• Mondo
  • Domenica 3 gennaio 2021

Quali economie in via di sviluppo otterranno dei vantaggi dalla pandemia?

Se lo è chiesto sul New York Times il principale analista strategico della banca d’affari Morgan Stanley, facendo qualche ipotesi su paesi come Polonia e Vietnam

Una venditrice ambulante al telefono in una strada di Hanoi, in Vietnam, il 17 maggio 2020 (Linh Pham / Stringer / Getty Images)
Una venditrice ambulante al telefono in una strada di Hanoi, in Vietnam, il 17 maggio 2020 (Linh Pham / Stringer / Getty Images)

Le grandi crisi sono seguite spesso da periodi di crescita e prosperità, e c’è chi comincia a chiedersi se alcuni paesi con economie in via di sviluppo andranno meglio di prima quando la pandemia da coronavirus sarà passata. Se lo è chiesto, in un articolo d’opinione sul New York Times, Ruchir Sharma, chief global strategist della banca d’affari Morgan Stanley e autore di tre saggi sullo sviluppo economico delle nazioni.

Secondo Sharma, alla fine del periodo che stiamo vivendo non ci sarà un aumento della crescita economica generale simile a quello dei primi anni Duemila, quando la globalizzazione dei mercati e l’aumento dei prezzi di molte materie prime favorì lo sviluppo di tanti paesi asiatici, africani e sudamericani, ma ci sarà comunque qualcuno che otterrà un vantaggio dalla situazione internazionale.

L’analisi di Sharma si basa su considerazioni storiche sull’andamento del reddito medio. Dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi le economie in via di sviluppo e quelle “avanzate” sono spesso cresciute con lo stesso ritmo, ma non si può dire lo stesso per il reddito medio: dato che le popolazioni dei paesi con economie in via di sviluppo diventavano sempre più grandi, il reddito pro capite restava basso anche al crescere dell’economia. Per questo, se si vanno a vedere i dati del Fondo Monetario Internazionale, la maggior parte dei paesi che sono considerati “economie avanzate” lo erano già nel 1945. Ci sono solo rare eccezioni di paesi che sono passati da “in via di sviluppo” ad “avanzati”, come la Corea del Sud, il Giappone e Taiwan, che sono riusciti a crescere soprattutto esportando i propri prodotti nel resto del mondo.

Nella situazione attuale però, spiega Sharma, lo sviluppo economico non sarà favorito dalle esportazioni, ma dalle iniziative di chi saprà sfruttare bene i lati positivi di ciò che sta accadendo nel mondo: l’aumento dell’uso degli strumenti digitali, le riforme economiche introdotte per mitigare gli effetti della pandemia e un aumento dei prezzi delle materie prime.

Per quanto riguarda il primo punto, l’adozione di tecnologie digitali può avvenire più rapidamente nei paesi con economie in via di sviluppo rispetto a quelli con economie avanzate, grazie alla minore presenza di infrastrutture e regolamentazioni sul modo in cui si lavora. In paesi come Cina, Russia, Polonia, Argentina e Kenya stanno crescendo molte aziende che lavorano con internet e forniscono servizi di vario genere sapendo rispondere meglio di aziende straniere alle esigenze degli utenti locali. «In media, i ricavi delle attività digitali stanno crescendo e i costi di avviare un’attività stanno calando, più velocemente nei paesi con economie emergenti», aggiunge Sharma.

Le riforme economiche introdotte dai governi per far fronte alla pandemia invece potrebbero avere un effetto positivo per via della loro ampiezza. Storicamente i paesi con economie in via di sviluppo attraversano cicli di riforme che prima sostengono le economie e poi le danneggiano, ma la situazione attuale, secondo Sharma, potrebbe interrompere questa alternanza perché mai prima d’ora erano state necessarie misure tanto nette. Nei paesi con economie sviluppate gli stati stanno usando le proprie risorse per compensare la riduzione delle attività dovuta ai lockdown e alle altre misure restrittive, mentre i paesi con economie in via di sviluppo non possono farlo perché non sono abbastanza ricchi. Proprio per questo però hanno dei motivi in più per introdurre riforme ambiziose che, per quanto impopolari al momento (come le liberalizzazioni del commercio agricolo in India, osteggiate dai contadini), dovrebbero far aumentare la produttività e la crescita economica in futuro. L’Indonesia, ad esempio, sta riducendo le tasse per favorire gli investimenti e la creazione di nuovi posti di lavoro. Il Brasile sta cercando di riformare il suo sistema pensionistico, che pesa moltissimo sulle casse dello stato ed è insostenibile. L’Arabia Saudita sta aggiornando le sue regole sull’immigrazione per aumentare la concorrenza nel mercato del lavoro.

Una cosa che negli ultimi tempi ha danneggiato molte economie emergenti è il calo dei prezzi o delle esportazioni delle materie prime su cui sono in buona parte basate. I paesi che dipendono troppo dalle esportazioni di materie prime, dal petrolio a certi prodotti alimentari, risentono infatti delle fluttuazioni dei prezzi globali di tali merci. Sharma usa come esempio i paesi esportatori di petrolio: nella maggior parte dei casi il loro reddito pro capite, in rapporto a quello degli Stati Uniti e dei paesi europei con economie avanzate, non è aumentato da quando hanno trovato il petrolio. Tuttavia la crescita dei mercati di alcune materie prime può aiutare: paesi come il Brasile, la Russia e l’Arabia Saudita potrebbero essere favoriti sul breve periodo se i prezzi del petrolio, ad esempio, continuasse ad aumentare.

Inoltre anche se nell’economia globale di oggi la produzione industriale è meno importante rispetto al passato per la crescita di un paese, continua a essere una via per lo sviluppo e paesi come il Vietnam e il Bangladesh, ma anche la Polonia e la Repubblica Ceca, dove il costo del lavoro è più basso che altrove e per molte aziende ha senso investire, potrebbero beneficiare di una crescita in questo senso. Sharma si sofferma in particolare sul caso della Polonia, dove oggi molte aziende multinazionali fanno realizzare i propri prodotti, e su quello del Vietnam, dove succede la stessa cosa (molte attività produttive sono state spostate lì dalla Cina) e il governo sta investendo per realizzare infrastrutture come porti e strade, oltre che in programmi per ridurre la povertà.

Altre previsioni sono meno ottimistiche di quelle di Sharma. A ottobre gli economisti del Fondo Monetario Internazionale Gabriela Cugat e Futoshi Narita avevano spiegato come una delle conseguenze della pandemia potrebbe essere un aumento dei divari tra ricchi e poveri nei paesi con economie in via di sviluppo. In molti casi le misure per contrastare la pandemia hanno aumentato le diseguaglianze, avendo effetti maggiormente negativi su chi aveva un lavoro poco sicuro e sulle donne, due categorie di persone già svantaggiate.