I dati degli aborti nelle regioni italiane

L’aborto è regolamentato dalla legge 194 del 1978, ma l’autonomia concessa alle regioni sulla sanità causa molte differenze

di Tullio Amato

(LaPresse - Mourad Balti Touati)
(LaPresse - Mourad Balti Touati)

In Italia il diritto all’aborto è sancito dalla legge nazionale 194/78, ma non in tutte le regioni è garantito allo stesso modo: le differenze sono parecchie, e i dati più significativi riguardano la percentuale di aborti farmacologici sul totale delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), l’obiezione di coscienza tra i ginecologi, e i tempi di attesa per accedere all’IVG. 

Tasso di abortività
Secondo i dati del 2018 forniti nel report del ministero della Salute, il tasso di abortività, che indica il numero di IVG ogni mille donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni, mostra delle differenze tra le regioni. Quelle del Nord e del Centro Italia hanno un tasso di abortività rispettivamente di 6,3 e 6,4, mentre le regioni del Sud e le isole hanno tassi sensibilmente più bassi, rispettivamente 5,6 e 4,9 IVG ogni mille donne.

Le eccezioni rispetto a questi trend sono la provincia Autonoma di Bolzano (4,6), il Veneto (4,6) e le Marche (4,9) nel Centro-Nord e la Puglia (7,2) al Sud.

Aborto farmacologico e le altre metodologie
Ad oggi il metodo più utilizzato per abortire è quello chirurgico, che prevede a sua volta diverse tecniche che dipendono dal periodo di gestazione: l’isterosuzione consiste nell’aspirazione dell’embrione attraverso una cannula (chiamata cannula di Karman) che viene introdotta nell’utero; la dilatazione e revisione della cavità uterina (D&R), comunemente conosciuta come raschiamento, prevede la dilatazione della cervice e l’inserimento di una cannula di diametro maggiore. Oltre le 12 settimane la legge italiana prevede l’interruzione volontaria di gravidanza solo in caso di rischi per la salute fisica e mentale della donna: in questo caso si utilizza la dilatazione e lo svuotamento (D&S): consiste nella dilatazione meccanica del canale della cervice per la rimozione del prodotto del concepimento.

L’aborto farmacologico, che viene indotto da farmaci a base di mifepristone (RU486) e prostaglandine, invece, viene eseguito solo nel 24,2 per cento dei casi a livello nazionale.

A livello regionale, tra i due metodi ci sono grandi differenze. In Molise solo l’1,5 per cento delle IVG viene fatto con l’uso dei farmaci, mentre in Piemonte si arriva al 47,6 per cento. Anche in altre regioni il farmacologico ha percentuali abbastanza significative e supera il 30 per cento: tra queste, ci sono ad esempio la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Toscana e la Puglia. Viene invece utilizzato in meno del 10 per cento nella provincia autonoma di Bolzano, in Valle d’Aosta, Umbria e Marche.

Una delle differenze regionali interne più evidenti riguarda il Trentino-Alto Adige. Le province autonome di Trento e Bolzano forniscono i dati separatamente: nella provincia di Trento il ricorso all’aborto farmacologico è pari al 27,5 per cento, mentre nella provincia di Bolzano ci si ferma al 4,9 per cento.

Osservando i dati, è possibile affermare che per quanto riguarda il ricorso all’aborto farmacologico non c’è una netta differenza tra il Nord e il Sud, come invece accade per quanto riguarda il numero dell’obiezione di coscienza.

Obiezione di coscienza
Le regioni del Nord hanno mediamente meno obiettori, seguono le regioni del Centro con percentuali poco più alte, mentre al Sud la percentuale degli obiettori è piuttosto alta. C’è comunque qualche eccezione: la prima è la provincia autonoma di Bolzano, dove l’87,2 dei ginecologi è obiettore di coscienza. Segue il Molise dove la percentuale è pari al 93,2 per cento. La Valle d’Aosta è di gran lunga la regione con meno ginecologi obiettori, il 7,7 per cento.

Nelle regioni del Sud Italia sono eccezioni positive la Calabria e soprattutto la Sardegna, che ha uno dei livelli di obiezione più bassi del paese, pari al 57,7 per cento. 

Tempi di attesa
L’aborto in Italia rientra nei cosiddetti LEA, i livelli essenziali di assistenza, cioè nei servizi e nelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto sempre a offrire. L’articolo 5 della legge 194/1978 dice che «quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato» con il quale la donna può presentarsi e praticare l’interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrata l’urgenza, alla donna viene rilasciata la certificazione che attesta lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, con la quale la si invita «a soprassedere per sette giorni». Scaduti i sette giorni il documento costituisce «titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento». Di fatto, dunque, l’interruzione di gravidanza ha sempre un carattere d’urgenza. In alcune regioni, però, il tempo di attesa dalla consegna del certificato alla pratica abortiva è superiore a 7 giorni.

Secondo quanto riportato nel report del ministero della Salute, i tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento sono in diminuzione. La percentuale di IVG effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento è infatti leggermente aumentata: 70,2 per cento nel 2018 rispetto a 68,8 per cento nel 2017, 65,3 per cento nel 2015 e 59,6 per cento nel 2011. Parallelamente, è diminuita la percentuale di IVG effettuate oltre le 3 settimane di attesa, anche se il valore del 2018 è quasi identico a quello del 2017: 10,8 per cento nel 2018 e 10,9 per cento nel 2017 rispetto al 12,4 per cento del 2016, al 13,2 per cento del 2015 e 2014 e al 15,7 per cento del 2011.

Secondo il ministero, percentuali elevate di tempi di attesa (che superino dunque le 2 settimane) vanno valutate con attenzione a livello regionale poiché possono segnalare la presenza di difficoltà nell’applicazione della legge.

La regione che da questo punto di vista sembra essere più virtuosa di altre è il Molise, che effettua oltre il 96,2 per cento degli aborti entro i 14 giorni citati dal report e meno dell’1 per cento oltre le 3 settimane. Seguono Emilia-Romagna e Piemonte rispettivamente con 83 e 80 per cento degli aborti entro le due settimane.

Umbria e Veneto risultano essere le più “lente”. In Umbria più della metà (53,1 per cento) degli aborti viene effettuata oltre i 14 giorni, in Veneto poco meno (48 per cento). Oltre il 40 per cento ci sono anche la Valle d’Aosta, la provincia autonoma di Bolzano e la Lombardia.

Questo e gli altri articoli della sezione L’aborto in Italia sono un progetto del corso di giornalismo 2021 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.