Le mozioni di sfiducia contro Bonafede sono state respinte

Il Senato ha bocciato sia quella del centrodestra sia quella di +Europa, con il voto decisivo di Italia Viva: il ministro della Giustizia rimarrà al suo posto

(ANSA / FABIO FRUSTACI)
(ANSA / FABIO FRUSTACI)

Entrambe le mozioni di sfiducia presentate mercoledì mattina al Senato contro il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sono state respinte: quella presentata da +Europa ha ricevuto 124 sì e 158 no (con 19 astenuti), quella presentata dal centrodestra 131 sì, 160 no (con un astenuto). Dopo giorni di minacce e trattative alla fine Italia Viva, il partito fondato da Matteo Renzi che fa parte della maggioranza di governo, ha votato contro le mozioni, facendo mancare i voti che avrebbero potuto farle passare: in cambio, secondo i giornali, ha ottenuto diverse promesse dal governo.

Da giorni Bonafede è al centro di estese critiche dopo le accuse del magistrato Nino Di Matteo, secondo il quale nel 2018 Bonafede – che appartiene al Movimento 5 Stelle, partito considerato da sempre vicino alla magistratura antimafia – gli negò un prestigioso incarico al ministero della Giustizia per via di alcune pressioni ricevute da boss mafiosi.

Le mozioni di sfiducia riguardavano però anche questioni diverse: in particolare quella del centrodestra riguardava la gestione di Bonafede delle scarcerazioni durante l’epidemia da coronavirus, che hanno coinvolto alcuni boss mafiosi. Quella di +Europa, che aveva come prima firmataria Emma Bonino, conteneva invece accuse più generiche e di principio, che attribuivano a Bonafede un approccio giustizialista e populista sulle carceri e un incremento non giustificato dello strumento delle intercettazioni. La mozione rimproverava a Bonafede la mancata riforma della giustizia, e varie altre colpe «dalla negazione costante del fine rieducativo della pena, all’abrogazione di fatto della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva».

«Riconosciamo ai senatori del centrodestra e alla senatrice Bonino di aver posto dei temi veri» ha detto Renzi parlando al Senato annunciando il voto contrario di Italia Viva. Prima della seduta, Renzi aveva detto che quello di oggi sarebbe stato «uno degli interventi più difficili della mia esperienza politica»: ha cominciato ricordando tutte le mozioni di sfiducia presentate dal Movimento 5 Stelle, il partito di Bonafede, contro i ministri dei governi a cui ha partecipato il Partito Democratico, sostenendo che se Italia Viva avesse applicato lo stesso approccio del M5S, Bonafede sarebbe stato rimosso. Ma la decisione è stata di votare contro le mozioni perché la sfiducia a Bonafede avrebbe comportato la caduta del governo, ha concluso Renzi.

L’incertezza sul voto di Italia Viva aveva fatto parlare di una possibile crisi di governo, negli ultimi giorni, ma martedì sera era emerso che le trattative tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Italia Viva, rappresentata dall’ex ministra Maria Elena Boschi, avevano prodotto un accordo. Secondo i giornali, Italia Viva ha ottenuto in cambio del voto di fiducia «un ruolo maggiore nelle commissioni alla Camera, quando ci sarà il cambio delle presidenze oggi in quota Lega» dice il Corriere della Sera, ma si è parlato anche di un possibile rimpasto di governo e dello sblocco di decine di miliardi di euro di finanziamenti per progetti infrastrutturali e di edilizia bloccati.

– Leggi anche: Il caso Di Matteo, spiegato

Di Matteo aveva sollevato il caso chiamando il programma di LA7 Non è l’Arena, e raccontando che due anni prima Bonafede gli aveva offerto di guidare il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), il dipartimento del ministero della Giustizia che sovrintende la gestione delle carceri, salvo poi cambiare idea. Secondo Di Matteo, a far cambiare idea a Bonafede sarebbe stata «la reazione di importantissimi capimafia». Di Matteo ha 59 anni, si occupa da tempo di inchieste sui legami fra mafia e politica e vive sotto scorta dal 1993. È uno dei magistrati che si è occupato della presunta trattativa Stato-Mafia, e fa parte della corrente della magistratura che chiede il mantenimento di pene durissime per i mafiosi.

Bonafede aveva immediatamente respinto le accuse di Di Matteo, sostenendo che all’epoca non assegnò l’incarico a Di Matteo perché gliene aveva già proposto un altro, che il magistrato aveva già praticamente accettato. Nel frattempo, al DAP, era stato nominato un altro magistrato, Francesco Basentini.

Alle accuse legate al caso Di Matteo si erano aggiunte poi quelle che riguardano i casi di focolai in diverse carceri italiane e quelle legate alle scarcerazioni di alcuni boss mafiosi durante l’emergenza del coronavirus, criticate principalmente dal centrodestra. Queste accuse sono però state ridimensionate dalla stessa Bonino, che pure sostiene la sfiducia a Bonafede: intervenendo al Senato, ha ricordato che «i boss al 41 bis scarcerati sono 3, di cui 2 malati e ultraottantenni. Nella lista dei 300 [scarcerati, ndr], oltre 120 non hanno mai avuto il primo grado, e 200 neanche una condanna».