 2001, il miglior regista aveva 38 anni, il miglior attore 36 e la migliore attrice 33. Erano Steven Soderbergh, Russell Crowe e Julia Roberts. Bob Dylan, vincitore dell’Oscar per la miglior canzone, ne aveva 60. In quella cerimonia – la 73ª nella storia degli Oscar e l’ultima organizzata allo Shrine Auditorium di Los Angeles – il miglior film fu Il gladiatore, che vinse anche altri quattro premi. Ma se la cavarono piuttosto bene anche Traffic e La tigre e il dragone, che ne vinsero quattro a testa. Fu tutto sommato una buona cerimonia, anche se dopo un anno non entusiasmante per il cinema e con ascolti in calo rispetto alle edizioni precedenti. Con qualche storia interessante e con molti volti molto noti. Eppure la sua cosa più ricordata è forse un bizzarrissimo abito a forma di cigno indossato da Björk.
Gli Oscar del 2001 arrivarono un centinaio di giorni dopo che negli Stati Uniti era finalmente stato accertato che le elezioni presidenziali dell’anno precedente le aveva vinte George W. Bush e le aveva perse, di pochissimo, Al Gore. Che sarebbe poi stato protagonista del documentario Una scomoda verità, premiato con l’Oscar nel 2007. Tra il pubblico, a quegli Oscar, c’era anche un futuro (e ora ex) presidente degli Stati Uniti.
Come succede sempre, gli Oscar facevano riferimento ai film usciti nel precedente anno solare, in quel caso il 2000. Un anno che, in termini assoluti andò così così, di certo peggio rispetto all’ottimo 1999. Nel 2000, nel mondo, il film più visto era stato Mission: Impossible II, che non fu candidato nemmeno a un premio. Nella classifica degli incassi mondiali era seguito dal Gladiatore, da Cast Away, da What Women Want e dal film Disney Dinosauri, che era per la gran parte fatto a computer e che con i suoi circa 130 milioni di dollari di budget era stato il più costoso dell’anno.
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In Italia era da poco uscito Chiedimi se sono felice, grande successo di incassi, e mancavano meno di due mesi alle elezioni che sarebbero state vinte dalla Casa delle Libertà, la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi. Il film che l’Italia aveva scelto come suo candidato a quegli Oscar era stato «a sorpresa» I cento passi, che nell’apposita votazione aveva avuto la meglio su Pane e Tulipani, definito dai giornali «il superfavorito della vigilia». Tra i candidati ad altri premi diversi da quello per il miglior film straniero c’era però Malèna di Giuseppe Tornatore: per la fotografia di Lajos Koltai e la colonna sonora di Ennio Morricone.
A scegliere i candidati di ogni categoria e poi a votare per deciderne i vincitori furono circa 5.700 membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l’associazione che assegna gli Oscar e che oggi ha quasi il doppio dei membri. Il gladiatore (diretto da Ridley Scott) si presentava a quella cerimonia con 12 nomination, La tigre e il dragone (film d’azione diretto da Ang Lee) con 10. Seguivano, con 5 nomination ciascuno, Chocolat, Erin Brockovich e Traffic. Tra i tanti con tre o meno candidature c’erano poi Billy Elliot, Il patriota, Il Grinch, Fratello, dove sei?, Pollock e La tempesta perfetta.
I cinque candidati all’Oscar per il miglior film erano Il gladiatore, La tigre e il dragone, Chocolat, Erin Brockovich e Traffic, questi ultimi due diretti da Steven Soderbergh. E sebbene si dicesse che Il gladiatore potesse essere di poco favorito sugli altri, si pensava che fosse un anno senza un forte favorito, in cui ognuno di quei film (fatta forse eccezione per Chocolat) poteva vincere. E infatti le case di produzione e di distribuzione si impegnarono in modo particolare per provare a convincere i membri dell’Academy a votare per loro, in certi casi anche andando oltre il consentito.
