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  • Giovedì 3 settembre 2020

Ci sono novità sulla morte di Mario Paciolla

Alcune dettagliate inchieste giornalistiche stanno mettendo in discussione la versione delle autorità colombiane, secondo le quali il cooperante italiano si sarebbe suicidato

(ANSA / CIRO FUSCO)
(ANSA / CIRO FUSCO)

Negli ultimi giorni sono state diffuse nuove informazioni sulla morte di Mario Paciolla, il 33enne italiano trovato morto in Colombia il 15 luglio mentre lavorava come cooperante per l’ONU. Sul suo caso sono state aperte diverse indagini, fra cui una interna all’ONU, una portata avanti dalle autorità colombiane e una dalla procura di Roma, ma le novità provengono soprattutto dai giornalisti che hanno approfondito gli aspetti meno chiari della vicenda. Il sospetto iniziale che Paciolla non si sia suicidato, come sostiene invece la prima ipotesi delle autorità colombiane, sta trovando sempre più conferme da giornalisti e osservatori. «È stato ucciso», hanno detto cinque giorni fa a Repubblica i suoi genitori sulla base di alcuni elementi emersi nelle ultime settimane.

Paciolla aveva 33 anni e faceva parte di una missione delle Nazioni Unite che stava supervisionando l’applicazione dell’accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e il governo colombiano, stretto nel 2016. Negli ultimi anni l’applicazione dell’accordo è stata difficoltosa perché la criminalità organizzata, i dissidenti delle FARC e alcuni gruppi paramilitari di estrema destra sono ancora in conflitto tra loro per il controllo del territorio. Paciolla era in Colombia dal 2018 e viveva a San Vicente del Caguán, una città del dipartimento di Caquetá a lungo scelta come centro strategico dai guerriglieri e dai trafficanti. Lo scorso 15 luglio è stato trovato morto da una collega che lo aveva cercato a casa perché non riusciva a mettersi in contatto con lui.

Il primo aspetto poco chiaro della morte di Paciolla riguarda i giorni immediatamente precedenti. «Mio figlio era terrorizzato: negli ultimi sei giorni non faceva che mostrare la sua preoccupazione e inquietudine per qualcosa che aveva visto, capito, intuito», ha raccontato la madre, Anna Motta, a Repubblica il 16 luglio. «Io so solamente che dal venerdì 10, la scorsa settimana, mio figlio era in uno stato di grande sofferenza […] mi chiamò e mi disse che aveva sbottato con alcuni dei suoi capi, che aveva parlato chiaro e che, così mi disse, si era messo “in un pasticcio”».

Una recente inchiesta pubblicata sul quotidiano colombiano El Espectador dalla giornalista Claudia Julieta Duque, che conosceva personalmente Paciolla, ha aggiunto alcuni dettagli sui presunti timori di Paciolla. Duque racconta che Paciolla iniziò a preoccuparsi nel novembre del 2019, mentre si trovava in Italia in vacanza: in quei giorni chiese alle riviste online che ospitavano le sue poesie di cancellarle, rese privato il suo account di Facebook, rimuovendo anche tutte le foto, e cancellò tutti i tweet del suo account di Twitter. Paciolla chiese anche a un amico di copiare tutti i dati presenti sul suo computer.

Tornato in Colombia, continua Duque, fra il 19 e il 21 novembre Paciolla raccontò a più persone che lui e alcuni suoi colleghi di San Vicente del Caguán avevano subìto dei non meglio precisati «attacchi informatici». Duque mette in relazione la preoccupazione mostrata da Paciolla in quei giorni con uno scandalo politico avvenuto in Colombia all’inizio di novembre.

Il 7 novembre l’allora ministro della Giustizia colombiano, Guillermo Botero, si era dimesso dopo che due giorni prima un senatore dell’opposizione, Roy Barreras, aveva diffuso i contenuti di un rapporto dell’ONU su un attacco dell’esercito colombiano a un centro di comando di alcuni dissidenti delle FARC. Il rapporto, assai dettagliato, elencava violenze compiute sia nei confronti dei dissidenti sia delle loro famiglie, e stimava che fra i morti nell’attacco ci fossero stati anche sette minorenni di età compresa fra i 12 e i 17 anni. Al rapporto, fra gli altri, aveva lavorato anche Paciolla, il cui nome e altre informazioni comparivano esplicitamente sul documento, che sarebbe dovuto restare riservato.

