Impedire agli studenti di copiare in DAD è un’impresa disperata

Da un anno i professori se le inventano tutte, così come gli studenti: e il tacito accordo è che alla fine va bene così

di Arianna Cavallo

(ANSA/ ANDREA FASANI)
(ANSA/ ANDREA FASANI)

«Sono convinto che, per quanto noi insegnanti cerchiamo di capire come non far copiare gli studenti in didattica a distanza, ci riescano lo stesso: mi sono messo il cuore in pace, è impossibile evitarlo» dice bonariamente rassegnato un insegnante di fisica e matematica di un liceo scientifico di Milano. Un aspetto poco raccontato delle scuole chiuse e della didattica a distanza (DAD) è quotidianamente al centro delle dinamiche di classe e fonte di preoccupazione per gli insegnanti: come valutare gli studenti tenendo conto della possibilità che copino nelle verifiche e che si suggeriscano tra loro con messaggi o in chat.

La conclusione disillusa dell’insegnante milanese è in effetti confermata dalla maggior parte degli studenti di medie e superiori con cui ha parlato il Post: «È veramente molto difficile riuscire a beccare tutte le volte che i ragazzi copiano», sostiene uno studente di terza media. «I prof non possono essere mai sicuri al cento per cento che non copiamo», conferma una studentessa in terza superiore.

Nella DAD, applicata per contenere il contagio da coronavirus, le lezioni avvengono online – solitamente l’insegnante parla alla classe connessa su una piattaforma messa a disposizione dalla scuola – e così si svolgono anche le verifiche scritte e le interrogazioni. Durante le prove, i professori possono chiedere agli studenti di tenere accesi la telecamera e il microfono del computer per controllare che non leggano testi o ricevano aiuti da qualcuno nella stanza, ma non possono sapere se il monitor sia circondato di appunti, se la scrivania abbia i libri di testo aperti e se si stiano scambiando suggerimenti con i compagni via chat o con il telefonino.

Se le verifiche vengono fatte direttamente online sul computer, è anche possibile che gli studenti aprano un’altra finestra del browser e cerchino le risposte online: «se la verifica è a computer, è impossibile che i professori riescano a scoprire chi copia, perché sembra che stia scrivendo la risposta ma la sta cercando su Google», racconta uno studente.

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Chiaramente le difficoltà nel tenere a bada le scopiazzature variano molto in base all’astuzia tecnologica degli insegnanti, all’età degli studenti e alla classe frequentata, visto che quest’anno la DAD non ha interessato allo stesso modo tutte le scuole italiane. L’anno scorso, con il primo lockdown di marzo, le scuole di tutti gli ordini e gradi sospesero le lezioni in presenza e conclusero l’anno in DAD.  Quest’anno invece le lezioni si sono svolte quasi sempre in presenza fino al 3 novembre, quando entrò in vigore il Dpcm che divideva l’Italia in tre fasce colorate in base alla situazione epidemiologica. Da allora nelle zone rosse c’è stata la DAD dalla seconda media in su, università comprese; nelle zone gialle e arancioni, è stata applicata solo alle superiori, garantendo un minimo di lezioni in presenza del 50 per cento e un massimo del 75 per cento, e ogni ateneo si è organizzato da sé.

Nonostante l’ultimo Dpcm del governo Draghi abbia cambiato nuovamente le regole, almeno per quest’anno e almeno finora la DAD ha quindi riguardato soprattutto gli studenti della seconda e della terza media, delle superiori e delle università di alcune regioni.