Sony Pictures, per esempio, fu redarguita e criticata per aver mandato ad alcuni membri sia una videocassetta sia un DVD di La tigre e il dragone nonostante le regole prevedessero che si potesse fare solo una o l’altra cosa. Sempre Sony Picture ebbe invece l’intelligente (e in questo caso lecita) trovata di organizzare proiezioni del suo film su una ventina di altri set che erano operativi in quei mesi e nei quali lavoravano alcuni membri dell’Academy. I produttori del Gladiatore furono redarguiti per aver organizzato proiezioni californiane del film presentate, tra gli altri, da Russell Crowe (e che quindi si avvicinavano molto a quel tipo di “eventi speciali” vietati dall’Academy) e anche per aver mostrato una statuetta degli Oscar in una pubblicità televisiva del film; quelli di Erin Brockovich furono criticati per aver fatto mettere, in allegato alla rivista di settore Variety, un DVD sul making of del film.
La cerimonia degli Oscar del 2001 durò poco più di tre ore e premiò 23 categorie: rispetto agli Oscar di quest’anno c’erano ancora due categorie per il sonoro e mancava però quella per il miglior lungometraggio di animazione, che sarebbe arrivata solo nel 2002 (e vinta da Shrek). La condusse, per la prima volta, l’attore e comico Steve Martin, dopo che negli anni precedenti alla conduzione si erano alternati Billy Crystal e Whoopi Goldberg. «Se non puoi vincerli, unisciti a loro» disse Martin a proposito degli Oscar. Durante la cerimonia, invece, fece una battuta sulla grande riproduzione della statuetta degli Oscar presente sul palco, dicendo che se fosse stata in Afghanistan i talebani l’avrebbero distrutta, come poco prima avevano fatto con i Buddha di Bamiyan.
Il palco e parte della cerimonia furono una sorta di omaggio a 2001: Odissea nello spazio e a inizio serata ci fu anche un collegamento con l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale, che da pochi giorni aveva preso il posto dei primi tre astronauti che ci avevano vissuto. Un paio di giorni prima era invece stata completata la deorbitazione della Mir, la stazione spaziale che si trovava in orbita dal 1986.
Sul palco degli Oscar salirono tra gli altri Catherine Zeta-Jones, Ben Stiller, Halle Berry, Ben Affleck, Penelope Cruz, Angelina Jolie, Mike Myers, Morgan Freeman, Renée Zellweger, Jennifer Lopez, Anthony Hopkins, Kevin Spacey, Tom Cruise e lo scrittore Arthur C. Clarke, autore del romanzo 2001: Odissea nello spazio.
La fuga degli angeli – Storie del Kindertransport (un documentario su migliaia di bambini e ragazzi salvati dall’Olocausto) fu premiato come miglior documentario. Father and Daughter, un film olandese senza dialoghi e lungo 8 minuti e mezzo, vinse il premio per il miglior cortometraggio d’animazione.
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Il Gladiatore vinse i premi tecnici per costumi ed effetti speciali. Oltre a vincere (ma c’erano ben pochi dubbi) il premio per il miglior film straniero, La tigre e il dragone vinse anche quelli per colonna sonora, scenografia e fotografia. Il premio per la miglior sceneggiatura non originale andò a Traffic, ispirato a una serie tv britannica di fine anni Ottanta. Quello per la miglior sceneggiatura originale andò invece a Quasi famosi, un film con molti tratti autobiografici scritto e diretto da Cameron Crowe.
Russell, l’altro Crowe della serata, fu premiato come miglior attore per aver interpretato Massimo Decimo Meridio, un generale che diventa schiavo che diventa gladiatore. In quella categoria erano candidati anche Javier Bardem, Tom Hanks, Ed Harris e Geoffrey Rush, rispettivamente per Prima che sia notte, Cast Away, Pollock e il non granché ricordato Quills – La penna dello scandalo. Nelle settimane prima della cerimonia si era parlato del fatto che l’FBI avesse sventato un piano per rapire Crowe, e in uno dei suoi monologhi Martin aveva detto che forse il piano era stato orchestrato da Hanks, che dopo aver vinto due Oscar nel 1994 e nel 1995 ci aveva evidentemente preso gusto (dopo quell’anno, tra l’altro, ne passarono 19 prima di una sua nuova candidatura all’Oscar).