Non è chiaro chi abbia consegnato il rapporto a Barreras, e quali ragioni abbia avuto: Duque cita il nome di un funzionario militare coinvolto in altri casi del genere, ma senza fornire ulteriori prove. Nel suo articolo, però, racconta che dopo le dimissioni di Botero alcune persone della missione ONU a San Vicente del Caguán iniziarono a preoccuparsi per la possibile ritorsione dell’esercito colombiano, messo in imbarazzo dalle rivelazioni di Barreras e dalle dimissioni di Botero.

È in questo contesto, scrive Duque, che Paciolla iniziò a confidare ad amici e conoscenti di essere preoccupato. Dopo gli interventi sui suoi account social disse ad alcune persone di sentirsi «tradito» e «usato», e a gennaio chiese di essere trasferito, senza successo. L’11 luglio, quattro giorni prima di morire, disse alla sua famiglia di voler tornare prima della fine del suo incarico, che sarebbe terminato alla fine di agosto, e scrisse a un amico di voler dimenticare la Colombia e tutto quello che era successo. Il 14 luglio, scrive Repubblica, «chiese e ottenne [dalla famiglia] gli estremi di una carta di credito per comprare il biglietto aereo che lo avrebbe riportato a casa. Mario aveva già preparato la valigia. All’interno c’erano alcuni regali per amici e parenti che avrebbe consegnato loro una volta rientrato a Napoli». Il 15 luglio fu trovato morto nel suo appartamento in una posizione che fece pensare a un suicidio.

Repubblica scrive che il primo a vedere il corpo di Paciolla è stato Christian Thompson, l’incaricato alla sicurezza della missione ONU a San Vicente del Caguán, con cui Paciolla «aveva chattato fino alle dieci di sera del giorno precedente». I poliziotti presenti sulla scena raccontano a Repubblica alcune stranezze del comportamento di Thompson.

Thompson dice che computer e cellulari appartenevano all’ONU e quindi non potevano essere portati via. E nonostante, dicono i poliziotti, gli fosse stato detto di non toccare nulla, nei giorni successivi porta via alcuni oggetti cruciali della scena del crimine. Che, poi racconterà, essere stati smaltiti in discarica e quindi non più disponibili. Il 17 luglio sempre Thompson torna a casa di Mario con due donne che puliscono tutta la casa con la candeggina e riconsegnano le chiavi al proprietario. Il giorno dopo arriva la Polizia per effettuare un sopralluogo. Ma ormai non c’era più niente.

Che la missione ONU sia in qualche modo implicata nella morte di Paciolla lo sospetta anche Duque, che in un articolo precedente alla sua inchiesta pubblicato da El Espectador e tradotto dal Manifesto ha raccontato che oltre ad aver ripulito l’appartamento di Paciolla, nei giorni successivi alla sua morte i funzionari dell’ONU hanno fatto partecipare un proprio medico all’autopsia – facendo credere che la sua presenza fosse stata chiesta dall’ambasciata italiana in Colombia – e impedito ai colleghi di Paciolla di parlare con la stampa. Poco dopo l’ufficio di San Vicente del Caguán è stato chiuso per ragioni di sicurezza. Il 24 luglio l’ONU ha inviato a Roma un inventario degli oggetti personali di Paciolla raccolti nel suo appartamento, e spiegato che si trovavano ancora in Colombia per ordine della procura locale: la famiglia non li ha ancora ricevuti.

Nella sua inchiesta per El Espectador, Duque ha aggiunto un ulteriore dettaglio: nell’inventario inviato dall’ONU alla famiglia di Paciolla era presente anche il mouse del suo computer, che secondo informazioni della procura ottenute da Duque era stato ritrovato coperto di sangue. Duque, però, ha scoperto che il mouse è stato ripulito e si trova ora nel quartier generale della missione ONU in Colombia a Bogotá, assieme ad altri oggetti «rubati» nell’appartamento di Paciolla.

Qualche giorno fa la procura di Roma aveva fatto sapere di avere cambiato la denominazione dell’inchiesta sulla morte per Paciolla, che ora riguarda un omicidio. Secondo le informazioni pubblicate dai giornali italiani, una prima autopsia effettuata sul corpo di Paciolla avrebbe rivelato che la morte non è avvenuta per la ragione citata dalle autorità colombiane, cioè l’asfissia: la notizia però non è ancora stata confermata ufficialmente. Sempre secondo i giornali, ci vorrà ancora qualche mese per ottenere l’esito delle altre perizie commissionate, fra cui l’esame tossicologico.

Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.