Gli scenari di una possibile crisi di governo

L'accidentato percorso del Recovery Fund e gli esiti che possono derivarne: rimpasto, nuovo premier, diversa maggioranza, elezioni

Giuseppe Conte (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Giuseppe Conte (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Nel contesto della possibile crisi di governo di cui si parla da settimane sui giornali, si inseguono due discorsi che a volte sembrano coincidere e altre volte meno. Il primo ha a che fare con i tempi e i contenuti del piano italiano per il Recovery Fund, con la sua faticosa riscrittura e tutti i passaggi politici per arrivare all’approvazione. L’altro riguarda gli scenari politici che potrebbero anche non dipendere dalla vicenda del Recovery Fund: non è insomma chiaro quanto e fino a che punto le difficoltà politiche tra il governo e il partito che potrebbe far mancare la maggioranza al governo – Italia Viva, guidato da Matteo Renzi – siano legate ai contenuti del piano e siano risolvibili con una mediazione sul piano stesso.

I tempi
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrà essere presentato alla Commissione europea entro il 30 aprile del 2021. Alla presentazione è prevista l’erogazione della prima tranche del Recovery and Resilience Facility (nome formale del Recovery Fund) che è pari a circa 20 miliardi. Il Piano sarà poi valutato dalla Commissione e approvato dal Consiglio dell’UE – l’organo dove siedono i rappresentanti dei 27 governi – a maggioranza qualificata.

Il Piano dovrà elencare per ogni progetto il contesto in cui si inserisce, gli obiettivi che deve raggiungere alla fine del periodo di finanziamento e quelli intermedi: questo permetterà alla Commissione di monitorare lo «stato di avanzamento» delle riforme e del piano di investimenti, e in base a questa valutazione verranno decise le erogazioni semestrali degli stanziamenti successive all’approvazione del piano stesso. La Commissione potrà eventualmente chiedere spiegazioni e nella peggiore delle ipotesi rinviare o bloccare l’erogazione dei fondi.

Negli ultimi giorni, per quanto riguarda l’Italia, sono state espresse diverse preoccupazioni sullo stato di avanzamento della stesura del Piano, a causa delle difficili negoziazioni con il partito di Matteo Renzi e della possibile crisi politica che potrebbe derivarne.

La prima bozza del Piano è finita al centro delle principali contestazioni di Italia Viva, che oggi fa parte della maggioranza, e che ha 40 parlamentari e due ministre al governo: Elena Bonetti (Pari opportunità) e Teresa Bellanova (Politiche Agricole). Anche altri partiti hanno chiesto delle modifiche al governo e mercoledì 6 gennaio Giuseppe Conte e i ministri Roberto Gualtieri (Economia), Vincenzo Amendola (Affari europei) e Giuseppe Provenzano (ministro per il Sud e la Coesione territoriale) si sono riuniti per lavorare alla nuova bozza che, il giorno dopo, modificata, è stata inviata a PD, IV, M5S e LeU.

Giuseppe Conte deve trovare un accordo con i capi delegazione delle forze di maggioranza per fare il punto sul Recovery Fund e trovare un accordo sulla bozza da portare al Consiglio dei ministri che, molto probabilmente, sarà convocato sabato o dopo. Solo dopo la ratifica del governo il testo arriverà alle Camere, per essere votato.

Da qui in poi, le ipotesi
A seconda di come andrà la trattativa si capirà con più chiarezza che direzione prenderanno le cose. La “crisi di governo”, se verrà aperta e non siamo ancora in questa fase, potrebbe avere risultati diversi.

Giuseppe Conte potrebbe decidere di dimettersi, di salire al Quirinale e ricevere un nuovo incarico da Sergio Mattarella per formare un terzo governo diverso da quello attuale, ma guidato sempre da lui: un Conte-ter. E si tratterebbe di quella che i giornali chiamano “crisi pilotata”, che avverrebbe con il benestare di Renzi.

Una volta date le dimissioni, l’esito delle consultazioni potrebbe però portare alla formazione di un governo con la stessa maggioranza, ma con un presidente del Consiglio diverso, ipotesi che Matteo Renzi ha più volte citato, ma che non sembra trovare il consenso del Partito Democratico. Ed è anche possibile che si formi un governo tecnico o istituzionale, con la partecipazione trasversale dei principali partiti e guidato da una figura “esterna” (sui giornali sono state fatte varie ipotesi, che vanno dall’ex presidente della BCE Mario Draghi all’ex presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia).

Un altro esito possibile della crisi è che il presidente del Consiglio Conte decida di non dimettersi e di optare per un rimpasto, modificando i ministri dell’attuale governo, chiedendo la fiducia alle Camere. Italia Viva potrebbe votare a favore oppure no. In questo secondo caso, Conte potrebbe andare alla ricerca di una maggioranza non più politica, ma solo numerica. E questo si potrebbe realizzare se qualche parlamentare di Italia Viva o di altri partiti contrari al voto anticipato si disallineassero dai loro gruppi (si tratterebbe di quelli che in queste ore vengono definiti “responsabili”).

Come scrive Repubblica, «la maggioranza, al suo massimo “splendore” al Senato, ha toccato anche quota 170 (…). Poi ha sempre ondeggiato attorno alla soglia del pericolo di 161. Con 18 renziani in meno, addio: anche dall’apice di 170 si scenderebbe a 152. Da Palazzo Chigi in queste ore hanno lasciato intendere che sarebbero sufficienti anche 6 senatori per andare avanti e che le caselle sarebbero pure occupate». Ma chiaramente, una maggioranza così fragile creerebbe problemi nelle commissioni e avrebbe conseguenze sulla solidità della propria legittimazione politica.

Se invece in Parlamento non esistesse una maggioranza (la stessa di ora o una diversa) a sostegno di un nuovo governo, si andrebbe a elezioni.