Una canzone dei Sigur Ros

Fu un bel periodo, l'inizio del millennio, tra "post rock" e altro

(Mark Metcalfe/Getty Images)
(Mark Metcalfe/Getty Images)

A ottobre esce un disco dei Travis, band scozzese scomparsa dai radar maggiori da tempo, ma che ebbe un gran successo con un paio di dischi tra il 1999 e il 2001 e con quella bella canzone allegra, Sing.
Questa la scrivo solo per nostalgia del nome e del taglio di capelli, neanche mi ricordo una sua canzone: oggi compie 70 anni Suzi Quatro. (adesso però ci passerei la serata)

Untitled 3
A cavallo del millennio ci fu un promettente ed eccitante periodo di movimenti e creatività nel rock internazionale, l’ultimo che io ricordi. Poi sono uscite cose buone, certo: ma con minor continuità e varietà, più sparpagliate e comunque più “derivative” (non c’è niente di male nel derivativo, tutto è sempre un po’ derivativo). Un tempo di cui tra l’altro spesso non esistono i vinili originali, che non uscirono proprio.

Comunque, in parte dentro un calderone assai eterogeneo che dalla metà degli anni Novanta era stato chiamato “post rock”, molte band si inventarono cose nuove e diverse, alcune delle quali non si erano mai sentite. Una di queste che andò più di moda per un po’ furono i Sigur Ros, che aggiungevano l’esotico fascino della band islandese alla particolarità di suoni e canzoni (era quasi impossibile per un titolista o un critico che ne scrivesse non attingere all’area semantica del ghiaccio, del freddo, eccetera).

Il disco che fecero nel 1999 divenne un successo internazionale – nelle proporzioni di un disco di quel genere – negli anni successivi, affascinando appassionati e profani con tutta una cosa di archi, falsetti e vocalizzi del cantante Jonsi, chitarre suonate strane e tastiere; e titoli che suonavano come Staralfur e Svefn-g-englar.

Non contenti di aver complicato la vita abbastanza a tutti, il disco dopo lo intitolarono con due parentesi senza niente dentro: (). E chiamarono tutte le canzoni Untitled, associando al titolo solo il numero delle tracce (poi loro stessi si resero conto che non si poteva fare, e successivamente comunicarono dei titoli informali: Untitled 3 è Samskeyti). Invece che in islandese le cantarono tutte in una lingua inventata – in sostanza canticchiando dei suoni e gorgheggi – ma nel mondo nessuno si accorse della differenza. In Untitled 3 tra l’altro questi suoni vocali sono ridotti al minimo ma la bellezza è tutta nella promettente progressione delle note del piano. Qui c’è una versione dal vivo, e qui una versione del documentario su di loro che si conclude con questo pezzo.

Alex Young, che è il fondatore di quel buon sito di musica americano che si chiama Consequence of sound, ha scritto una volta che è la canzone che vorrebbe suonata al suo funerale. Che è una riflessione interessante per una conversazione sui gusti musicali, se non siete gente che si fa agitare da questi pensieri.

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