Una canzone di Des’ree

Se siete tipi e tipe a cui piacciono le riflessioni sull'amore non troppo prevedibili e posticce

EPA PHOTO/PA/NEIL MUNNS/hh ANSA-CD
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Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Vince Guaraldi era un grande pianista jazz americano, che morì di un infarto a soli 47 anni, e negli Stati Uniti ha una speciale e larga fama per aver composto le musiche di molti film di animazione sui personaggi dei Peanuts (quelle di A Charlie Brown Christmas su tutti) che sono considerate tra i capolavori della musica americana novecentesca. Qui c’è un breve documentario che lo racconta. Quest’estate ripubblicano in un’edizione speciale il disco di A boy named Charlie Brown.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo: “In brevissimo. Figlio di due mesi scarsi, urlante, agitatissimo per coliche e problemi vari della giovanissima età. Per la disperazione, alle sette di sera, mentre lavoro, metto The Beatitudes su Spotify e alzo il computer a palla. All’improvviso, davvero all’improvviso, una parentesi di calma. Allego contributo fotografico (per gli scettici). Grazie, davvero. Luca”
(il contributo fotografico per discrezione lo tengo per me, ma confermo un’espressione di assorta attenzione della creatura e una specie di gioia sfinita della madre)
Oggi sono stato da un barbiere, un distinto e discreto signore che per qualche secondo si è lasciato trascinare dal canticchiare Stand by me che usciva dalla radio: la programmazione non era molto fantasiosa, e subito prima era passata L’anno che verrà, di cui – assorto nell’inerme posa di quello che è dal barbiere – ho goduto ogni geniale verso come se fosse nuovo, prima di rendermi conto invece della strana pigrizia – e occasione sprecata – che Dalla mise nel ripetere la rima di “età” (vi fermo: era una scelta deliberata di ripresa e alternativa? forse, ma non ne valeva la pena, secondo me).
E si farà l’amore, ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo furbi
E i cretini di ogni età

Why should I love you
Why should I love you?
You treat me so bad, you make me glad

Le cose sono sempre complicate.

Why should I love you era nel primo disco di Des’ree, cantautrice pop londinese, che ora ha 53 anni ed è fuori dai giri da tempo, dopo un grosso ma breve successo all’inizio degli anni Novanta con questo disco e il successivo, e i loro singoli (Feel so high e You gotta be, soprattutto). La canzone pone questioni millenarie sulle storie d’amore, con versi che non temono di sconfinare nel gergo processuale, che almeno è un’idea rispetto a cuore/amore o together/forever.

There are few factors that lie in your favor
Yet I’m attracted, oh so distracted

Se siete tipi e tipe a cui piacciono le riflessioni sull’amore non troppo prevedibili e posticce, e che non si fanno spaventare da elementi di logica e razionalità applicati anche nella cosa più illogica e irrazionale di tutte, io consiglio sempre quel libro di Alain De Botton del 2016.
Ma potete anche prenderla con meno impegno e limitarvi a canticchiare, e il cielo vi protegga da altri amori faticosi.

Pride may ruin you slowly, harboring feelings
You never let go
Trying to tell me that I’m in the wrong
Though we’ve been together for so long
There is something there that I need
Yet far away from you I can be free


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