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  • Martedì 29 dicembre 2020

Il massacro di Wounded Knee, 130 anni fa

Il 29 dicembre 1890 centinaia di nativi americani furono uccisi brutalmente in uno degli ultimi scontri delle Guerre indiane

Cartelli commemorativi a Wounded Knee nel marzo del 1973, quando era in corso l'occupazione di Pine Ridge da parte dell'American Indian Movement. (AP Photo)
Cartelli commemorativi a Wounded Knee nel marzo del 1973, quando era in corso l'occupazione di Pine Ridge da parte dell'American Indian Movement. (AP Photo)

Il 29 dicembre del 1890, 130 anni fa, il 7° reggimento di cavalleria dell’esercito degli Stati Uniti compì uno dei più noti massacri di nativi americani della storia del paese, vicino alla riserva indiana di Pine Ridge, nella zona sud-occidentale del South Dakota. Il massacro di Wounded Knee, dal nome della località dove avvenne, è considerato l’ultimo grande scontro tra l’esercito americano e le tribù di nativi americani nell’ambito delle cosiddette Guerre indiane, che segnarono la conquista delle nazioni indiane e in molti casi la decimazione dei loro abitanti. Secondo le fonti ufficiali, nel massacro di Wounded Knee vennero uccisi almeno 150 nativi Sioux della tribù Oglala Lakota, ma diversi storici sostengono che le persone uccise siano state circa il doppio.

Le cosiddette Guerre indiane furono combattute tra il Settecento e l’Ottocento negli stati del nord-ovest degli Stati Uniti attraversati dalle Grandi Pianure: per semplificare, i nativi americani affrontarono prima i coloni, che volevano conquistare le terre su cui abitavano da secoli, e poi le autorità statunitensi, che volevano controllarle.

Alla fine dell’Ottocento, dopo anni di scontri molto violenti, gli Stati Uniti avevano di fatto vinto la guerra e costretto la maggior parte delle tribù indiane a vivere nelle riserve. Le condizioni di vita nelle riserve erano tuttavia sempre più difficili, mancavano protezioni legali per la loro salvaguardia e anche quando venivano firmati dei trattati gli Stati Uniti li violavano per continuare la conquista di terre e materie prime. Le rivolte erano frequenti e venivano represse con violenza, mentre le controversie venivano risolte in modo arbitrario e a svantaggio degli indiani.

Tra il 1889 e il 1890, in molte riserve la situazione peggiorò ulteriormente a causa dell’inverno particolarmente rigido e di una successiva lunga siccità. Come altre tribù, i Lakota non disponevano più degli ampi territori di caccia che controllavano in precedenza e avevano cominciato a fare sempre crescente affidamento su cibo e servizi che ricevevano in cambio della loro permanenza nelle riserve. Anche a loro, come ad altre tribù, era inoltre stato imposto di adottare l’inglese, usare vestiti occidentali e convertirsi al cristianesimo. Nel 1889, inoltre, il governo statunitense aveva deciso di tagliare i finanziamenti per le tribù Sioux, con una conseguente riduzione delle forniture di cibo per le riserve.

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All’inizio del 1890, in questo contesto, tra gli indiani si diffuse un nuovo culto spirituale chiamato Ghost Dance (danza dello spirito), un movimento a metà tra il cristianesimo e le religioni indiane, legato all’idea che nel 1891 si sarebbe verificato un ritorno alla situazione precedente l’arrivo dei colonizzatori europei. Tra i Lakota, e in particolare nella riserva di Pine Ridge, la Ghost Dance si era diffusa rapidamente, con i suoi simboli e la danza che doveva essere praticata per consentire il ritorno alla vita prima della colonizzazione.

A Pine Ridge, Daniel F. Royer, il nuovo direttore dell’agenzia che supervisionava la riserva, si convinse che la Ghost Dance fosse un problema e un pericolo. La diffidenza nei confronti del culto era diffusa, ma Royer, come altri, la interpretava come un segno che le tribù si stavano preparando a un’imminente insurrezione. Per questo, Royer cercò di allontanare dalla riserva i capi tribù considerati praticanti del culto e chiese l’intervento dell’esercito per interromperne la diffusione.

Il 15 dicembre del 1890 la polizia che aveva giurisdizione sulla riserva di Pine Ridge provò ad arrestare Toro Seduto, il capo Lakota che secondo loro aveva favorito la diffusione del movimento ed era uno dei capi indiani più famosi per aver partecipato alla famosa battaglia di Little Bighorn. Nella confusione del tentativo di arresto, Toro Seduto fu ucciso e questo fece aumentare ancora di più le tensioni con le tribù che erano state confinate nella riserva. L’esercito, spaventato dalla possibilità che iniziasse una vasta rivolta armata, decise allora di procedere al disarmo forzato di tutti gli indiani.

