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  • Lunedì 7 dicembre 2020

Nella confusione, il Milan si è ritrovato

La miglior squadra italiana in un anno così particolare è nata da un progetto fallito e ha un allenatore che non doveva restare: eppure nessuno nel 2020 è andato meglio

Diogo Dalot prima di Sampdoria-Milan (LaPresse/Spada)
Diogo Dalot prima di Sampdoria-Milan (LaPresse/Spada)

Da quando la pandemia ha cambiato il calcio professionistico, poche squadre in Europa hanno saputo migliorarsi, e meno ancora sono riuscite a invertire completamente il loro andamento. Tra calendari senza pause, infortuni più frequenti e positività che privano dei giocatori all’improvviso, anche a poche ore dalle partite, le grandi faticano a mantenere una continuità nei loro risultati e le meno attrezzate reggono come possono. In Italia, un’eccezione è rappresentata dal Milan, che dopo anni di profonde difficoltà sembra quasi avere approfittato della pandemia per risolvere di colpo tutti i suoi problemi.

Con l’ultima vittoria di domenica, il Milan si è confermato saldamente in testa alla classifica della Serie A con cinque punti in più dell’Inter e sei in più di Juventus e Napoli. In dieci giornate non ha mai perso e ha lasciato per strada soltanto quattro punti fra i trenta disponibili. Oltre ai numeri — che alla decima giornata contano, ma fino a un certo punto — quello che impressiona del Milan è come da alcuni mesi non sbagli una partita e riesca a superare una dopo l’altra tutte le prove che si presentano, come ha ammesso l’allenatore Stefano Pioli dopo la vittoria di domenica sera: «Ai miei ho detto che siamo una squadra vera. La qualità migliore di questo gruppo è che sfrutta tutte le situazioni, anche quelle negative, per avere opportunità di dimostrare la propria qualità».

Il Milan ha iniziato la stagione prima delle altre, e prima delle altre ha dovuto gestire infortuni e positività per le quali, per esempio, si è ritrovata a giocarsi la qualificazione ai gironi di UEFA Europa League con tre giocatori della Primavera, due dei quali nemmeno ventenni e senza alcuna esperienza. Nell’ultima settimana, senza il centravanti titolare e leader carismatico, Zlatan Ibrahimovic, e senza il perno della difesa, Simon Kjaer, ha saputo battere il Celtic Glasgow da uno svantaggio di 2-0, ottenendo la qualificazione ai sedicesimi di Europa League. Appena settanta ore dopo, nelle stesse condizioni, ha vinto in trasferta contro la Sampdoria, non senza faticare ma riuscendo comunque a dare un’altra prova di solidità.


Quello che sorprende nel vedere il Milan in testa al campionato è che la squadra di oggi è nata come rimedio a un progetto tecnico fallito, iniziato a giugno dello scorso anno con l’ingaggio di Marco Giampaolo e terminato appena cinque mesi dopo con il suo esonero. In quel breve tempo Giampaolo non era riuscito a trovare un equilibrio tra il suo caratteristico gioco articolato e le esigenze di un ambiente difficile, per giunta frustrato da anni di insoddisfazioni. Come rimpiazzo fu scelto Pioli, un allenatore più abituato a lavorare con le pressioni dei grandi club, avendo già allenato Lazio e Inter. La scelta di Pioli sembrava tuttavia quella di un cosiddetto “traghettatore” con il quale limitare i danni fino al termine della stagione: la società stava infatti predisponendo un nuovo progetto tecnico da affidare al manager tedesco Ralf Rangnick.

La svolta per il Milan di Pioli è arrivata alla sesta partita dopo la ripresa del campionato, lo scorso 7 luglio. Quel giorno, dopo aver battuto nettamente Roma e Lazio, a San Siro si presentò la Juventus — ancora non sicura dello Scudetto — che venne incredibilmente rimontata di due gol e battuta 4-2 in appena mezzora di partita. Da lì Milan ha preso evidentemente fiducia nei suoi mezzi e in campionato non ha più perso: è imbattuto da diciassette partite consecutive. Col passare del tempo, classifica alla mano, è diventata la squadra più efficace della Serie A. Per il direttore tecnico Paolo Maldini, il dirigente che più ha contribuito alla costruzione di questa squadra, dietro i risultati «c’è qualcosa di segreto, che probabilmente non scopriremo mai, e sicuramente tanto lavoro, un concetto di gioco, un’idea della proprietà verso i giocatori giovani».

L’impressione è che il Milan abbia trovato la quadra con un equilibrio che poggia su cinque giocatori di alto livello: il portiere Gianluigi Donnarumma, ormai una sicurezza, il terzino Theo Hernandez, che offre continuamente una sponda affidabile al gioco, Franck Kessié, di fatto un “tuttocampista” per lo spessore delle sue prestazioni, Hakan Calhanoglu, che aggiunge qualità e contributi offensivi decisivi, e per finire Zlatan Ibrahimovic, il quale, oltre a continuare a segnare come faceva un tempo, viene descritto come guida e motivatore in una squadra altrimenti poco abituata ai livelli ambiti dal club.


Fra queste certezze, sostenute da qualità ed estro dei tanti giovani di qualità a disposizione, è nata una squadra bilanciata in cui tutti i titolari sembrano essere al loro posto, e dove anche chi subentra risulta decisivo. Il migliore esempio è l’esterno norvegese Jens Petter Hauge, acquistato quasi alla cieca dal Bodø/Glimt dopo averlo affrontato nei preliminari di Europa League a fine settembre, che continua a sorprendere ogni volta in cui viene chiamato in causa.

Arrivati a questo punto, sembra che dopo molti anni il Milan possa competere nuovamente ai più alti livello del campionato, in modo stabile: l’obiettivo minimo è il ritorno in Champions League dopo sette anni. La stagione tuttavia è ancora lunga e incerta, come non lo è mai stata prima. Il periodo natalizio sarà probabilmente il primo spartiacque: tra coppe e turni infrasettimanali, le squadre di alta classifica giocheranno in media ogni tre giorni fino al 10 gennaio, quando ci si fermerà per la prima sosta e si potrà fare un primo vero bilancio.