A cosa servono i tamponi, secondo Andrea Crisanti

Secondo il microbiologo al centro del "modello Veneto" andrebbero fatti ai contatti dei contagiati, anche se non hanno sintomi

I test sugli abitanti di Vo’, il 23 febbraio (ANSA / NICOLA FOSSELLA)
I test sugli abitanti di Vo’, il 23 febbraio (ANSA / NICOLA FOSSELLA)

Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova, è tra gli esperti italiani che più hanno avuto a che fare con il coronavirus, e ha avuto un importante ruolo in alcune delle tempestive ed efficaci decisioni prese negli ultimi mesi dal Veneto. Il 22 aprile è stato intervistato dal sito Business Insider e parlando di tamponi ha detto:

In altre regioni si pensa che il tampone serva solo a fare la diagnosi. In realtà, se arriva una persona che sta male, da sette-otto giorni, con tutta la sintomatologia canonica e il quadro radiologico, il tampone non c’è nemmeno bisogno di farlo: dovrebbero farlo invece tutte le persone con cui la persona è entrata in contatto. È, insomma, essenzialmente una questione di decisioni strategiche.

In Veneto infatti, grazie all’iniziativa di Crisanti, la regione si è attrezzata per tempo – prima che arrivasse l’epidemia – per avere la capacità di fare molti test; ha testato molte più persone di quanto raccomandassero il governo e l’OMS e oggi ha contenuto il contagio meglio di molte altre regioni italiane. Nella stessa intervista Crisanti ha aggiunto che secondo lui «non si è capito che fare i tamponi, e particolarmente farli ai contatti e a quelli che potenzialmente sono entrati in contatto con la persona infetta, abbatte la trasmissione».

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A una domanda sul valore dei test sierologici di cui si parla in questi giorni, Crisanti ha risposto che hanno solamente «un valore epidemiologico, per capire dove il virus si è diffuso in maniera più estesa» e che, per il resto, «non servono a nulla». Crisanti ha spiegato inoltre che, per il Veneto, sono stati determinanti i risultati dei tanti tamponi effettuati a Vo’, il piccolo comune in provincia di Padova identificato come il focolaio italiano dell’epidemia, che ha mostrato la grandissima quantità di contagiati asintomatici; ha aggiunto che quei risultati erano stati «forniti a tutti dal Veneto» e che «chi avesse voluto, avrebbe potuto vederli, capirli, usarli».