Cosa sta succedendo a Unicredit

Da giorni si fanno ipotesi sui motivi delle dimissioni di Pierre Mustier da amministratore delegato della banca, ma non ci sono certezze

Pierre Mustier (ANSA/Mourad Balti Touati)
Pierre Mustier (ANSA/Mourad Balti Touati)

Lunedì 30 novembre, l’amministratore delegato del gruppo bancario Unicredit, Jean Pierre Mustier, ha comunicato la sua decisione di lasciare il proprio incarico alla fine del mandato in corso, che scade ad aprile 2021. Mustier, 59enne francese con un passato da paracadutista nell’esercito e 33 anni di carriera bancaria alle spalle, di cui la maggior parte passati nella banca parigina Société Générale, è alla guida di Unicredit dall’estate 2016.

Mustier ha attribuito la scelta di lasciare la sua posizione a una differenza di vedute sorta negli ultimi mesi col Consiglio di amministrazione di Unicredit, sostenendo che la strategia quadriennale da lui proposta un anno fa, soprannominata Piano Team 23, non sia più in linea con l’attuale visione del CdA.

Il Piano Team 23 aveva diversi obiettivi: mirava ad aumentare il numero di clienti di Unicredit in Europa e a incrementare la produttività della banca trasformandola in una paperless bank (cioè digitalizzandone i processi). Puntava inoltre a risparmiare un miliardo di euro attraverso il taglio di 8 mila posti di lavoro e la chiusura di 500 filiali, nonché a ridurre i crediti deteriorati della banca, aumentarne il patrimonio e remunerarne gli azionisti, sia attraverso la distribuzione di dividendi per 6 miliardi di euro sia riacquistando azioni proprie per 2 miliardi di euro (il cosiddetto buyback: un modo ulteriore di distribuire ricchezza all’azionariato).

Mustier voleva creare una subholding in cui convogliare le attività estere del gruppo per ottimizzarne struttura e costi. Il progetto era stato però accantonato perché ritenuto non più necessario dallo stesso amministratore delegato, date le condizioni di politica monetaria più favorevoli dell’ultimo periodo.

Infine, il piano escludeva fusioni e acquisizioni di altre banche italiane, contemplando solo l’acquisto di piccole società che offrissero servizi complementari a quelli della banca nel centro ed est Europa.

Nei primi giorni dopo l’annuncio alcuni giornali avevano ipotizzato che fosse stato proprio questo aspetto il motivo di scontro tra Mustier e il Consiglio di amministrazione, che a ottobre aveva eletto tra i suoi membri Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia, e aveva indicato Padoan come prossimo presidente a partire dal 2021. Secondo le ricostruzioni apparse lunedì su Bloomberg e riprese da altri giornali, Mustier avrebbe infatti ricevuto pressioni dal ministero dell’Economia per acquistare Monte dei Paschi di Siena, la banca “salvata” nel 2017 dal governo italiano: allora il governo ne aveva comprato il 68 per cento con 5,4 miliardi di euro, ma entro la fine del 2021 dovrà lasciarne l’azionariato in base agli accordi presi con la Commissione europea.

Secondo Bloomberg, Padoan, che diresse il salvataggio del Monte dei Paschi quando era ministro, sarebbe stato scelto e indicato dal CdA di Unicredit proprio con l’obiettivo di favorire l’acquisizione del Monte dei Paschi, resa nel frattempo più appetibile dal governo con tre misure da inserire nella prossima legge di bilancio: la promessa di versarvi altri 2 miliardi di euro, la protezione da rischi legali fino a 10 miliardi di euro e la possibilità di ottenere crediti d’imposta fino a 3 miliardi di euro per l’acquirente.

La ricostruzione di Bloomberg implicherebbe che il Consiglio di amministrazione di Unicredit sia fortemente influenzato dal governo italiano. È un’ipotesi non dimostrabile ma comunque compatibile col fatto che la banca, il cui capitale è interamente quotato in borsa, non abbia un azionista con una maggioranza tale da permetterne il controllo: all’8 giugno, ultima data per cui la compagine azionaria era nota, il maggiore azionista era la società di investimenti statunitense BlackRock, che ne deteneva soltanto il 5,07 per cento. Unicredit è quella che in gergo si chiama una public company, una società la cui proprietà è divisa tra tanti piccoli azionisti e in cui il potere decisionale è quindi detenuto dai manager guidati dall’amministratore delegato.

A questo proposito, l’economista Alessandro Penati ha fatto notare su Domani di venerdì scorso come una fusione con Monte dei Paschi di Siena, realizzata con uno scambio azionario ai prezzi di borsa attuali, porterebbe lo stato a diventare uno dei maggiori azionisti di Unicredit, configurando una società di fatto controllata dal governo.

