Come ci è finito il ghiaccio nei cocktail?

Un'associazione che oggi ci sembra scontata ci mise un po' a prendere piede nei posti caldi, riuscendoci infine grazie all'ostinazione di un imprenditore di Boston

Una modella di costumi da bagno con una bevanda ghiacciata, nel 1928. (H. F. Davis/Topical Press Agency/Getty Images)
Una modella di costumi da bagno con una bevanda ghiacciata, nel 1928. (H. F. Davis/Topical Press Agency/Getty Images)

Oggi l’associazione tra il ghiaccio e i cocktail ci sembra quantomeno automatica, tanto che i grandi cultori ed esperti della materia arrivano a considerarli l’uno un ingrediente degli altri, e non solo un modo per raffreddarli. Si è addirittura creato un piccolo mercato per riprodurre a casa propria cubetti di ghiaccio perfettamente trasparenti come quelli dei bar, grazie a una procedura chiamata “metodo del congelamento direzionale”. Ma la storia del ghiaccio nei cocktail è meno lineare di quanto si possa pensare.

Un venditore di ghiaccio a Londra nel 1932. (Francis M.R.Hudson/Topical Press Agency/Getty Images)

Il ghiaccio era usato per refrigerare alimenti e bevande fin dall’età antica: veniva raccolto sulle montagne o nei posti freddi, trasportato in grossi blocchi e conservato per quanto possibile nelle ghiacciaie, conosciute già secoli prima di Cristo. Se prima erano ricavate da grotte naturali, col tempo diventarono costruzioni erette appositamente, parzialmente interrate e isolate con materiali diversi, come la terra o la paglia. Molto diffuse tra i Romani, in Europa caddero poi in gran parte in disuso per secoli, finché tornarono a diffondersi a partire dal Seicento in Italia e in Francia, rimanendo l’unico metodo per conservare il ghiaccio fino al Novecento inoltrato, con l’introduzione dei primi freezer.

Se la funzione più importante del ghiaccio è stata da sempre conservare gli alimenti, i piaceri delle bevande refrigerate erano note già ai Romani. Ma se in alcuni paesi diventò amatissimo dalle classi nobili, per un gran pezzo di mondo il ghiaccio nelle bevande non si diffuse fino all’Ottocento. Nei paesi del Nord Europa, infatti, le bevande – specialmente quelle alcoliche – erano un modo per scaldarsi, birra compresa, bevuta infatti ancora oggi spesso a temperatura ambiente. Al contrario nei paesi tropicali, dove il ghiaccio sarebbe diventato poi popolarissimo, le difficoltà di approvvigionamento rimasero a lungo insormontabili.

Tutto questo finché un uomo si mise in testa di vendere il ghiaccio ai Tropici. Si chiamava Frederic Tudor e sarebbe diventato famoso come “Ice King”, re del ghiaccio. Nato nel 1783 in una ricca famiglia di Boston, si convinse che avrebbe fatto una fortuna trasportando enormi blocchi di ghiaccio, ampiamente disponibili nei laghi settentrionali nordamericani, verso gli stati del sud e le isole atlantiche. Tra le classi agiate, le uniche che potevano permettersi le ghiacciaie, i piaceri delle bevande gelide erano ampiamente noti. Ma mentre i ricchi che vivevano in posti freddi potevano godersele con una certa regolarità, il commercio di ghiaccio verso i posti caldi rimase a lungo saltuario e su piccola scala.

Il carro di un venditore di ghiaccio nel Kent, nel 1911. (Topical Press Agency/Getty Images)

Nel 1806 Tudor comprò appositamente una nave per 5mila dollari, e trasportò un carico di ghiaccio estratto nella fattoria di famiglia in Martinica, cercando da subito di stabilire un monopolio, considerandolo l’unico modo per sostenere i costi di trasporto. Il piano però non funzionò: il primo carico si sciolse parzialmente, ma soprattutto il ghiaccio non suscitò grandi entusiasmi nella popolazione locale. Tudor però era molto ostinato, e perfezionò gli imballaggi in modo da conservare meglio il ghiaccio. Per risolvere il problema della domanda, invece, cominciò una lunga opera di convincimento che durò anni, e che iniziò a funzionare quando decise di puntare sulle bevande.

Se conservare gli alimenti nel ghiaccio continuava a sembrare un’alternativa poco pratica ad altri metodi di conservazione più adatti al clima, Tudor sapeva per esperienza personale che anche i più scettici sulle bibite fredde si convincevano in fretta dopo averle provate. Ideò quindi delle strategie commerciali, offrendo gratuitamente il ghiaccio ai bar e ai locali e convincendoli a servire le bevande col ghiaccio allo stesso prezzo di quelle senza. Funzionò, e Tudor riuscì a creare un’esigenza che prima non c’era.

Per i primi anni, comunque, l’impresa commerciale di Tudor fu un disastro: le difficoltà di trasporto e la poca domanda lo riempirono di debiti, e passò lunghi periodi in prigione o a nascondersi dai creditori. Ma era talmente convinto della sua idea – forte del fatto che il ghiaccio, a Boston, fosse gratis – che perseverò finché non riuscì pian piano a rendere non solo sostenibile, ma assai profittevole il commercio di ghiaccio. Tudor infatti diede origine a quella che è nota come “tratta del ghiaccio”, che si sviluppò nella prima metà dell’Ottocento negli stati settentrionali degli Stati Uniti e in Norvegia. Perfezionò il metodo di estrazione, costruì ghiacciaie ai tropici, ampliò la propria flotta e corruppe le autorità locali in modo da assicurarsi il monopolio.

Una fabbrica di ghiaccio nel 1907. (Topical Press Agency/Getty Images)

Entro la metà del secolo, Tudor spediva migliaia di tonnellate di ghiaccio in mezzo mondo, arrivando fino in India: i guadagni principali però arrivavano dalle città del Sud degli Stati Uniti e dalle isole caraibiche. Negli anni, molti altri imprenditori erano entrati nel business del ghiaccio, anche grazie alla crescente popolarità del gelato in tutto il mondo. Verso la fine del secolo, con le classi ricche di Nord America ed Europa sempre più interessate agli alimenti freschi, quello del ghiaccio era diventato uno dei settori più importanti dell’economia di diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, in cui arrivò a dare lavoro a quasi 100mila persone. Sarebbe poi progressivamente scomparso nel Novecento, con l’introduzione dei sistemi di refrigerazione artificiali, prima industriali e poi domestici.

La facilità di produrre il ghiaccio fece sì, infine, che metterlo nelle bevande diventò un’abitudine. Se in Italia, per esempio, cominciò a essere usato per preparazioni come la grattachecca romana o la granita – che ha origini però ben più antiche – negli Stati Uniti diventò una componente fondamentale dei cocktail, che erano diventati popolarissimi a cavallo tra Ottocento e Novecento. Da lì si diffusero anche in Europa, quando a Londra aprirono i primi “american bar” portando con sé le ricette dei cocktail americani, e con loro l’abitudine di riempirli di cubetti di ghiaccio.