Cosa vuol dire che in Israele “vaccinano anche nei bar”
È un'espressione che viene usata per indicare il successo della campagna vaccinale israeliana, e corrisponde al vero
Fin dall’inizio della campagna vaccinale contro il coronavirus in tutto il mondo, Israele è stato preso come modello di organizzazione per l’eccezionale ritmo con cui sta vaccinando la sua popolazione. Nelle ultime settimane, una delle immagini più associate all’esempio virtuoso di Israele è stata quella dei “vaccini anche nei bar”, usata da alcuni mezzi di comunicazione anche italiani per evidenziare, di contro, i ritardi della campagna vaccinale in altri paesi.
È un fatto vero, anche se non basta andare in un bar qualsiasi, in un giorno qualsiasi, per ricevere una dose di un vaccino: generalmente sono iniziative mirate che durano per un tempo limitato. Semmai, la questione suggerisce che Israele sta facendo di tutto per incentivare le persone a vaccinarsi, nel minore tempo possibile e in diversi modi, e soprattutto tra le fasce di popolazione meno disposte a farlo.
I giornali israeliani hanno raccontato per la prima volta una vaccinazione dentro a un locale della capitale Tel Aviv a metà febbraio (non è chiaro se ci siano state iniziative simili anche prima). In quell’occasione le persone avevano portato con sé un documento e spiegato brevemente agli operatori sanitari presenti se avessero avuto reazioni allergiche in passato. Dopo il vaccino, era stato offerto loro un drink – una birra o un succo alla pesca – da consumare in uno spazio all’aperto di fronte al bar (allora i bar erano ancora chiusi a causa delle restrizioni imposte dal governo).
Diverse persone intervistate dal Times of Israel avevano detto di essersi convinte a farsi vaccinare nel bar per l’accessibilità e la velocità con cui si svolgeva tutta la procedura, e per ottenere presto il “Green Pass”, un certificato che viene dato in Israele a chi ha ricevuto entrambi le dosi del vaccino. Il Green Pass permette di fare diverse attività tra quelle che sono considerate più a rischio di contagio, tra cui andare in palestra o in piscina, in locali e ristoranti, nei teatri e negli stadi. Ha una validità di 6 mesi e può ottenerlo anche chi sia già stato contagiato dal coronavirus (in quel caso è valido fino a fine giugno).
Dopo quella prima vaccinazione nel bar di Tel Aviv raccontata dai giornali, nelle settimane successive altri locali avevano proposto iniziative simili. Si erano presentati soprattutto giovani, e l’intento del governo era proprio quello: convincere a vaccinarsi persone che vedevano meno ragioni per farlo, perché meno soggette a contrarre forme gravi di COVID-19. Anche Ikea ha offerto la possibilità di vaccinarsi all’ingresso di un suo negozio nella città di Rishon Lezion, poco a sud di Tel Aviv.
Al momento in Israele circa il 60 per cento dei 9 milioni di abitanti è stato vaccinato almeno con la prima dose, e anche la percentuale di chi ha già ricevuto la seconda dose è alta, intorno al 50 per cento.
Da qualche settimana il ritmo è calato, per diverse ragioni: tra le altre cose, perché si è già vaccinata gran parte della popolazione dei centri urbani, dove la campagna di somministrazione delle dosi è stata più agevole, e perché il governo sta incontrando molte resistenze nel vaccinare le comunità di ebrei ultraortodossi, circa il 12 per cento della popolazione.
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