L’insegnante di matematica del liceo milanese spiega che «l’anno scorso è stato drammatico, quest’anno va un filino meglio perché qualche trucco per non fare copiare l’hai acquisito». Lui ad esempio usa Google Moduli, «che ti permette di creare dei test dove le domande appaiono in ordine sparso, che non ti dicono quanto ti manca per terminare la verifica e che non ti consentono di tornare indietro: quindi non puoi perdere tempo e suggerire. Nonostante questo mi accorgo che copiano perché ci sono compiti con gli errori identici». Il professore racconta che anche «i colleghi di latino sono in ambasce, non possono più dare le traduzioni alle verifiche perché basta cercare le prime parole su Google che viene fuori tutto il testo tradotto. Alcuni si inventano loro le versioni: scrivono il testo in italiano, lo traducono in latino e poi lo danno come compito: ai miei tempi traducevi Cesare, oggi traduci il tuo insegnante».

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I più facilitati nella battaglia contro chi copia sono i docenti universitari. Tutti gli atenei, infatti, utilizzano qualche tipo di programma che impedisce di navigare su internet durante gli esami e riescono a controllare abbastanza efficacemente gli studenti durante le prove. Michela Cella, professoressa associata di economia politica della Bicocca di Milano, ha raccontato che per gli esami sulla piattaforma digitale dell’ateneo «si utilizza il software Respondus che, oltre a bloccare il browser, monitora il riconoscimento facciale, l’audio e i movimenti nella stanza: significa che non puoi parlare, non puoi alzarti e non può entrare nessuno a suggerire. Il software registra il comportamento dello studente e segnala i casi sospetti, poi sei tu che controlli il motivo: magari stava semplicemente guardando fuori dalla finestra».

Cella richiede che durante la prova sia accesa una telecamera frontale, quella del computer fisso con cui si svolge l’esame, e un’altra su un dispositivo mobile puntata sul piano di lavoro, per assicurarsi che non ci siano appunti.

È comunque possibile che gli studenti comunichino tra loro con un altro cellulare e per rendere i suggerimenti più difficili Cella prepara tracce differenziate, con domande diverse che arrivano in ordine sparso. «Per cose più complicate faccio scrivere la risposta su un foglio bianco, che devono inquadrare sempre con la telecamera del cellulare; poi lo devono scansionare e mandarmi la foto sul cellulare. La certezza che non copino però non ce l’ho: uno può scansionare il testo a un amico, che poi inoltra la risposta a me».

Riccardo Tilli, professore associato alla facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione  della Sapienza di Roma, segue lo stesso procedimento. L’ateneo si serve della piattaforma exam.net, che non permette di aprire altre finestre, e prevede la presenza di due telecamere, di cui una sul dispositivo mobile «che serve per controllare e deve essere messo a circa un metro e mezzo di distanza, anche se tutti cercano di tenerlo il più vicino possibile per restringere il campo visivo».

Nonostante questi accorgimenti, «quando lavoriamo da remoto succede comunque che copino», spiega. A Tilli capita spesso di intravedere dei foglietti sulle gambe degli studenti, ma se chiede loro di mostrarglieli riescono a nasconderli e si dichiarano innocenti; una volta, però, grazie alla telecamera sul dispositivo mobile, notò un cellulare con le slide delle lezioni vicino allo schermo del computer. L’esempio più divertente ha per protagonista una cornice a fianco del monitor: osservandola Tilli si accorse che rifletteva un uomo barbuto mentre lo studente che stava svolgendo l’esame non aveva la barba. Scoprì così che qualcuno vicino stava suggerendo. Quando ci sono forti sospetti di test copiati «do al candidato il voto minimo, se protesta chiedo di fare un orale integrativo: in DAD ho fatto più o meno 2.000 esami e nessuno ha mai chiesto di fare l’orale, qualcosa vorrà dire».

Un altro problema è che questi esami richiedono molto più tempo sia per la preparazione che per lo svolgimento: «una sessione ha anche 200 studenti, ma non è possibile controllarne più di 25 in uno schermo per cui vanno divisi in turni» dice Tilli. «Se prima facevo un esame in due ore, ora me ne servono 12».

