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  • Mercoledì 5 agosto 2020

Cosa è successo a Josip Ilicic

La storia del giocatore dell'Atalanta che ha smesso di allenarsi e giocare per motivi personali sta facendo discutere della depressione tra gli atleti professionisti

Josip Ilicic in Atalanta-Genoa (Gianluca Checchi/LaPresse)
Josip Ilicic in Atalanta-Genoa (Gianluca Checchi/LaPresse)

L’Atalanta ha concluso un altro campionato di Serie A al terzo posto e fra pochi giorni giocherà per la prima volta i quarti di finale di UEFA Champions League, nella stagione in cui ha esordito nel torneo. Tuttavia uno dei giocatori che hanno reso possibile tutto questo, il fantasista sloveno Josip Ilicic, non ci sarà, e non per ragioni fisiche o tecniche, ma per quelle che sono state descritte come “questioni personali”. Alcuni giorni fa, il direttore generale dell’Atalanta Umberto Marino ha spiegato: «Avevamo l’obiettivo di recuperarlo per poterlo presentare a Lisbona per la fase conclusiva della Champions League. Probabilmente non sarà così, ma lui sa che la squadra gli vuole bene, la società anche, la città lo ama».

Dopo la partita contro la Juventus dell’11 luglio, infatti, Ilicic ha smesso di allenarsi. Nel giro di alcuni giorni è tornato in Slovenia con la famiglia con un permesso a tempo indeterminato concesso dalla società, che nel frattempo ha chiesto che venga rispettata la sua privacy. Al termine dell’ultima partita di campionato contro l’Inter, la squadra gli ha dedicato in una foto la qualificazione alla prossima Champions League.

Nelle partite giocate dopo la ripresa del campionato, a molti Ilicic era sembrato fuori forma. Dopo aver saltato la prima contro il Sassuolo per un infortunio, nelle successive due partite aveva giocato meno di un quarto d’ora, per poi stare in panchina contro il Napoli. Il 5 luglio era stato in campo mezzora contro il Cagliari, poi settanta e sessanta minuti contro Sampdoria e Juventus. In queste partite, concluse senza gol e senza assist, Ilicic era sembrato molto diverso dal giocatore decisivo e a tratti incontenibile visto nella prima parte della stagione (quando aveva segnato 21 gol in 28 partite).

Ilicic in Juventus-Atalanta (LaPresse/Fabio Ferrari)

Il suo allenatore, Gian Piero Gasperini, è tornato più volte sulla questione. Dopo l’ultima giornata di campionato aveva detto: «Josip è circondato da tanto affetto, sono quelle situazioni che possono capitare quando meno te lo aspetti, probabilmente a chiunque e proprio per questo siamo tutti in suo aiuto perché esca da questo e torni ad essere il giocatore che era prima. Per questa Champions è difficile perché è fermo da tanto tempo, ma sarebbe bello averlo per la prossima stagione».

Prima di trovare la costanza dei grandi giocatori con l’Atalanta di Gasperini, la discontinuità e l’indolenza avevano caratterizzato buona parte della carriera di Ilicic già dai tempi del Maribor, la squadra slovena nella quale si fece conoscere. Walter Sabatini, il direttore sportivo che nel 2010 lo portò al Palermo, ha ricordato in una recente intervista: «Lo seguimmo a lungo e non nascondo che non fu semplice inquadrarlo: osservandolo in una giornata nera avremmo potuto pensare che fosse scarso, ma in stato di grazia sembrava un fenomeno».

Ilicic è descritto come una persona riservata e sensibile, che non fa mistero dei suoi acciacchi con compagni di squadra e allenatore: anche per questi motivi all’Atalanta è soprannominato affettuosamente “la nonna”. Le questioni private vengono probabilmente da un’infanzia complicata dalla morte del padre, bosniaco di origine croata, ucciso quando lui aveva sette mesi, e poi dalle condizioni economiche della sua famiglia, fuggita in Slovenia da Prijedor, paese della Bosnia serba, durante le guerre jugoslave e poi vissuta in povertà per molto tempo.

Nell’ultimo decennio passato in Italia, Ilicic si è affermato come calciatore, diventando un punto di riferimento della sua nazionale, ed è diventato anche padre di due bambine. Da alcune stagioni è fra i migliori giocatori della Serie A e fra i più bravi nel suo ruolo a livello europeo, nonostante nello stesso periodo abbia incontrato altri problemi.

(Gianluca Checchi/LaPresse)

Due anni fa saltò i mesi iniziali della stagione a causa di una infezione ai linfonodi del collo per la quale dovette passare del tempo in ospedale. Ne ha parlato spesso come di un’esperienza che lo ha spaventato molto e dalla quale si è ripreso con fatica. In quella stagione, fu emblematico anche il suo pianto nel minuto di gioco dedicato a Davide Astori, capitano della Fiorentina morto improvvisamente a 31 anni, che in seguito commentò così: «Quello che è successo ad Astori mi è rimasto in testa per giorni. Non riuscivo più a dormire perché ci pensavo sempre. E quando sono stato male ho pensato davvero che potesse capitare anche a me».

Secondo le brevi dichiarazioni fornite in questi giorni dal suo agente, Amir Ruznic, il lockdown passato a Bergamo, nell’epicentro italiano del contagio da coronavirus, e le rigide misure preventive seguite dai calciatori, lo avrebbero provato al punto da alimentare sintomi depressivi a lui non nuovi, per i quali l’Atalanta ha poi consentito il suo ritorno in Slovenia, per ora senza una data di ritorno.

In tutto questo, la depressione dei calciatori ad alti livelli rimane un tema generalmente poco affrontato: il grande seguito del calcio richiede riservatezza nei momenti più difficili, ma allo stesso tempo una parte dell’ambiente tende ad escludere a priori che questi problemi possano riguardare professionisti ricchi e sotto certi aspetti privilegiati. Accade soprattutto in Italia, dove i casi di giocatori che hanno parlato in pubblico di problemi simili sono rari. Questo trattamento può anche avere l’effetto di alimentare voci e indiscrezioni facili e campate in aria, circolate per giustificare assenze prolungate o prestazioni negative, che poi resistono per molto tempo, creando altri danni. Secondo un recente sondaggio del sindacato internazionale dei giocatori Fifpro, gli effetti del lockdown avrebbero aumentato sensibilmente le diagnosi di depressione nei calciatori in tutte le categorie, sia nei campionati maschili che in quelli femminili.