Il processo ai coniugi Rosenberg

Cominciò 70 anni fa, fu uno dei più grossi scandali di spionaggio della Guerra fredda e probabilmente portò alla condanna a morte di un'innocente

Una manifestazione a Parigi per difendere Julius ed Ethel Rosenberg, il 18 giugno 1953 (Keystone/Getty Images)
Una manifestazione a Parigi per difendere Julius ed Ethel Rosenberg, il 18 giugno 1953 (Keystone/Getty Images)

A inizio Novecento, nello stato di New York, tutte le condanne a morte venivano eseguite con una sola sedia elettrica, quella del carcere di massima sicurezza di Sing Sing. La chiamavano “Old Sparky” e si trovava in una stanza al termine di un corridoio noto come “Last Mile”, l’ultimo miglio. Su “Old Sparky”, il 19 giugno 1953, si sedettero i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg, entrambi condannati perché ritenuti spie dell’Unione Sovietica. Il loro processo era cominciato anni prima, il 6 marzo 1951, settant’anni fa, e sarebbe stato l’unico a portare alla condanna a morte di civili americani per spionaggio durante la Guerra fredda.

La condanna fu eseguita alle otto di sera. Julius Rosenberg morì subito, dopo la prima scarica elettrica, mentre l’esecuzione di Ethel non fu altrettanto immediata. Dopo tre scariche elettriche gli assistenti sciolsero le cinghie, ma i medici presenti in sala rilevarono che la donna era ancora viva. Le furono inflitte quindi altre due scariche, che ne provocarono infine la morte. I testimoni presenti quel giorno hanno raccontato che alla fine della seconda scarica da sotto il suo casco usciva del fumo.

Quando morirono, Julius ed Ethel Rosenberg avevano rispettivamente 35 e 37 anni. Prima di essere arrestati, lui lavorava come ingegnere elettronico e lei faceva la segretaria in una società di imballaggio e spedizione. Erano entrambi di Manhattan e si erano conosciuti a causa della comune militanza nell’organizzazione giovanile del Partito Comunista degli Stati Uniti (CPUSA). Si erano poi sposati nel 1939 e avevano avuto due figli, che quando i Rosenberg vennero arrestati avevano 7 e 3 anni.

– Leggi anche: Il Belgio ha un problema con le spie

Nel processo, oltre ai Rosenberg, era imputato anche Morton Sobell, un altro ingegnere elettronico di New York che aveva frequentato lo stesso college di Julius. Tutti e tre erano accusati di aver passato ai sovietici informazioni tecniche utili per aiutarli a costruire una bomba atomica, che gli americani avevano già sviluppato anni prima con il progetto Manhattan, il programma di ricerca e sviluppo attivo tra il 1942 e il 1946.

Nonostante Stati Uniti e Unione Sovietica fossero stati alleati durante la Seconda guerra mondiale, gli americani non condivisero alcuna informazione sul progetto Manhattan con i sovietici, né lo fecero con gran parte degli altri alleati. Perciò, quando nel 1949 l’Unione Sovietica annunciò di essere riuscita a sviluppare la propria bomba atomica, nel governo americano ci fu grande agitazione per la rapidità del risultato raggiunto da quelli che ormai erano avversari nella Guerra fredda. Si cominciò a pensare che a qualche livello dovessero esserci state per forza delle spie che avevano aiutato i sovietici, e sulla base di questa convinzione l’FBI iniziò a indagare.

Le prime piste seguite portarono a un rifugiato tedesco, Klaus Fuchs, che aveva partecipato al progetto Manhattan. Fuchs venne arrestato, confessò di aver rubato alcuni documenti per inviarli ai sovietici e fece il nome di uno che lo aveva aiutato a passare le informazioni, Harry Gold. A sua volta Gold fece altri nomi, tra cui quello del fratello di Ethel, David Greenglass. Nome dopo nome, l’FBI ricostruì una lunga catena di informatori, proprio come si aspettava. A quel punto Greenglass raccontò di come venne reclutato e citò suo cognato e sua sorella, che vennero arrestati rispettivamente nel luglio e nell’agosto del 1950.

