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  • Mercoledì 29 luglio 2020

Le cose che non tornano sul conto svizzero di Attilio Fontana

La versione del presidente della Lombardia sugli oltre 5 milioni depositati all'estero contiene diverse contraddizioni e incongruenze

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

La vicenda del conto svizzero del presidente della Lombardia Attilio Fontana, emersa in seguito alle indagini della procura di Milano e dei giornali sulla storia dei camici ordinati all’azienda del cognato Andrea Dini, sta attirando sempre più attenzioni. È diventata uno dei filoni dell’inchiesta dei magistrati, scrivono i giornali, e ha provocato alcune dichiarazioni contraddittorie di Fontana, che hanno ulteriormente complicato la sua posizione, già difficile per la contestata gestione dell’epidemia da coronavirus e per la storia dei camici.

In particolare, nella newsletter del quotidiano Domani si dice che tra il 2009 e il 2013 ci sono stati diversi grossi movimenti di denaro sul conto, che era stato aperto nel 1997 intestandolo a un trust con sede alle Bahamas. Intervistato da Repubblica, ieri Fontana aveva invece detto che «era un conto non operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta». Una versione incompatibile con la data di apertura e i movimenti registrati. Oltre a queste incongruenze, scrive Domani, la procura si sta concentrando anche sulla provenienza dei soldi sul conto, inizialmente oltre 5 milioni di euro: Fontana dice che si tratta di un’eredità ricevuta dai genitori, ma in tanti giudicano poco plausibile che quella somma sia stata accumulata soltanto dai suoi genitori, un medico di famiglia e una dentista.

Tutta la storia del conto di Fontana è emersa in seguito a un’altra inchiesta: quella della procura di Milano sui camici sanitari che nel mezzo dell’epidemia la Regione Lombardia ordinò da Dama SpA, azienda di abbigliamento di proprietà del cognato di Fontana, Andrea Dini, e della quale la moglie di Fontana possiede il 10 per cento. Quella fornitura, del valore di oltre 500mila euro, fu segnalata a inizio giugno da Report, quando ormai era stata trasformata in una donazione. Si è scoperto però che pochi giorni prima che fosse trasformata, Fontana aveva avviato personalmente la procedura per un bonifico da 250mila euro a Dama dal conto svizzero.

La versione di Fontana è che la fornitura era stata decisa senza che lui ne sapesse niente, e che quando gli era stato segnalato aveva chiesto al cognato di rinunciarvi, donando i camici, e provvedendo a risarcirlo parzialmente di persona con i 250mila euro. Ma ci sono cose che non tornano anche qui: Fontana dice di aver saputo della vicenda tra il 12 e il 13 maggio, mentre l’ex direttore della centrale acquisti della Regione e l’assessore Raffaele Cattaneo dicono di averlo informato prima. Ci sono poi circa 25mila dei 75mila camici totali che non sono mai stati consegnati, e che anzi Dama aveva provato a vendere altrove (a un prezzo più alto).

Questa mancata consegna è formalmente il motivo per cui Fontana è indagato per frode nelle pubbliche forniture. Ieri la Guardia di Finanza ha perquisito i magazzini di Dama, trovando e sequestrando i 25mila camici mai arrivati alla Regione Lombardia.

Ma da alcuni giorni le indagini, scrivono i giornali, si stanno concentrando sempre di più sulla storia del conto svizzero, la cui esistenza è emersa proprio per il bonifico tentato da Fontana. Creato nel 1997, era intestato alla madre di Fontana, l’ex dentista Maria Giovanna Brunella, allora 74enne, che aveva lasciato la procura – cioè la gestione – al figlio, che era da due anni sindaco di Induno Olona, in provincia di Varese. Nell’intervista a Repubblica, Fontana ha negato che i genitori evadessero il fisco: «mio papà era dipendente della mutua, mia madre era una super-fifona, figurarsi evadere. Non so davvero dirle perché portassero fuori i loro risparmi».

Nel 2005, ha scritto Domani, il conto aperto nel 1997 fu trasferito su un altro deposito collegato sempre a un trust con sede alle Bahamas, intestato a Brunella e con Fontana indicato come erede beneficiario. Negli anni seguenti ci furono grossi spostamenti di denaro: depositi per 129mila euro nel 2010, prelievi per circa 530mila nel 2011, depositi per 400mila l’anno dopo. Movimenti che contraddicono la versione secondo cui il conto non era operativo, e che hanno fatto emergere dubbi sulla possibilità che la madre di Fontana, allora più o meno novantenne, gestisse davvero di persona il conto all’oscuro del figlio.

Nel 2015 Fontana regolarizzò quei soldi usufruendo di un condono per far rientrare capitali esteri nascosti al fisco senza sanzioni con una dichiarazione volontaria. Non furono però riportati in Italia, bensì su un conto in Svizzera, dove sono depositati ancora oggi. La procedura di voluntary disclosure è al centro di altri dubbi: da un lato perché la sua stessa esistenza sembra contraddire la versione di Fontana secondo cui quel conto non servisse a evadere il fisco, dall’altro per la provenienza del capitale. Domani scrive che nei documenti dell’Agenzia delle entrate che certificano il rientro del capitale con lo scudo fiscale sono registrati “mancati assolvimenti degli obblighi di monitoraggio fiscale” per il 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013.