Il 29 dicembre il 7° cavalleggeri, guidato dal colonnello James W. Forsyth, sorprese e circondò un gruppo di Miniconjou – una tribù dei Lakota Sioux – che avanzava nella neve alta nei pressi di Wounded Knee. Il reggimento aveva molte armi e alcune mitragliatrici, mentre dei circa 350 nativi fermati soltanto poche decine portavano armi. I Miniconjou furono obbligati ad accamparsi e furono circondati in attesa di completare il loro disarmo.

Secondo le ricostruzioni successive, mentre un soldato cercava di strappare dalle mani di un indiano un fucile partì un colpo accidentale, che provocò la reazione del reggimento. I soldati cominciarono a mitragliare gli indiani accerchiati e in larga parte disarmati, uccidendoli quasi tutti, tra cui molte donne e bambini. Chi provò a scappare venne inseguito e ucciso quando ormai lo scontro era terminato. Morirono anche 25 soldati americani e 39 di loro furono feriti, la maggior parte a causa del fuoco amico.

La fossa comune in cui vennero seppelliti i morti del massacro di Wounded Knee (MPI/Archive Photos/Getty Images)

Alcuni giorni dopo i morti vennero sepolti in una fossa comune nei pressi di una piccola chiesa episcopale vicina, nel sito che oggi è conosciuto come Cemetery Hill. Dopo il massacro, il generale Nelson A. Miles aprì un’indagine sulle atrocità ordinate da Forsyth e lo destituì, ma Forsyth venne giudicato innocente e riprese il suo incarico. Tra le altre cose, l’esercito assegnò 20 medaglie d’onore ai membri del reggimento per il loro ruolo durante il combattimento.

Il massacro di Wounded Knee è considerato l’ultimo grande evento delle Guerre indiane. Benché spesso se ne sia parlato come di una battaglia, secondo molti storici questo è un termine improprio perché la maggior parte degli indiani era disarmata e i soldati americani erano molti più di loro (è stato stimato che ci fossero circa 500 soldati contro 350 indiani circa). Per decenni i sopravvissuti al massacro e i loro discendenti chiesero invano il riconoscimento del massacro subìto e un qualche tipo di risarcimento, ma le loro richieste furono ignorate ancora per molto tempo.

Nel 1968 a Minneapolis, in Minnesota, fu fondato l’American Indian Movement, che nacque per fermare le discriminazioni e le persecuzioni nei confronti dei nativi americani che erano molto diffuse in quelle zone, poche centinaia di chilometri a est di Wounded Knee. Nonostante alcuni capi indiani vedessero le proteste del movimento come troppo radicali, nel 1972 gli attivisti riuscirono a far arrestare e condannare a 6 anni di carcere i responsabili dell’omicidio di un nativo, Tuono Giallo, e a ottenere sempre più visibilità attraverso le loro campagne.

L’anno successivo circa 200 persone del movimento occuparono le terre di Pine Ridge per 71 giorni per protestare contro le dure condizioni della riserva e il modo in cui venivano trattati i nativi americani, dichiarando la “Nazione indipendente Oglala Sioux”. Dopo più di due mesi di assedio da parte della polizia, l’8 maggio del 1973 i manifestanti si arresero, ma l’evento contribuì a rafforzare ulteriormente il loro movimento.

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I problemi di Pine Ridge però non finirono e negli anni successivi ci furono altri episodi di violenza, a cui si sommarono il diffuso alcolismo e la grande povertà della zona.

Le terre dove era avvenuto il massacro e dove abitavano ancora molti discendenti dei nativi americani uccisi erano state comprate da un americano bianco del North Dakota, James Czywczynski, che nel 1968 aveva costruito un museo e un piccolo mercato dove vendeva prodotti locali realizzati anche con la collaborazione di alcuni nativi. Quando i manifestanti dell’American Indian Movement occuparono Pine Ridge distrussero il museo e il mercato. Nel 2013 Czywczynski mise in vendita le terre al prezzo di 3,9 milioni di dollari (circa 3 milioni di euro), ma le vendette solo nel 2016 per 900mila dollari (735mila euro): le terre furono comprate dall’ex giornalista Tim Giago, che vorrebbe ripristinare il museo e una piccola comunità. Oggi la Contea di Oglala Lakota, che comprende l’area del massacro e la vecchia riserva di Pine Ridge, è una delle più povere degli Stati Uniti.