Roberts, che era data da mesi come la stragrande favorita nella sua categoria, vinse per aver interpretato l’omonima protagonista del suo film: nel suo lungo discorso dal palco ringraziò un considerevole numero di persone, ma si dimenticò proprio della vera Brokovich (scusandosene ripetutamente in seguito).
Benicio del Toro vinse come miglior non protagonista maschile per il suo ruolo in Traffic, Marcia Gay Harden quello come miglior attrice non protagonista femminile per aver interpretato la pittrice Lee Krasner in Pollock. Fu una sorpresa, perché ebbe la meglio su Judi Dench (per il suo ruolo in Chocolat), su Julie Walters (Mrs. Wilkinson in Billie Elliot) e su Kate Hudson e Frances McDormand, entrambe candidate per Quasi famosi.
Soderbergh – regista di Traffic ed Erin Brockovich, due dei cinque migliori film candidati, e candidato all’Oscar per la miglior regia per entrambi – vinse il premio per la miglior regia per Traffic. Anche in questo caso contro i pronostici, perché si pensava che la doppia candidatura avrebbe potuto portare a una divisione dei voti “per Soderbergh”, che tra l’altro è anche uno dei produttori della cerimonia di quest’anno.
Bob Dylan – che ancora doveva vincere il Pulitzer e il Nobel – vinse per la canzone “Things Have Changed” del film Wonder Boys. Era in tour in Australia e si collegò da Sydney per ringraziare.
Vincendo il premio per il miglior film senza vincerne uno per la sceneggiatura o la regia, Il gladiatore fece qualcosa di piuttosto raro, dato che l’ultimo film a cui era capitato era stato Tutti gli uomini del re, nel 1949.
A guardarli nel complesso, gli Oscar del 2001 – non memorabili nella conduzione e nemmeno per le cose successe sul palco – si fecero notare per quella che già allora fu descritta come una certa globalizzazione del cinema. Sebbene non vinse il premio più importante, infatti, La tigre e il dragone (girato in Cina e con dialoghi in mandarino) ci andò parecchio vicino, e vinse comunque quattro Oscar.
C’erano poi Traffic, girato in parte in spagnolo, e Il Gladiatore, girato tra Africa ed Europa e con una troupe composta da persone che arrivavano da oltre 20 paesi diversi. Erano poi candidati diversi attori non statunitensi: come Javier Bardem e Juliette Binoche, e anche Russell Crowe, nato in Nuova Zelanda e cresciuto in Australia.
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Ma quello per cui molti ricordano quegli Oscar fu un abito a forma di cigno indossato dalla cantante islandese Björk, che tra l’altro rincarò la dose facendo cadere sul red carpet qualcosa di simile a delle uova. Björk – candidata per una canzone di Dancing In The Dark di Lars von Trier, di cui era anche protagonista – si era già fatta notare ai Golden Globe indossando una gonna le cui paillettes ricreavano il volto di Michael Jackson. Ma l’abito degli Oscar – che nel frattempo ha una pagina Wikipedia tutta sua – attirò molte più attenzioni, anche nei giorni successivi alla cerimonia, tra chi lo criticava, chi lo difendeva e chi semplicemente ne parlava perché se ne parlava.
Gli Oscar di quell’anno furono visti negli Stati Uniti e in diretta da 43 milioni di spettatori: il 7 per cento in meno rispetto all’anno precedente e molti meno rispetto al 1998, che in gran parte grazie a Titanic restano i più visti di sempre (nel 2020 la cerimonia fu vista in diretta da 23,6 milioni di spettatori).