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  • Mercoledì 17 marzo 2021

La storia delle presunte mascherine contraffatte, dall’inizio

Negli ultimi giorni si è parlato molto di codici CE e di certificati falsificati: è una vicenda complicata, e non ci sono molte certezze

Mascherine appese alle pareti di un laboratorio in Belgio, nel maggio 2020 (Tim de Waele/Getty Images)
Mascherine appese alle pareti di un laboratorio in Belgio, nel maggio 2020 (Tim de Waele/Getty Images)

Nelle ultime due settimane sui media italiani si è parlato molto di come alcune mascherine FFP2 con certificazione di conformità europea CE, quella che dovrebbe garantire l’efficacia dei dispositivi medici e per la protezione individuale, non rispetterebbero i criteri della classificazione FFP2 e non proteggerebbero le persone come ci si sarebbe aspettato.

I dubbi sull’efficacia di alcune mascherine, in particolare quelle con marchio CE2163, sono nati da una denuncia anonima e sono stati molto ripresi sui giornali e in televisione, specie dopo che mascherine con quel marchio erano state distribuite dalla Rai durante il Festival di Sanremo. Le polemiche hanno coinvolto alcune aziende italiane e internazionali, ma per ora non hanno generato provvedimenti ufficiali né da parte delle autorità europee né da quelle italiane, anche se secondo i giornali italiani sono in corso delle indagini e non è escluso che potranno essere emessi provvedimenti in futuro.

Per ora, le uniche irregolarità confermate riguardano singoli casi di lotti di mascherine contraffatte o prodotte sotto gli standard minimi, e non ci sono ancora abbastanza elementi per parlare di un problema più generale nel sistema di marcatura CE, come era sembrato qualche giorno fa. I casi di contraffazione di mascherine sono relativamente frequenti, e non riguardano soltanto il marchio CE2163.

Questa vicenda non va confusa con l’inchiesta della procura di Roma sull’importazione dalla Cina di 800 milioni di mascherine nei primi mesi della pandemia, in cui gli intermediari che favorirono l’importazione sono stati accusati, a seconda delle posizioni, di traffico di influenze illecite, riciclaggio, autoriciclaggio e ricettazione.

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La vicenda è cominciata con un articolo pubblicato il 28 febbraio sul Corriere della Sera, in cui si raccontava come un’azienda altoatesina che si occupa di import-export tra l’Italia e la Cina e che è rimasta anonima avesse fatto testare da laboratori spagnoli una serie di mascherine FFP2 in commercio e avesse scoperto che molte di queste mascherine non rispettavano i requisiti di sicurezza minimi e non fossero efficaci come ci si aspetterebbe. La maggior parte di queste mascherine aveva marchio CE2163, e l’ipotesi circolata sui giornali era che buona parte delle mascherine con quel marchio potesse avere dei problemi, tanto che si parlò di certificati contraffatti.

Le mascherine e altri dispositivi medici usati contro il coronavirus sono approvati per l’utilizzo in Italia e nell’Unione Europea in due modi: il primo è l’attribuzione di un marchio CE, che viene fatta da società terze che testano i prodotti a campione e certificano l’aderenza a standard molto rigorosi. Il secondo è tramite l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), che l’anno scorso in via emergenziale aveva cominciato a validare prodotti anche senza il marchio di conformità europeo, sulla base della documentazione fornita dall’azienda produttrice. Ormai comunque la stragrande maggioranza delle FFP2 in commercio ha il marchio CE.

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Ciascuna società certificatrice ha il proprio o i propri marchi CE, e in particolare il marchio CE2163 è emesso da un’azienda turca, la Universal Certification di Istanbul, su cui si sono concentrate le attenzioni dei media. Anche se il marchio CE è attribuito e usato nell’Unione Europea, la Turchia ha stretto con l’Unione accordi commerciali che permettono a Universal Certification di fornire la certificazione CE, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalle autorità europee e rispettando gli stessi criteri.

