Il democristiano meno democristiano di tutti

Cent'anni fa nacque Fiorentino Sullo, politico perlopiù dimenticato con una lunga storia di conflitti con il suo stesso partito, la DC

di Mario Macchioni

(ARCHIVIO ANSA/DEF)
(ARCHIVIO ANSA/DEF)

C’era un tempo in cui l’Irpinia veniva definita il regno di Fiorentino Sullo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando Ciriaco De Mita era ancora un giovane leader locale con aspirazioni nazionali, Avellino e la zona circostante erano dominate politicamente da un democristiano che amava definirsi «l’uomo dei fatti che nascono dalle idee», un politico per certi aspetti lontano dalle convenzioni della Prima Repubblica: durante la sua lunga carriera, Sullo non esitò a dimettersi da incarichi di rilievo – abitudine poco frequente all’epoca – e negli anni in cui fu al governo tentò di promuovere riforme giudicate in seguito lungimiranti e azzeccate, ma impopolari.

Sullo, che oggi avrebbe compiuto cento anni, non era esente da alcuni modi di fare politica come il clientelismo e l’assistenzialismo. Ma ciò che lo distingueva dal resto dei politici della sua epoca erano le scelte, che portarono alla fine precoce della sua fortuna in politica. Oggi Sullo è un personaggio perlopiù dimenticato e non riceve le attenzioni che si riservano ad altri politici del passato come Andreotti e Craxi. Eppure attorno a lui si è formato negli anni un piccolo culto, alimentato soprattutto dal deputato avellinese Gianfranco Rotondi e nato probabilmente perché la sua storia può ispirare una certa simpatia.

Quando Sullo iniziò a fare politica, negli anni Quaranta, l’Irpinia era una delle zone più arretrate e isolate d’Italia. Il tasso di analfabetismo era al 40 per cento e la stragrande maggioranza della popolazione praticava l’agricoltura con mezzi non molto più evoluti di quelli usati nel Medioevo. Sullo, che era nato a Paternopoli nel 1921 ed era cresciuto a Castelvetere sul Calore, ebbe la possibilità di studiare e andare al liceo Convitto Colletta di Avellino, dove la sua famiglia si era trasferita quando lui aveva 14 anni. I racconti dell’epoca lo descrivono come uno degli allievi più brillanti. Uno dei professori che lo esaminarono alla maturità disse, anni dopo, che con lui si poteva sostenere una «conversazione alla pari».

Il 14 ottobre 2019 l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha partecipato alla cerimonia di apertura delle celebrazioni del centenario di Sullo, al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino. La cerimonia è stata organizzata dalla Fondazione Fiorentino Sullo, presieduta da Gianfranco Rotondi. (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)

Nel 1944 Sullo si laureò in Lettere con il massimo dei voti e nel 1950 prese un’altra laurea, in Giurisprudenza. Nel frattempo conobbe Guido Dorso, allora il più noto politico antifascista di Avellino, e cominciò a frequentare lui e altri notabili avellinesi con cui discuteva soprattutto di sport: «Per parte mia non leggevo altro giornale che quello sportivo», scrisse Sullo in seguito. Nonostante la gran parte degli amici di Dorso fossero militanti del Partito d’Azione, nel 1944 Sullo si iscrisse alla DC, una conseguenza naturale della sua lunga militanza nelle associazioni cattoliche giovanili, iniziata nel 1932. Pochi mesi dopo l’iscrizione venne eletto segretario provinciale e cominciò a riorganizzare la DC sul territorio avellinese, mettendo da parte gli ex fascisti e rinnovandone la struttura.

Il comunista avellinese Federico Biondi descriveva così l’apporto di Sullo alla DC locale:

Era un giovane molto preparato culturalmente e politicamente, di intelligenza superiore e di cristallina onestà, sicuramente antifascista, decisamente orientato in senso democratico e repubblicano. […] Prima che lui ne afferrasse le redini, [la DC] era massa inerte, fondamentalmente devota alle direttive parrocchiali; sicché è possibile affermare che la DC che abbiamo conosciuta negli anni successivi fu essenzialmente una sua creatura.