Nei due giorni successivi alla notizia delle dimissioni di Mustier molti azionisti hanno venduto il titolo Unicredit, portandolo a perdere 2,5 miliardi di euro di capitalizzazione. La decisione di vendere potrebbe essere stata condizionata sia dalla possibilità che la politica italiana avesse influenzato le scelte della dirigenza, sia dall’incertezza sulla strategia futura che adotterà la banca. Il calo si è poi fermato grazie a un comunicato diffuso dal Consiglio di amministrazione il primo dicembre, secondo il quale il Consiglio «non accetterà mai alcuna operazione che possa danneggiare gli interessi del gruppo e in particolare la sua posizione patrimoniale»: cioè una cosa che dovrebbe essere scontata ma evidentemente non lo è, in caso si sospettino moventi politici dietro alle decisioni di una società. Il comunicato aggiungeva anche che il Consiglio avrebbe continuato a distribuire il capitale agli azionisti (quando potrà, dal momento che la BCE ha chiesto alle banche europee di non remunerare l’azionariato fino a gennaio 2021 a causa della crisi).

Dopo il comunicato, il titolo non ha più subito grandi variazioni e venerdì sera ha chiuso la sessione di borsa a 8,13 euro, con un calo totale del 10,56 per cento nell’ultima settimana.

La ricostruzione di Bloomberg è stata smentita da Padoan. Il quale giovedì ha detto al Financial Times che la vicenda Monte dei Paschi di Siena non sarebbe stata fonte di disaccordo con Mustier, e ha aggiunto che la propria nomina in Unicredit non deve considerarsi politica e non avrebbe niente a che vedere con Monte dei Paschi. Padoan ha ripetuto la sua versione della storia in un’intervista al Corriere pubblicata oggi e confermata dallo stesso Mustier che, come riportato da La Stampa, ha insistito a sua volta che la politica non c’entri.

A riprova del fatto che la divergenza non fosse su Monte dei Paschi, domenica scorsa il Financial Times ha scritto che Mustier e Consiglio di amministrazione sarebbero stati d’accordo sul fatto che Unicredit potesse acquistare MPS in deroga alla strategia di Mustier stesso, a patto che l’operazione non avesse impatto sul capitale del gruppo (proprio a questo scopo sarebbero servite le misure inserite dal governo nella bozza della legge di bilancio).

Un’altra versione apparsa sui giornali nei giorni scorsi è che il disaccordo sia stato sulla creazione della subholding in cui collocare le attività estere del gruppo. Quest’ipotesi sembra però improbabile dal momento che il progetto era stato accantonato dallo stesso Mustier.
Stando a quanto detto oggi da Padoan al Corriere, la rottura sembra invece dovuta a una divergenza «sui passi da prendere per la strategia di integrazione fuori dall’Italia»: «Non sono in discussione le strategie, su cui siamo d’accordo. È sulle modalità che erano emerse visioni diverse». Quali siano queste modalità però non è ancora chiaro.

In questi anni, con la strategia quadriennale 2016-2019 (il Piano Transform 2019), Mustier ha puntato sulla riduzione del rischio delle attività della banca mediante la cessione di crediti in sofferenza e sulla sua ricapitalizzazione, sia attraverso un aumento di capitale da 13 miliardi di euro, sia attraverso la vendita di rami d’azienda redditizi come banca Fineco, la società di gestione del risparmio Pioneer, la banca polacca Pekao e una partecipazione dell’8,4% in Mediobanca. Insomma, ha ceduto tutto ciò che non riteneva indispensabile con l’obiettivo di fare cassa e remunerare gli azionisti.

Questa strategia è stata oggetto di dibattito perché, come ha osservato il 3 dicembre il Sole 24 Ore, sebbene i soldi incassati con l’aumento di capitale e la vendita delle partecipate ammontassero in totale a circa 23,5 miliardi di euro, la capitalizzazione di borsa di Unicredit nell’era Mustier è salita solo di 8,5 miliardi (poi ha perso altri 2,2 miliardi dopo l’annuncio delle dimissioni).

Inoltre, molti hanno sottolineato come la strategia messa in atto da Mustier abbia fatto sì che Unicredit venisse superata dalla sua maggiore concorrente italiana, Intesa SanPaolo, diventata quest’estate il più grande gruppo bancario italiano in termini di attivi con l’acquisizione di UBI Banca. La strategia seguita in questi anni da Intesa è stata opposta a quella di Unicredit: Intesa ha puntato a crescere sul territorio nazionale attraverso una serie di acquisizioni, più di una dozzina dal 2016.

Stando a quanto ha detto Padoan è quindi chiaro che qualcosa cambierà nelle scelte di integrazione di Unicredit, ma meno chiari sono i piani concreti del Consiglio di amministrazione per il futuro della banca, su cui tanto si è speculato negli ultimi giorni. Quest’incertezza, pericolosa per il titolo, cesserà solo con la nomina di un nuovo amministratore delegato e la presentazione di un nuovo piano industriale. Sul primo punto, il Consiglio di amministrazione ha cominciato a muoversi per sostituire Mustier prima della scadenza del suo contratto e potrebbe arrivare ad avere una lista ristretta di candidati nel Consiglio ordinario previsto per la settimana prossima. Quanto al nuovo piano, una proposta sarà presentata nel Consiglio di amministrazione del 17 dicembre.