NANDO, la banca dati delle certificazioni dell’Unione Europea, riporta che il marchio CE2163 è correttamente registrato e non mostra nessun tipo di irregolarità. La denuncia anonima della società altoatesina, però, è stata sufficiente per creare molto scompiglio, e per mettere in dubbio l’efficacia di tutte le mascherine marchiate CE2163, anche perché, sempre rispettando le direttive europee, Universal Certification si appoggia a laboratori di prova in Cina, grazie ai quali riesce a emettere molte più certificazioni della concorrenza.

In questo modo, il marchio CE2163 è uno dei più diffusi in assoluto tra le mascherine vendute, almeno in Italia, e anche quello che a volte è apposto sulle mascherine più economiche.

I giornali italiani hanno inoltre raccontato che l’Ufficio antifrode europeo (OLAF) avrebbe aperto un’indagine su Universal Certification e sulle mascherine marchiate CE2163 (Repubblica l’ha definita «un’istruttoria a ampio raggio»). OLAF non ha dato notizia pubblica dell’apertura di un’indagine, e in un comunicato ufficiale ha fatto sapere che non può né confermare né smentire la notizia. Universal Certification ha detto che in questo momento non è a conoscenza di nessuna indagine nei suoi confronti, anche se è in contatto costante con OLAF per risolvere singoli casi.

In un’intervista a Repubblica, l’amministratore delegato dell’azienda, Osman Camci, ha detto: «L’OLAF e altri enti competenti possono avviare indagini di questo tipo in qualsiasi momento. Stiamo già collaborando con queste organizzazioni».

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In ogni caso, né le autorità italiane né quelle europee hanno per ora messo in atto provvedimenti contro le mascherine CE2163, che continuano a essere vendute al pubblico. Ci sono stati però dei casi specifici: in Friuli Venezia Giulia, per esempio, sono state sequestrate alla dogana centinaia di migliaia di mascherine FFP3 di produzione turca con marchio CE2163, le quali dopo un controllo sono risultate non conformi.

Che Universal Certification sia stata poco solerte in alcuni test per la certificazione, cosa che metterebbe a rischio tutte le mascherine CE2163, è tecnicamente possibile, ma per poterlo dire bisognerebbe aspettare l’apertura ufficiale di un’indagine, di cui per ora non c’è notizia (non è escluso che arriverà in futuro).

Ci sono tuttavia altre due ipotesi che spiegherebbero perché in Italia circoli una certa quantità di mascherine CE2163 sotto standard. La prima è che le aziende produttrici, dopo aver ottenuto la certificazione (che si attribuisce dopo aver testato un campione relativamente ristretto di mascherine), avrebbero cominciato ad abbassare gli standard di produzione, mettendo sul mercato mascherine di qualità inferiore. La seconda è che le mascherine siano state contraffatte e che il marchio CE sia stato apposto in maniera illecita da aziende che non ne avrebbero diritto. Farlo è piuttosto semplice: basta stampare uno dei tanti codici CE in circolazione sulla mascherina e sulla confezione.

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Circolano anche numerosi certificati falsi, che vengono consegnati alle farmacie e ad altri rivenditori per tranquillizzarli sull’efficacia del prodotto. Ci sono molti esempi di questo tipo: il sito di Accredia, l’ente certificatore italiano, ne ha raccolti diversi. Nel corso del 2020 OLAF ha sequestrato 40 milioni di prodotti legati alla pandemia, tra composti chimici, dispositivi di protezione individuale e altro.

Questi problemi di certificati falsi hanno riguardato, per esempio, decine di migliaia di mascherine messe in vendita da aziende soprattutto cinesi con il marchio CE1282 e sequestrate perché contraffatte. Il marchio 1282 viene emesso dalla società bolognese Ente certificazione macchine (ECM) e secondo l’azienda alcuni produttori l’avrebbero usato a sua insaputa per mettere in commercio mascherine di qualità inferiore.