L’assassinio di re Umberto I di Savoia, 120 anni fa

Perché e in che contesto la sera del 29 luglio del 1900 un uomo – Gaetano Bresci – uccise il re d'Italia

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La Cappella Espiatoria a Monza nel punto esatto dove fu assassinato Umberto I, inaugurata nel 1910 (Wikimedia Commons)

La sera del 29 luglio del 1900 il re d’Italia, Umberto I di Savoia, si trovava a Monza e stava tornando da una manifestazione sportiva, dove aveva partecipato alla cerimonia finale premiando gli atleti. Era in una carrozza scoperta insieme al ministro della Real Casa Emilio Ponzio Vaglia e al suo aiutante di campo, Felice Avogadro di Quinto: si apprestavano a tornare verso la Villa Reale, poco lontano, percorrendo via Matteo da Campione, dove si era tenuta la manifestazione. Il re era seduto sul lato esposto alla folla, e mentre si alzava in piedi per salutare i presenti – pochi istanti dopo la partenza della carrozza – fu raggiunto da un uomo poco più che trentenne armato di una rivoltella. Senza incontrare alcuna resistenza, l’uomo sparò quattro colpi, tre dei quali raggiunsero Umberto I al collo e al petto. Il re fu poi trasportato alla Villa Reale tra la concitazione generale, ma era già morto.

L’agenzia di stampa Stefani – la prima della storia d’Italia, dismessa dopo la Seconda guerra mondiale – diffuse la notizia con questo comunicato la mattina del 30 luglio:

Ieri alle ore 21,30, il Re, accogliendo l’invito del Comitato del Concorso provinciale ginnastico apertosi il 29 corr., si recava alla palestra, accolto dalle Autorità e dalla popolazione acclamante; alle 22.30, finita la premiazione e mentre il Re stava per uscire dalla Palestra in carrozza coperta, furono improvvisamente sparati quattro colpi di rivoltella da un individuo che venne arrestato e a tempo sottratto dal furore popolare. Il Re venne colpito da tre proiettili, uno dei quali toccò il cuore; giunse al palazzo esanime. Il regicida si qualifica per Bresci Gaetano fu Gaspare e fu Maddalena Gobbi, nato a Prato il 10 novembre 1869, tessitore di seta. Dicesi anarchico e proveniente dall’America. Dice di non avere complici e di avere commesso l’esecrando delitto in odio alla istituzione che il Re rappresenta. Sarebbe qui giunto il 27 luglio da Milano, ove si trovava da alcuni giorni.

Perché Umberto fu ucciso?

Per capire le cause dell’attentato bisogna ripercorrere brevemente la storia dell’assassino, Gaetano Bresci. Nacque a Coiano, frazione di Prato, da un agricoltore e da una casalinga e iniziò a lavorare presto, da bambino, come calzolaio. Poi suo padre lo fece assumere come operaio in una nuova industria tessile costruita sui terreni agricoli che aveva venduto: Bresci diventò così un operaio specializzato e nel frattempo cominciò a frequentare gli ambienti anarchici pratesi, partecipando a scioperi e finendo in guai giudiziari che lo portarono, a 29 anni, a rifugiarsi negli Stati Uniti, a Paterson (New Jersey), dove c’era una consistente e molto attiva comunità italiana anarchica.

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Nonostante la scarsa istruzione che aveva ricevuto, Bresci viene descritto da molti come un uomo intelligente e carismatico. Il medico del carcere di Santo Stefano nell’arcipelago delle isole pontine, dove Bresci scontò la pena dopo il regicidio, lo descrisse come un uomo dotato di una «cultura e un’anima che, se non fossero stati rivolti al male da un’opera di distruzione morale, lo avrebbero reso il migliore dei lavoratori intelligenti». Filippo Turati, uno dei primi leader politici socialisti italiani, conobbe personalmente Bresci dopo l’attentato e ne parlò in modo diverso: non gli parve granché intelligente ma lo descrisse come una «figura fredda e concentrata, quasi glaciale».

Bresci era un sostenitore della cosiddetta «propaganda del fatto», a cui aderiva solo una parte del più complesso movimento anarchico, che in Italia si diffuse nei decenni precedenti all’assassinio di Umberto I. Semplificando, la «propaganda del fatto» teorizzava la necessità di intraprendere azioni concrete – talvolta illegali e violente – per raggiungere gli obiettivi dell’anarchismo e affermarne i valori nella società: il rifiuto di ogni forma di autorità e il raggiungimento di una società senza stato.

Il regicidio, che Bresci progettò in breve tempo all’epoca del suo rientro in Italia, era la massima espressione di quelle azioni concrete previste dalla «propaganda del fatto».

