Agostino Miozzo durante una conferenza stampa a Roma, il 5 febbraio 2020. (EPA/ Alessandro Di Meo via ANSA)

Per il Cts le scuole dovrebbero essere aperte, di nuovo

Lo ha detto Agostino Miozzo, il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, secondo cui «la scuola dovrebbe essere una priorità oltre che un diritto»

Secondo Agostino Miozzo, il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico (Cts) che consiglia il governo sulle questioni legate all’epidemia da coronavirus, nonostante ci si trovi «in piena pandemia» e «i numeri del contagio siano molto elevati» le scuole potrebbero essere aperte. In un’intervista al Corriere della Sera Miozzo ha fatto riferimento alle ordinanze che posticipano la riapertura delle scuole in alcune regioni e ha spiegato che, nonostante le criticità, il Comitato ritiene che «esistano tutte le condizioni che consentono il ritorno in classe nelle zone gialle e arancioni come stabilisce appunto il DPCM del 14 gennaio».

A dicembre Miozzo aveva definito «miope» la decisione di chiudere precipitosamente le scuole superiori e adesso ha detto che il Cts ha «dovuto ribadire» la sua posizione, aggiungendo che «se qualche presidente ritiene che nel suo territorio non esistano le premesse per garantire la ripresa in sicurezza delle scuole, può adottare misure più restrittive. Per quanto ci riguarda la scuola dovrebbe essere una priorità oltre che un diritto».

Miozzo ha spiegato che negli ultimi mesi durante i tavoli di lavoro con i prefetti sono state proposte diverse soluzioni per tenere aperte le scuole e che «quindi le Regioni hanno avuto tutte le indicazioni utili per intervenire sul campo». Miozzo ha peraltro aggiunto che in molti Paesi dell’Unione Europea le scuole sono rimaste aperte, «a parte brevi periodi di lockdown, e non sono stati imposti gli obblighi da noi adottati: distanziamento, banchi monoposto, distribuzione gratuita di gel e mascherina».

Con la chiusura delle scuole, invece, gli studenti del «quarto e quinto anno delle superiori rischiano di saltare quasi un anno di lezioni in presenza», mentre «gli iscritti al primo anno di università non vedranno aule e professori». Questo secondo Miozzo significa che «un’intera generazione di giovani si affacceranno al mercato del lavoro con un buco di apprendimento e di esperienza devastanti che peserà sul loro futuro».

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