Una canzone di Tom Waits

"So scrivere solo due tipi di canzoni: quelle sarcastiche e quelle romantiche"

(AP Photo/Steven Senne)
(AP Photo/Steven Senne)

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Da qualche settimana Linus si è messo a fare un suo piccolo show personale su Instagram: forse ha visto come si era divertito Nicola Savino con il suo durante il lockdown (ripreso nei mesi scorsi ma azzoppato dalle inibizioni sui diritti di alcune canzoni), forse ha saputo come mi divertivo io qui, e ha messo insieme una cosa che è venuta in mezzo tra le due. Ovvero una diretta video su Instagram ma di toni molto “quieti e notturni”: anzi, a volte le canzoni hanno maggiori vivacità ma è quieta e notturna tutta la confezione intorno. E Linus si sfoga a ritirare fuori la musica di quando gli piaceva la musica, quella tra gli anni Settanta e Ottanta (e questo si risolve in sono grosse sintonie con quello che passa questo convento). Tutto questo per dire che mi ha fatto riscoprire un vecchio pezzo dei Soft Cell che avevo dimenticato, che Linus usa come sigla e “stacchetto”.
Il pezzo nuovo di Andrea Laszlo De Simone di cui avevo scritto venerdì scorso l’ho ascoltato assai nel weekend, con o senza il giochino delle webcam: è effettivamente molto bello, ma anche perché è tutto una madeleine, tra Tenco, Endrigo, il valzer, e soprattutto la Canzone dell’amore perduto.
I Genesis hanno di nuovo riprogrammato il tour della reunion previsto in origine per lo scorso autunno, e poi spostato a primavera: i miei biglietti per Glasgow ora sono per l’8 ottobre. Una cosa accessoria divertente è che hanno fissato una data di Manchester la stessa sera in cui a Manchester è previsto anche un concerto di Steve Hackett, leggendario chitarrista della leggendaria formazione originale (quasi originale).
Adele si è ricordata che ieri erano dieci anni dal suo secondo disco.
Il Guardian ha un ritratto di Suzi Quatro, che ha 70 anni e ha fissato un concerto alla Royal Albert Hall tra più di un anno. E  di cui confesso di non ricordare una canzone: ma personaggio, e storia.

Kentucky Avenue
Quando eravamo giovani Tom Waits non faceva tanto per noi, benché fosse il periodo dei suoi maggiori successi e apprezzamenti: e lui allora stava peraltro facendo quelle sue cose molto celebrate, più strane, di baccano e cacofonia ai miei orecchi. Che ne sapevo dei suoi dischi di quando avevo nove anni? Li ho scoperti dopo, e fu sorprendente conoscere tutta quella dolcezza e persino un periodo iniziale in cui lui sembrava avere la voce di un altro, normale. Così, attingendo ai cd del mio solito amico Mirco che la sapeva lunga, misi insieme una cassetta di sue cose quiete e notturne che rese ulteriormente quiete e languide le mie notti per molti anni.
Da Playlist (sintesi di un pezzo precedente):

Tom Waits ha la voce fatta a forma della sua faccia, che pare sia stata impastata da un pizzaiolo e lasciata nel forno troppo a lungo. Tom Waits è un mito. Lo è davvero: gode di un culto unanime, scrive musica e pubblica dischi da più di trent’anni, non riceve mai una critica negativa, decine di colleghi lo citano a modello, le sue canzoni sono state cantate da tutti, talento e riservatezza gli stanno incollati addosso, incollati alla sua faccia, accrescendo il suo fascino presso i fans. Rispondendo a un giornalista che gli chiedeva della sua ricca ed elevatissima produzione di canzoni, una volta disse: “Non ci vedo niente di così straordinario, so scrivere solo due tipi di canzoni: quelle sarcastiche e quelle romantiche”.

Noi qui siamo del team romantiche.

Ognuno ha la sua. La strada dove giocavo io da ragazzino si chiamava via D’Achiardi. C’era un signore, “il Gabbani”, che ci bucava il pallone (“ve lo foro!”) quando finiva nel suo giardino, e bisognava scavalcare la ringhiera e correre a prenderlo prima che uscisse con la bava alla bocca e un coltello da cucina in mano. Panico. “Mrs. Storm will stab you with a steak knife if you step on her lawn”. Tom Waits era cresciuto in una strada che si chiamava Kentucky avenue, a Whittier, in California. Queste sono le storie di quei tempi. La Buick dovrebbe essere una Roadmaster del ’55, come quella di “Ol’ 55”, per via dei quattro fori sulla fiancata. I versi finali parlano di un amico di Waits, Kipper, che stava su una sedia a rotelle con la poliomielite.


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