Questi metodi intricati sono utili, come hanno assicurato al Post alcuni studenti universitari. Uno, iscritto al Politecnico di Torino, ha detto che «esempi lampanti di copiatura non ne so, però c’è stata una fitta collaborazione nel trovare collettivamente le soluzioni, comunicando con le più diffuse app di messaggistica». Un altro, dell’Università degli Studi di Udine, dice: «secondo me il metodo funziona: certo un angolo cieco per attaccare un bigliettino bene o male ce l’avrai sempre – dietro al computer in alto, sulla scrivania nascosto dal braccio o dal corpo – ma copiare non è così facile».

La situazione è stata abbastanza gestibile anche per i professori delle scuole medie, non perché abbiano costosi software ad aiutarli ma perché c’è stata molta meno DAD e perché i ragazzi sono più piccoli e più facili da scoprire: «se copiano, copiano da Wikipedia, sono sgamabili, non hanno quella furbizia di cambiare i vocaboli e semplificare» dice per esempio Giusy Nobile, professoressa di lettere di una scuola di Milano. Anche qui, però, è bene evitare domande scritte nozionistiche: «le faccio orali e do poco tempo», perché non riescano a mandarsi le risposte in chat o guardino su libri e appunti. Ed è meglio dare «lavori un po’ più complessi, anche da fare a casa ma che poi devono sapermi spiegare, così capisco se hanno lavorato da soli o hanno copincollato».

Nobile spiega anche che sono cambiati i suoi parametri di valutazione, sia perché «si tende a essere più morbidi, vista la situazione difficile per tutti», sia perché «ne ho aggiunti di nuovi: valuto la capacità digitale degli studenti e la correttezza nel rispettare le regole della netiquette» (devono cioè imparare quando accendere la telecamera o spegnere il microfono, non fare screenshot delle dirette, non mangiare durante la lezione).

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Il vero campo di battaglia restano quindi le scuole superiori, dove si è fatta molta DAD e dove i ragazzi sono generalmente furbi, organizzati, compatti tra loro e spesso tecnologicamente più abili dei professori. Qui gli insegnanti non hanno modo di controllare che non cerchino le risposte su Google mentre fanno le verifiche online, pochi richiedono una seconda telecamera per controllare il piano di lavoro («oltre a inquadrare sempre la scrivania non penso ci siano altri modi per non farci copiare», dice una studentessa di prima superiore) né possono impedire la frenetica attività di suggerimenti e messaggi sul cellulare.

Alcuni comunque non si danno per vinti: chiedono ai ragazzi di rispondere a occhi chiusi, addirittura bendati, o di tenere le mani sollevate in alto così che non sfoglino libri e scrivano sulla tastiera. «Chi pensa di aggirare il problema in questo modo combatte contro i mulini a vento» sostiene il professore di matematica milanese, «mentre gli studenti accettano tutte queste cose perché sanno benissimo che siamo in guerra, ma è una guerra dove alla fine la spuntano loro».

A parlare con alcuni studenti, sembra in effetti così: «se i professori chiedono di tenere accesa la videocamera «basta spegnerla per dieci secondi, guardare la risposta sul libro e poi riaccenderla come se non fosse successo niente e scrivere la risposta», suggerisce un alunno di terza media. Una liceale assicura che «uno dei modi più efficienti è stare al telefono con qualcuno mettendo gli AirPods [le cuffie senza fili di Apple, ndr] e coprendole con i capelli», anche se serve aver studiato almeno un po’ «altrimenti non è che vai molto lontano». Altri trucchetti sono facilmente reperibili su TikTok, il social network fatto di brevi video divertenti usato soprattutto dagli adolescenti, cercando per esempio con l’hashtag #dad #copiare.

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Gli alunni consigliano ai professori di non dare test a crocette – «è chiaro che uno può copiare tutto dal libro» –, di fare verifiche tutte diverse – «i prof ci mettono di più, ovviamente riesci sempre a guardare qualcosa dal libro o da internet ma copiare è molto più difficile» – e soprattutto di «non mandare MAI la verifica via mail e farcela completare nel tempo libero». Comunque sia, «quando siamo in DAD, i voti e le medie si alzano tantissimo». Lo conferma Pino Suriano, che insegna materie umanistiche in un liceo scientifico in Basilicata: «i voti sono più alti perché possono copiare e noi non possiamo dimostrare che abbiano copiato, ma anche perché abbiamo premiato la buona volontà e l’impegno più che la performance».