Non ancora 25enne, Sullo si candidò alla Costituente, l’assemblea che avrebbe dovuto scrivere una nuova costituzione per l’Italia. Come ha raccontato Nino Lanzetta in una delle poche biografie scritte su Sullo, la probabilità di essere eletto era assai scarsa. Non solo era giovane e poco conosciuto, ma nella sua circoscrizione – che era vasta e comprendeva le province di Salerno, Avellino e Benevento – c’erano candidati ben più noti ed esperti, tra cui l’esploratore Umberto Nobile che nel 1928 aveva tentato di raggiungere il Polo Nord con un dirigibile.

Nonostante le previsioni, però, Sullo fu eletto come il secondo più votato nella circoscrizione grazie a una campagna elettorale un po’ improvvisata ma intensa, fatta viaggiando moltissimo e con pochi mezzi a disposizione. Si racconta in particolare di un comizio nella sua città, Castelvetere, che Sullo volle tenere a tutti i costi nonostante fosse arrivato alle 23, e fosse quindi impossibile usare la piazza principale senza disturbare troppo. Il comizio alla fine si tenne in un cortile.

Negli anni Cinquanta Sullo iniziò il tipico cursus honorum all’interno del governo, con le prime nomine a sottosegretario. Poi, nel 1960, arrivò il primo incarico da ministro, in uno dei governi più controversi della storia d’Italia, quello presieduto da Fernando Tambroni. Fu ministro dei Trasporti per pochi giorni, fino a quando il governo non ottenne la fiducia dal Movimento Sociale Italiano, partito neofascista. Per non contravvenire ai propri ideali antifascisti, Sullo si dimise insieme ad altri due ministri democristiani, Bo e Pastore.

Dopo la prima breve esperienza da ministro, Sullo fu di nuovo chiamato al governo nel 1962 da Amintore Fanfani, stavolta per gestire il ministero dei Lavori pubblici. Grazie a questo ruolo e al lavoro fatto fino a quel momento da parlamentare, divenne il punto di riferimento nazionale per la sua provincia. In quegli anni, che furono probabilmente l’apice della sua carriera, il suo ufficio alla Segreteria provinciale era un continuo viavai di persone, postulanti che chiedevano favori di ogni tipo.

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Sullo cercava di ricevere tutti – dopo lunghe anticamere – e tutelava fedelmente gli interessi locali della sua base elettorale, talvolta in modo esplicito. È il caso per esempio dell’autostrada A16, che collega il Tirreno con l’Adriatico e che passa per Avellino grazie al suo intervento in prima persona. Il progetto iniziale non prevedeva che l’autostrada passasse per l’Irpinia, così Sullo fece valere il peso del suo ruolo per modificarlo. I cambiamenti al progetto furono una specie di rompicapo per gli ingegneri, ma contribuirono a rendere la zona meno isolata (prima dell’autostrada per andare da Avellino a Napoli erano necessari viaggi di mezza giornata in treno o di diverse ore in macchina).

Oltre all’autostrada, l’iniziativa di Sullo più ricordata è quella della riforma urbanistica. Per avere una dimensione della portata di questa proposta bisogna inquadrarla nel contesto urbano dell’Italia di quegli anni. L’economia stava crescendo a ritmi mai visti, la popolazione aumentava e si spostava in massa nelle grandi città in cerca di lavoro, dove però c’era una grave carenza di abitazioni. L’altissima richiesta di case e la grande disponibilità di suolo innescò un meccanismo di speculazione tale per cui i proprietari dei terreni nelle grandi città si arricchirono enormemente, semplicemente trasformando la destinazione d’uso di quel terreno e rivendendolo per costruirci nuove palazzine.

Questo meccanismo fece aumentare molto il costo delle abitazioni, nonostante si trovassero quasi sempre in quartieri periferici e venissero costruite in modo sbrigativo per massimizzare i profitti, senza allacci all’illuminazione pubblica e alla rete fognaria. Era quindi necessaria una riforma che mettesse fine alla spirale speculativa e all’espansione incontrollata delle città, in particolare di Roma, dove il fenomeno era molto diffuso.

