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  • Mercoledì 13 maggio 2020

A che punto siamo con i test sierologici

Mentre inizia l'indagine sulla diffusione del coronavirus in Italia su un campione di 150mila persone, le regioni non si coordinano e ci sono dubbi sull'affidabilità dei risultati

(Ansa/Matteo Corner)
(Ansa/Matteo Corner)

Come aveva annunciato a fine aprile, il governo ha avviato un piano per effettuare 150mila test sierologici in tutta Italia, con l’obiettivo di svolgere un’indagine a campione sulla diffusione del coronavirus tra la popolazione italiana. Nelle intenzioni del governo, l’iniziativa dovrebbe consentire di valutare la diffusione geografica dell’epidemia in corso, stimare gli effettivi tassi di letalità e di mortalità della COVID-19 e comprendere meglio le fasce di età più interessate dal contagio. Molti esperti sono però cauti sull’utilità dell’indagine, considerato che i test sierologici attualmente disponibili non sono sempre affidabili e che c’è una certa confusione sul loro utilizzo, anche da parte dei singoli e delle aziende per i loro dipendenti.

Test sierologici
Come avevamo raccontato più estesamente qui, i test sierologici servono per rilevare la presenza di particolari sostanze nel siero, una parte del sangue. Vengono eseguiti partendo da un normale prelievo di sangue venoso, che viene poi analizzato in laboratorio per misurare la quantità e le tipologie degli anticorpi (immunoglobuline, Ig) prodotti dal nostro sistema immunitario contro ciò che proviene dall’esterno, e che potrebbe costituire una minaccia, come appunto il coronavirus.

Vengono solitamente cercate le IgM, prodotte dall’organismo come prima risposta: la loro concentrazione tende ad aumentare per alcuni giorni nel momento dell’infezione, e poi diminuisce lasciando spazio alle IgG. Queste sono più presenti nel sangue e sono specifiche: aiutano il sistema immunitario a serbare un ricordo della minaccia che ha dovuto affrontare, in modo che possa reagire più efficacemente nel caso di una nuova infezione.

Oltre al test nella sua versione “classica” con prelievo venoso, ne esiste una variante semplificata che prevede di prelevare una sola goccia di sangue (di solito da un dito), che viene poi inserita in un tester (una scatoletta di plastica) in cui sono presenti sostanze chimiche che reagiscono con le immunoglobuline. Si ottiene un risultato in circa 15 minuti, un po’ come per un test di gravidanza, ma con informazioni più vaghe: si hanno indicazioni sulla presenza delle Ig, ma non sulla loro quantità, e quindi sull’effettiva risposta del sistema immunitario.

Sierologici e tamponi
Un test sierologico serve a indicare se una persona sia venuta o meno in contatto con un agente infettivo, come il coronavirus. Nel caso di risultato negativo, l’individuo non è probabilmente stato esposto al virus (fino al momento del test), ma questo non implica che non possa essere contagiato in seguito. Un risultato positivo indica invece che è avvenuta una reazione da parte del sistema immunitario, a causa della presenza del virus.

La positività al sierologico non permette di sapere con certezza se la persona interessata sia priva o abbia ancora il coronavirus, e sia quindi ancora contagiosa. Per questo nel caso di un esito positivo ci si dovrebbe sottoporre al test che analizza saliva e muco, prelevati tramite un tampone. Questo tipo di test permette infatti di scoprire se in un esatto momento sia presente il coronavirus.

Test nazionale
L’indagine decisa dal governo è svolta in collaborazione con l’ISTAT, che ha partecipato alla selezione del campione statistico di 150mila individui da sottoporre al test. In ogni regione sono stati individuati i laboratori che si occuperanno di analizzare i campioni di sangue, mentre un gruppo di 300 persone della Croce Rossa provvederà a contattare le persone selezionate.

Come avevano spiegato nelle scorse settimane gli esperti dell’Istituto Superiore di Sanità, per ottenere risultati omogenei e confrontabili si è scelto di procedere con un test uguale in tutta Italia. Il bando indetto dal governo è stato vinto dall’azienda farmaceutica statunitense Abbott, che ha elaborato un test per la ricerca delle IgG per il coronavirus. L’azienda afferma che il suo sistema abbia specificità e sensibilità superiori al 99 per cento, a due o più settimane dall’insorgenza dei primi sintomi.

La specificità di un test sierologico indica la sua capacità di individuare come negativi gli individui sani, mentre la sensibilità indica la capacità di individuare i soggetti malati. Anche se non ci sono leggi specifiche sull’argomento, il ministero della Salute raccomanda l’impiego di test sierologici che abbiano una specificità non inferiore al 95 per cento e una sensibilità non inferiore al 90 per cento. Muovendosi in questi limiti dovrebbe essere possibile ridurre il numero di falsi positivi e di falsi negativi.

L’indagine nazionale sarà condotta utilizzando i test nella loro versione classica, quindi tramite un prelievo venoso. Il campione sarà strutturato per essere rappresentativo per ogni regione, sulla base del sesso e di sei fasce di età. Saranno inoltre tenuti in considerazione altri fattori come quelli economici e di maggior rischio, per esempio nel caso del personale sanitario.

I test saranno eseguiti gratuitamente e dovrebbero consentire di avere indicazioni statistiche più accurate sulla diffusione del contagio in Italia, considerato che i soli dati ottenuti tramite i tamponi si rivelano quasi sempre carenti o poco rappresentativi della situazione su tutto il territorio nazionale.