All’apertura del processo, che durò meno di un mese, il giudice Irving Kaufman disse:

Le prove dimostreranno che la lealtà e l’alleanza dei Rosenberg e di Sobell non erano per il nostro paese, ma per il comunismo. Per il comunismo in questo paese e in tutto il mondo. Sobell e Julius Rosenberg, compagni di classe al college, hanno dedicato se stessi alla causa del comunismo. Questo amore per il comunismo e per l’Unione Sovietica li ha fatti finire in breve tempo in una rete di spionaggio sovietica.

Durante il dibattimento e dopo la condanna, parecchi intellettuali di sinistra in tutto il mondo difesero i Rosenberg, accusando gli Stati Uniti di aver inscenato un processo farsa per soddisfare la paranoia dell’opinione pubblica. Erano anni in cui l’anticomunismo negli Stati Uniti era straordinariamente aggressivo, quasi ossessivo, e si sarebbe inasprito ancora di più negli anni successivi con il fenomeno diventato famoso come “maccartismo”, dal nome del senatore Joe McCarthy. Tra gli intellettuali che si esposero per difendere i Rosenberg ci furono Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Frida Kahlo e suo marito Diego Rivera, Jean Paul Sartre e Pablo Picasso. Il Papa, Pio XII, chiese pubblicamente che ai Rosenberg venisse risparmiata la pena di morte.

Un soldato sorride mentre mostra il giornale che titola “I Rosenberg muoiono stasera”, il 19 giugno 1953 (Hulton Archive/Getty Images)

Nonostante l’ossessione, alcune accuse contro Julius Rosenberg erano fondate. Da un lato non fu mai dimostrato che lui, Greenglass, Fuchs e gli altri avessero contribuito alla costruzione della bomba sovietica, anzi si provò il contrario. Dall’altro però avevano davvero passato ai sovietici una gran quantità di informazioni.

Ma a differenza di quello di Julius Rosenberg, l’impianto accusatorio di Ethel non era molto solido. Si reggeva solo sulla testimonianza di Greenglass, che durante il processo raccontò il coinvolgimento della sorella in un unico episodio risalente a una sera del settembre del 1945. Greenglass, che faceva il militare macchinista a Los Alamos (New Mexico) dove stavano sviluppando l’atomica, era andato a casa dei Rosenberg a consegnare delle informazioni segrete sulle attività in corso. Secondo quanto detto da Greenglass, fu Ethel a trascrivere le informazioni riferite dal fratello con una macchina da scrivere, e questo bastò a dimostrare il suo coinvolgimento e a condannarla.

Durante il processo i coniugi Rosenberg furono chiamati più volte a testimoniare e fu chiesto loro di spiegare la vicinanza all’estrema sinistra americana e il loro coinvolgimento nelle attività di spionaggio. Entrambi si avvalsero sempre della facoltà di non rispondere, prevista dal quinto emendamento della Costituzione americana.

Anni dopo, Greenglass avrebbe ritrattato la sua testimonianza. Ammise che nel 1951 in realtà non ricordava con esattezza chi avesse trascritto le informazioni, e che poteva anche essere stata sua moglie Ruth. Negli anni successivi alla condanna dei Rosenberg, in molti – compresi numerosi storici – hanno ritenuto che Ethel Rosenberg non fosse davvero coinvolta e che la testimonianza di Greenglass fosse servita a distogliere i sospetti da sua moglie, anche lei indagata come spia.

Nel 2008 il New York Times intervistò Morton Sobell, che ammise l’attività di spionaggio in cui erano coinvolti lui e Julius Rosenberg. Sobell all’epoca delle indagini e degli arresti dell’FBI aveva tentato senza successo di fuggire in Messico, e poi nel processo ai Rosenberg era stato condannato a trent’anni di carcere, scontandone alcuni ad Alcatraz. Nell’intervista del 2008 gli fu chiesto se fosse stato una spia e lui rispose: «Sì, sì, chiamatemi pure così. Io però non l’ho mai vista in quei termini». E su Ethel Rosenberg disse che sapeva cosa faceva suo marito, ma che era colpevole solo di una cosa: di «essere la moglie di Julius».

Nel 2015 è stato desecretato il verbale della testimonianza privata che Greenglass fece al gran giurì il 7 agosto 1951, prima che Ethel venisse arrestata. Nelle 47 pagine della trascrizione di quella testimonianza, avvenuta privatamente, Greenglass non citò mai la donna, a differenza di quanto fece nella testimonianza al processo.

– Leggi anche: L’ultima esecuzione per crimini comuni in Italia, nel 1947