• Italia
  • Venerdì 30 ottobre 2020

Le misure sulle carceri nel “decreto ristori”

Per cercare di contenere i contagi da coronavirus, si allarga la possibilità di scontare la pena a casa con il braccialetto elettronico, e si allungano licenze e permessi premio

La Dogaia, carcere di Prato (ANSA/CLAUDIO GIOVANINI)
La Dogaia, carcere di Prato (ANSA/CLAUDIO GIOVANINI)

Il “decreto ristori” approvato pochi giorni fa dal governo, oltre agli interventi economici per aiutare le persone che lavorano e le imprese colpite dalle nuove restrizioni, prevede una serie di misure che hanno a che fare con l’amministrazione della giustizia e con l’ordinamento penitenziario. L’obiettivo è far proseguire il lavoro giudiziario in sicurezza e cercare di contenere i contagi da coronavirus nei tribunali e nelle carceri.

Nel testo del decreto si stabilisce che le udienze dei procedimenti civili e penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico debbano essere a porte chiuse, che alcuni atti di indagine si possano svolgere da remoto, che i giudici, a certe condizioni, possano partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario, che il deposito degli atti possa avvenire attraverso posta elettronica certificata così come l’accesso agli atti, e che le udienze civili in materia di separazione consensuale e di divorzio congiunto possano essere sostituite dal deposito telematico di note scritte.

Il nuovo decreto legge interviene, inoltre, sull’ordinamento penitenziario per limitare il rischio di nuovi contagi nelle carceri. I principali interventi sono tre, che ripristinano e incentivano le misure già contenute del decreto dello scorso marzo, ma introducono anche alcune novità.

L’articolo 28 del nuovo decreto dice che alle persone condannate ammesse al regime di semilibertà possano essere concesse licenze premio straordinarie anche di durata superiore a quella prevista dalla legge, cioè 45 giorni complessivi per ogni anno di detenzione. Questo fino al 31 dicembre 2020 e «salvo che il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura». La “straordinarietà” riguarda dunque solamente la lunghezza delle licenze, non aumenta il numero delle persone che ne potranno beneficiare.

L’articolo successivo stabilisce sempre fino al 31 dicembre 2020 una deroga dei permessi premio alle persone a cui siano già stati concessi e alle persone già assegnate al lavoro esterno al carcere o ammesse all’istruzione o alla formazione all’esterno. Questi permessi potranno dunque essere concessi anche in deroga ai limiti temporali previsti dalla legge: 15 giorni per ciascun permesso fino a un massimo di 45 giorni all’anno per i maggiorenni, 30 giorni per ciascun permesso fino a un massimo di 100 giorni all’anno per i minorenni. Questa concessione, come la successiva, sarà valida però solamente per alcuni reati.

L’articolo 30 si occupa infine di detenzione domiciliare: dice che fino al 31 dicembre 2020 chi ne farà richiesta e ha meno di 18 mesi di pena residua, anche se si tratta di un periodo residuo rispetto a una pena maggiore, potrà scontare tale periodo a casa «o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza». Alle persone detenute ai domiciliari sarà imposto il cosiddetto braccialetto elettronico, con l’eccezione dei minorenni o di chi ha una pena residua da scontare non superiore ai sei mesi. I domiciliari saranno concessi a meno che il magistrato di sorveglianza (che si occupa di esecuzione e modalità della pena) non «ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura».

Il decreto esclude però alcuni reati dai domiciliari straordinari. Nello specifico, dice che non si devono applicare a tutti i detenuti che si trovano in regime di 41bis, l’articolo del regolamento penitenziario che esclude da una pena attenuata le persone condannate per i delitti più gravi come mafia, terrorismo, corruzione, voto di scambio, violenza sessuale, oltre a delitti di maltrattamento e atti persecutori. Saranno esclusi anche «delinquenti abituali», detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare, detenuti sanzionati nell’ultimo anno per infrazioni disciplinari (si fa dunque riferimento alle recenti rivolte nelle carceri), detenuti sottoposti a contestazioni disciplinari successive all’entrata in vigore del decreto legge e detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo.

Tutte queste, misure ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis, «contribuiranno a ridurre i rischi di diffusione dei contagi negli istituti penitenziari senza compromettere le esigenze di sicurezza». Attualmente, ha fatto sapere il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la popolazione carceraria è di circa 55 mila persone. L’associazione Antigone, che si occupa di giustizia e diritti dei detenuti, ha detto che in due mesi, a marzo e ad aprile, la popolazione detenuta era scesa di circa 8 mila unità, anche grazie a un maggiore ricorso alle misure alternative al carcere nelle sentenze emesse dai giudici. Le nuove misure decise dal governo dovrebbero coinvolgere ora circa 5 mila persone: «I detenuti che potrebbero beneficiare della detenzione domiciliare sono circa 3000. Mentre i semi liberi e quelli ammessi al lavoro esterno che potrebbero ottenere i permessi straordinari e quindi non rientrare in carcere alla sera sono circa 2000», precisa La Stampa.

Non è difficile immaginare perché un’epidemia sia una circostanza particolarmente allarmante per gli istituti penitenziari. Il problema di sovraffollamento delle carceri, per cui l’Italia fu condannata nel 2013 dalla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, le rende dei posti fertili per il diffondersi di un virus. Con celle di pochi metri quadri che ospitano 3, 4 o 5 detenuti ciascuna, con un unico bagno, il distanziamento fisico tanto proclamato come indispensabile per chi è libero non è una possibilità. Il problema della mancanza di posti letto e di stanze libere è particolarmente grave nel momento in cui gli istituti devono provvedere a isolare i detenuti positivi al coronavirus o quelli che presentavano sintomi. Questo ha costretto in diversi casi a trasferire parte dei detenuti in altri istituti, con il rischio – che nei mesi scorsi si è concretizzato – di portare il contagio altrove.

Tra il personale penitenziario risultano ora circa 200 positivi (erano 90 la scorsa settimana) mentre le persone detenute risultate positive al coronavirus sono più di 150 (erano 50 la scorsa settimana) in 41 istituti. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccoli numeri diffusi in più strutture, ma ci sono anche dei focolai. Alcune delle situazioni più preoccupanti sono quelle di San Vittore a Milano, e quella del carcere di Terni, dove nel giro di pochi giorni si è passati da un primo caso positivo a più di sessanta.

Una questione su cui il nuovo decreto non interviene è quella delle visite. Un precedente decreto ne aveva previsto la sospensione fino al 31 ottobre 2020: i colloqui con i congiunti o con altre persone si erano dunque svolti, quando possibile, “a distanza” con videochiamate su Skype o WhatsApp. La misura non è stata rinnovata nel nuovo decreto legge.