Regioni
Nelle ultime settimane, intanto, diverse regioni si sono organizzate autonomamente per effettuare i test sierologici, sottoponendo al controllo soprattutto le fasce della popolazione più a rischio (per età o perché lavorativamente più attiva). Iniziative di questo tipo sono state avviate in Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria e Lazio, ma ogni regione ha proceduto in ordine sparso e affidandosi a diversi produttori e laboratori. La situazione è quindi piuttosto caotica, con dati che non possono essere facilmente confrontati tra loro e che lasciano alcuni dubbi sull’affidabilità dei test.

Ogni regione spende fino a 12 euro per ogni test sierologico con i due metodi (CLIA ed ELISA) consigliati dal ministero della Salute, mentre la versione rapida ha un costo più contenuto.

Temendo speculazioni e aumenti ingiustificati dei prezzi, alcune regioni hanno scelto di vietare i test sierologici da svolgere privatamente, mantenendo quindi la sola offerta da parte del sistema pubblico. Questa scelta è stata seguita per esempio da Toscana ed Emilia-Romagna, mentre Veneto, Piemonte, Lazio e Campania consentono ai privati di rivolgersi ai laboratori per provvedere ai test a loro spese.

Lombardia
La Lombardia ha da poco emesso nuove delibere per rendere possibile il ricorso ai test sierologici da parte dei privati, in forma collettiva. Il provvedimento è pensato per le aziende interessate a ridurre, per quanto possibile, il rischio dei contagi tra i loro dipendenti.

Le norme prevedono che spetti a chi propone il test di occuparsi di ogni cosa, dall’identificazione della struttura per effettuare i prelievi del sangue alla scelta dei laboratori per analizzarli. Sarà inoltre obbligatorio acquistare una quantità di tamponi pari al 10 per cento dei lavoratori che saranno sottoposti al test: chi risulterà positivo al sierologico dovrà essere sottoposto al tampone, che sarà poi analizzato privatamente. Ogni tampone ha un costo indicato di circa 63 euro, mentre non sono state fornite stime o prezzi consigliati per i test sierologici.

Molti osservatori hanno espresso perplessità sulle scelte della regione Lombardia, chiedendosi soprattutto perché le regole siano state decise solo ora, considerato che di fatto impegnano le aziende senza un diretto coinvolgimento delle strutture regionali. Sono state inoltre espresse preoccupazioni sulla possibilità che il sistema causi nuove confusioni, rendendo ancora più difficile il tracciamento di chi risulterà positivo.

Singoli
Nelle regioni dove è consentito, alcuni laboratori hanno iniziato a offrire i test sierologici a tutti, talvolta senza fornire informazioni sufficienti circa la loro affidabilità. In questo caso i costi sono a carico di chi decide di sottoporsi al test, salvo non siano previste specifiche forme di esenzione a livello regionale.

La mancanza di procedure chiare e definite rende però poco utili questi test, nell’ottica della gestione dell’epidemia. Chi risulta positivo dopo un’analisi condotta in un laboratorio privato non è obbligato a comunicare l’esito all’ASL, né sono previste regole chiare per richiedere il tampone in questa circostanza. Il test tramite il tampone è infatti l’unico per certificare se il coronavirus sia ancora presente nella persona risultata positiva, e a indicare una sua possibile contagiosità.

Cosa dice il ministero della Salute
Nella sua circolare più recente sul tema, il ministero della Salute ha chiarito che i test sierologici: “Non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei”. L’orientamento è lo stesso espresso più volte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha spiegato come la qualità dei risultati ottenuti dai campioni di siero non sia sufficientemente attendibile per una diagnosi, visto che il risultato non indica con certezza se l’infezione sia ancora in corso.

Fino a nuove evoluzioni, il test più importante rimane quindi quello molecolare svolto tramite un prelievo di saliva e muco con il tampone. Diverse aziende sono comunque al lavoro per migliorare l’affidabilità dei test sierologici, a partire dalla società farmaceutica Roche, che ha di recente annunciato di avere perfezionato un test con sensibilità e specificità vicine al 100 per cento.

Immunità
Un test sierologico che rileva la presenza degli anticorpi al coronavirus non indica necessariamente che si sia diventati immuni. A oggi non è infatti chiaro se e per quanto tempo il sistema immunitario mantenga la memoria del coronavirus. Ciò dipende dalle conoscenze ancora limitate su questo nuovo agente infettivo, senza contare che sono necessari mesi prima di verificare la permanenza di una memoria (a breve o lungo termine) nel sistema immunitario. Anche per questi motivi l’OMS ha invitato a non parlare di “patenti di immunità”, come nel mese scorso avevano fatto diversi esponenti politici in Italia, perché risultare positivi a un test sierologico non implica essere diventati immuni al coronavirus.

Quindi?
Su una scala più grande, come quella dell’indagine nazionale decisa dal governo e delle analisi organizzate dalle regioni su alcune categorie di lavoratori, i test sierologici possono offrire dati importanti per comprendere meglio e su base statistica la diffusione di un’epidemia mentre questa è in corso. Fino a quando non saranno affidabili a sufficienza e non ci saranno migliori conoscenze sui processi di immunizzazione, l’utilità dei test sierologici fatti privatamente da singole persone appare meno evidente sia nell’ottica di contenere il contagio sia come strumento diagnostico. Chi sospetta di avere sintomi da COVID-19 o di essere stato contagiato dovrebbe consultare il proprio medico curante, o altre istituzioni sanitarie a partire dalle ASL, per avere consigli e indicazioni sul da farsi, senza procedere in autonomia con test costosi e che potrebbero rivelarsi poco affidabili.