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  • Domenica 6 dicembre 2020

Trent’anni dal disastro aereo di Casalecchio di Reno

Alle dieci e mezza di giovedì 6 dicembre 1990 un aereo militare si schiantò contro una scuola vicino a Bologna, uccidendo 12 studenti

L'Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno pochi minuti dopo lo schianto
L'Istituto Salvemini di Casalecchio di Reno pochi minuti dopo lo schianto

Alle 8.48 del 6 dicembre 1990 un aereo da addestramento dell’Aeronautica Militare italiana decollò dall’Aeroporto di Verona-Villafranca per testare nuovi sistemi elettronici di difesa. Il pilota assegnato era il sottotenente Bruno Viviani, di ventiquattro anni, che avrebbe dovuto volare in una zona circoscritta tra i confini di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Dopo circa un’ora di volo, però, Viviani comunicò al centro radar militare di Padova che il motore del velivolo si era «piantato», cioè era andato in blocco, a 1371 metri di altitudine sopra Ferrara.

Dopo aver comunicato l’emergenza, Viviani disse di volersi dirigere se possibile verso la pista dell’aeroporto ferrarese di San Luca. Alle 10.18 il motore sembrò riprendersi, ma con una potenza del 72 per cento che convinse Viviani a comunicare l’intenzione di atterrare nel meglio attrezzato Marconi di Bologna, in quel momento distante 22 chilometri. Per arrivarci, Viviani scaricò in volo quasi tutto il carburante a bordo. Alle 10.25 la torre di controllo di Bologna lo avvistò, ma i motori continuarono a surriscaldarsi e Viviani comunicò: «Ho delle forti vibrazioni… Ho i comandi laschi, mi sa che mi lancio». Alle 10.31 fu registrata l’ultima comunicazione, nelle quale la torre di controllo di Villafranca disse di portare il muso dell’aereo sull’orizzonte e dirigerlo verso una zona disabitata. Il pilota si fece espellere dall’abitacolo in quegli istanti, ma subito dopo il velivolo cambiò totalmente direzione, dirigendosi fuori Bologna, verso il centro di Casalecchio di Reno.

Il lancio del pilota e la caduta libera dell’aereo furono ripresi casualmente da un operatore di una rete televisiva locale. Due minuti dopo l’ultima comunicazione l’aereo si schiantò sul primo piano dell’Istituto tecnico commerciale Salvemini di Casalecchio.

Era un normale giovedì di dicembre: nell’istituto — una succursale della sede centrale — si trovano oltre duecento studenti, compresi quelli della classe II A, la cui aula fu colpita in pieno e incendiata all’istante. Si salvarono solo quattro studenti, dodici invece morirono sul colpo: Deborah Alutto, Laura Armaroli, Sara Baroncini, Laura Corazza, Tiziana de Leo, Antonella Ferrari, Alessandra Gennari, Dario Lucchini, Elisabetta Patrizi, Elena Righetti, Carmen Schirinzi e Alessandra Venturi. I feriti furono un centinaio e oltre ottanta di loro subirono invalidità permanenti causate dalle ustioni e dai traumi subiti nell’impatto o gettandosi dalle finestre.


Nel frattempo Viviani era sopravvissuto al lancio finendo nella zona collinare nei pressi di Casalecchio con delle fratture alle vertebre per le quali venne ricoverato a Bologna.

Dal disastro nacque un processo, iniziato nel gennaio 1995 a carico del pilota e di due comandanti del 3º Stormo di Villafranca, ai quali venne imputata la responsabilità per non aver fatto il possibile per evitare che l’aereo finisse in un centro abitato. I militari vennero difesi dall’Avvocatura dello Stato, la quale dovette quindi negare il suo patrocinio alle vittime, nonostante fossero state colpite mentre si trovavano in un edificio pubblico sotto la responsabilità del ministero dell’Istruzione. La sentenza di primo grado venne emessa a febbraio dello stesso anno, con condanne a due anni e sei mesi per i tre militari imputati, oltre al pagamento dei risarcimenti a vittime e familiari.

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I giudici stabilirono inizialmente che il disastro si verificò «a causa di tre fattori intrecciati in modo praticamente inscindibile: un sovraccarico del 12 per cento rispetto al peso raccomandato, la contaminazione da neve e/o ghiaccio, l’inadeguata manovra del pilota», il quale secondo l’accusa avrebbe dovuto dirigersi verso l’Adriatico. Le condanne vennero però tramutate in sentenze di assoluzione nel processo di secondo grado, svoltosi due anni dopo: il fatto non costituiva reato — come poi confermò la Cassazione — perché il pilota era stato sorpreso da un devastante incendio all’interno del velivolo mentre sorvolava la pista del Marconi in preparazione all’atterraggio di emergenza, dopo aver seguito le procedure in modo adeguato.

L’assoluzione creò malumori e lunghe proteste da parte di familiari e studenti. Lo Stato maggiore dell’Aeronautica militare si espose dicendo: «Non proviamo né esultanza, né gioia. Questa assoluzione ci fa piacere solo perché una conferma della sentenza di primo grado avrebbe comportato la progressiva paralisi dell’attività dei nostri piloti». Per la giustizia il disastro aereo di Casalecchio passò quindi in giudicato come un incidente.
A trent’anni di distanza il Salvemini è ancora attivo e il 6 dicembre di ogni anno organizza commemorazioni per i dodici studenti morti nel 1990. L’Istituto è stato ristrutturato mantenendo gli squarci sulle pareti, grossomodo come è stato fatto alla Stazione centrale di Bologna per il memoriale delle vittime della strage del 2 agosto 1980.

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