In quegli anni non solo gli anarchici ma anche altri gruppi avevano fatto attentati simili in altri paesi, al punto che in riferimento a questo periodo si parla spesso di terrorismo: per citarne solo alcuni, nel 1898 l’italiano Luigi Luccheni uccise a coltellate Elisabetta d’Austria (più nota come “principessa Sissi”, anche se non era né principessa né veniva chiamata Sissi); nel 1908 avvenne un altro regicidio in Europa, stavolta da parte di due repubblicani che uccisero il re del Portogallo Carlo di Braganza; nel 1894 il presidente francese Sadi Carnot, nipote del famoso scienziato omonimo, venne ucciso da un altro anarchico italiano, Sante Caserio. Peraltro lo stesso Umberto I era sopravvissuto ad altri due attentati prima di quello di Bresci, uno nel 1878 e uno nel 1897.

Al di là del contesto ideologico in cui maturò la decisione di Bresci, ci fu anche un movente preciso: Bresci voleva vendicare le rivolte represse con la violenza negli anni precedenti, in particolare quella a Milano nel 1898 in cui a causa di una tassa sul grano ci furono estese proteste represse militarmente dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, che sparò sulla folla uccidendo quasi cento persone.

A febbraio del 1900, quindi, Bresci si procurò a Paterson una rivoltella Harrington & Richardson a cinque colpi e dopo tre mesi tornò in Italia con l’intento di uccidere il re. Dopo l’assassinio, Bresci venne sottoposto a un processo piuttosto sbrigativo e condannato all’ergastolo, da scontare per i primi dieci anni in isolamento. Morì nel 1901, secondo la versione ufficiale di suicidio.

Il complotto internazionale

Subito dopo la morte del re cominciò a circolare l’ipotesi, sostenuta con insistenza dalla polizia e dai giornali, che Bresci non avesse agito da solo ma insieme a una rete internazionale di complici, forse su spinta di qualcuno più in alto di loro. A un certo punto si ipotizzò addirittura che dietro all’assassinio di Umberto ci fosse Maria Sofia di Baviera, ex regina delle due Sicilie, e le indagini per cercare questi complici furono condotte anche negli Stati Uniti, da dove Bresci era partito.

Delle indagini americane si occupò Joe Petrosino – detective italiano rimasto famoso nella polizia di New York per i suoi metodi di lotta alla criminalità organizzata – il quale arrivò alla conclusione che la rete internazionale anarchica esisteva e che Paterson era una parte fondamentale di questa rete.

L’ipotesi del complotto sopravvive ancora oggi, ma in realtà non ci sono prove che la sostengano. Gli storici più rigorosi ritengono che i vari attentatori di questo periodo storico abbiano sempre agito da soli, forse ispirandosi l’un l’altro, ma mai spinti da una presunta rete internazionale di anarchici, né tantomeno da qualcuno al di sopra di questa rete.

Che re era Umberto I?

Dopo la morte di Umberto I, la regina Margherita si adoperò molto e con parziale successo per diffondere il mito del “re buono”, secondo cui Umberto sarebbe stato un re generoso e magnanimo nei confronti del suo popolo: nel periodo successivo al regicidio  i giornali contribuirono molto a diffondere questo mito, soprattutto quelli più vicini alla monarchia come il Corriere della Sera e Italia Reale.

Ma quello del “re buono” è appunto un mito, e le testimonianze dell’epoca parlano di Umberto I come di un sovrano piuttosto rozzo e ignorante: non aveva nessun interesse per l’arte o la letteratura, a differenza di sua moglie, e una delle poche cose di cui gli importava erano le sue tantissime amanti. Una volta disse al figlio ed erede Vittorio Emanuele che per essere re «basta saper fare la propria firma, leggere il giornale e montare a cavallo». È difficile stabilire cosa pensassero i sudditi del loro re, ma di sicuro tra i suoi servitori e i suoi cortigiani Umberto non aveva una buona reputazione, e neanche tra diversi personaggi politici che si scontravano spesso con la sua incompetenza e il suo disinteresse per le questioni politiche.

Torino, 2008 (ANSA/TONINO DI MARCO/DRN)

Forse è per queste caratteristiche di Umberto che negli anni ci sono state diverse valutazioni di storici e intellettuali non del tutto negative nei confronti del suo assassino, oltre al fatto che Bresci gode di un culto ben consolidato tra gli anarchici, alimentato con canzoni e commemorazioni.

Nel 1947 Gaetano Salvemini scriveva: «Umberto faceva il tiranno nel senso classico della parola tenendo mano allo strangolamento della libertà […]. La memoria di Bresci rimane circondata da un’aureola di simpatia e gratitudine nella coscienza di molti italiani […]. La grande maggioranza del Paese trovò che Umberto quella palla di revolver non l’aveva rubata».

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