La proposta di legge di Sullo fu pensata proprio per risolvere il problema. Prevedeva un nuovo piano urbanistico che individuasse i terreni edificabili nelle città italiane. Quei terreni poi dovevano essere espropriati dal comune di appartenenza a prezzo di terreno agricolo, quindi vantaggioso per la parte pubblica. Dopo averli acquisiti, l’amministrazione cittadina si incaricava di costruire le infrastrutture necessarie per rendere il quartiere vivibile. Infine, le aree espropriate e a quel punto urbanizzate sarebbero state cedute ai costruttori privati per un certo periodo di tempo.

La legge ottenne il consenso unanime e compatto degli urbanisti ma parte della stampa conservatrice non era del loro stesso parere. Soprattutto il Borghese, il Roma e il Tempo iniziarono una campagna contro la legge di Sullo, riportando esagerazioni e falsità e insinuando che la riforma avrebbe permesso allo Stato di sottrarre la proprietà delle case agli italiani. Il Borghese pubblicò anche pettegolezzi sulla più o meno nota omosessualità di Sullo, per screditarlo.

Sullo dovette intervenire sui giornali per assicurare che a nessun italiano sarebbe stata tolta la casa e spiegare la logica della riforma, ma non bastò. La DC, che aveva cospicui rapporti con i proprietari terrieri, prese pubblicamente le distanze dalla riforma e la proposta di legge non fu approvata dal Parlamento. In un discorso alla Camera tenuto a settembre del 1963, Sullo commentò così la campagna di stampa che aveva subìto la legge:

Descrivere l’amarezza con cui ho dovuto, durante la campagna elettorale, sopportare l’ignobile – desidero usare proprio questo termine – tentativo di mistificazione delle finalità della riforma urbanistica, non mi alletta.

Sullo raccontò in seguito che persino suoi parenti stretti, a un certo punto, gli chiesero se voleva togliere loro la casa: «Si può essere lettori ed ammiratori di Pirandello, ma quando si vive la vita di ogni giorno il clima pirandelliano è tragico».

A causa di questa storia, Sullo rimase ai margini della nascente coalizione di centrosinistra tra DC e socialisti. Tornò al governo solamente cinque anni dopo, nel 1968, da ministro dell’Istruzione. Anche in questo caso venne fuori la sua forte tendenza riformatrice. Nei pochi mesi in cui fu a capo del ministero, fece in tempo a introdurre una serie di riforme che ancora oggi sono in vigore. Tra le altre cose cambiò l’esame di maturità e soprattutto istituì il diritto d’assemblea, mentre a livello universitario diede la possibilità di adottare piani di studio individuali e rese il ruolo di docente incompatibile con altre cariche pubbliche.

Era un periodo già complicato a causa della contestazione studentesca e a complicarlo ulteriormente ci furono ancora una volta conflitti con il partito. Gli avversari interni di Sullo erano cresciuti, e alcuni erano persino all’interno della sua stessa corrente, che si chiamava Base. Nel 1969 il suo erede e avversario Ciriaco De Mita stava progettando una specie di colpo di mano, nella speranza di metterlo in minoranza nel Congresso provinciale. Non potendo partecipare a causa di impegni nazionali, Sullo chiese al Segretario nazionale, Flaminio Piccoli, di posticipare il Congresso provinciale per potervi partecipare, ma Piccoli rifiutò. E Sullo, di nuovo, si dimise.

La Stampa, 1 aprile 1969

De Mita riuscì a metterlo in minoranza e da quel momento la centralità politica di Sullo cominciò a diminuire. Fu ministro altre due volte all’inizio degli anni Settanta in due governi Andreotti, ma senza portafoglio e con due deleghe minori: alla Ricerca scientifica e agli Affari regionali. Alla fine degli anni Settanta ci fu un’ultima polemica tra Sullo e De Mita, che portò il primo ad abbandonare il partito per poi rientrare nel 1982. Dopodiché rimase deputato fino al 1987, con la DC.

Negli ultimi anni Sullo si ammalò di diabete e passò la vecchiaia a Torella dei Lombardi, in provincia di Avellino, dove la moglie aveva casa. Lì morì il 3 luglio 2000. Quando era ormai fuori dai giri politici che contano, cominciò a pubblicare con più frequenza commenti e opinioni sui giornali, anche sul Roma. Quando gli fu chiesto perché pubblicava proprio con il giornale che lo aveva diffamato, rispose: «È l’unico giornale che mi dà ospitalità».

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