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Qualche strumento per contenere i danni però c’è. I più facilitati sono gli insegnanti di italiano e di materie che permettono di verificare la capacità di ragionare ed esprimere opinioni personali. Fausto Greco, insegnante di latino e italiano in un liceo scientifico di Caserta, prova per esempio a trasformare le interrogazioni in «momenti in cui parlare e condividere le esperienze: adesso preoccuparsi di verificare è secondario rispetto a far esprimere gli studenti». È anche convinto che «quello che dovremmo imparare dopo mesi di DAD è che l’insegnamento e le modalità di verifica devono cambiare».

Questo approccio è più difficile per materie come la matematica, la fisica e il latino. In questi casi, la soluzione migliore è diversificare i compiti e ridurre i tempi: fare delle domande a bruciapelo agli orali e dare compiti molto lunghi durante gli scritti, così che non ci sia tempo per comunicare con gli altri. «Penso che questo sia l’unico modo con cui i professori riescano a non farci copiare perché, anche se copiare è possibile, alla fine quelli che ci perdono siamo noi», assicura uno studente.

Uno dei programmi più usati alle superiori per le verifiche scritte è Socrative: «assegna le domande in modo casuale, non permette di tornare indietro e consente di assegnare poco tempo, così non riescono a cercare su internet e non c’è una persona che suggerisce», spiega una docente di storia e filosofia in un liceo paritario di Milano. Sono disponibili poi software antiplagio: inserendo il testo inviato dall’alunno consentono di scoprire se e quanto è stato copiato e da dove («una volta uno aveva copiato tutto e ho dato un 2» dice sempre la docente milanese).

L’insegnante di storia conclude che, se non insegnasse in un liceo scientifico dove è spinto a terminare il programma per l’esame di maturità, eviterebbe i test scritti e farebbe soltanto orali: qui si può «andare un po’ fuori dagli schemi e cogliere la loro capacità logica, è inutile chiedergli la formula che tanto ce l’hanno scritta sul banco. Questo però va a discapito del povero studente che magari ha studiato la definizione ma non riesce ad applicarla».

Se favorisce i più, infatti, la DAD penalizza onesti e ansiosi. «Ho avuto una terza liceo in cui gente che prima della DAD prendeva 3, 4 poi era passata a 8 e 9» prosegue il professore di matematica. «C’era soltanto una ragazza, correttissima ma non brava, che si beccava puntualmente le insufficienze». Anche Suriano è convinto che «purtroppo vince chi gestisce meglio lo stress, chi ha meno paura della punizione e si attiva comunque per copiare: nelle verifiche un gruppetto di tre persone che si organizzano può fare meglio di uno più bravo che va nel pallone».

La DAD però ha rivelato anche problemi che i professori hanno dovuto gestire con delicatezza. Valentina Chìndamo insegna – da tre anni, di cui due a distanza – economia aziendale in un istituto tecnico di Vicenza. Chìndamo non chiede ai suoi alunni di tenere la telecamera accesa neanche durante le verifiche perché sa che «ci sono contesti che non vogliono farti vedere». Nel suo caso infatti spesso l’assenza di connessione o la mancanza di un dispositivo non sono delle scuse per non consegnare i compiti e fregare l’insegnante, ma conseguenze di situazioni familiari economicamente difficili.

Racconta che molti studenti hanno risentito della decisione ministeriale di non bocciare di fatto nessuno lo scorso anno «perché ora si trovano in grandissima difficoltà e anche per questo tanti studenti stanno abbandonando l’anno prima del termine». In questo momento, conclude, «sto più attenta alle situazioni che hanno in casa, capire come stanno è molto più importante che mi prendano un 9 o un 10».