Le ultime sul Pio Albergo Trivulzio

Nel centro di assistenza per anziani più famoso di Milano i morti dall'inizio di marzo sono diventati 190, e il direttore generale è indagato per epidemia colposa

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

Da alcune settimane i principali quotidiani si stanno occupando di una serie di morti sospette al Pio Albergo Trivulzio, uno dei più famosi centri di assistenza sanitaria per anziani di Milano. Diverse inchieste hanno sollevato estesi dubbi sulle misure di contenimento decise dalla dirigenza contro il coronavirus, e dato conto del notevole aumento del numero dei morti rispetto agli anni precedenti. La storia si è ingrandita a tal punto che sulle morti al Trivulzio è stata aperta un’indagine della procura di Milano – che riguarda anche altre case di riposo della provincia – e un’indagine interna del ministero della Sanità, che hanno portato a perquisizioni e interrogatori.

I giornali si erano concentrati soprattutto sull’assenza di dispositivi di protezione individuale nelle prime settimane dell’emergenza, fra cui soprattutto le mascherine protettive – che secondo le testimonianze di diversi dipendenti e operatori sanitari erano state addirittura vietate, per evitare di spaventare gli ospiti – e il mancato isolamento degli ospiti sospettati di avere contratto il coronavirus, che venivano curati dallo stesso personale che lavorava in altri reparti. Il risultato è che dall’inizio di marzo le morti nella struttura sono state 190, di cui solo alcune attribuite con sicurezza al coronavirus. Secondo una stima del Sole 24 Ore l’aumento dei morti rispetto allo stesso periodo degli scorsi anni è stato del 30 per cento.

Dal punto di vista delle protezioni, le cose sembrano essere cambiate. Il 15 aprile la dirigenza del Trivulzio ha fatto sapere di avere acquistato migliaia di mascherine, visiere e camici protettivi per il personale. Il problema è che probabilmente sono arrivati troppo tardi. Secondo una stima pubblicata ieri da Repubblica i dipendenti in isolamento domiciliare dopo aver mostrato sintomi compatibili con quelli della COVID-19 sono 270, cosa che rende assai difficile coprire i turni necessari. Alcuni giorni fa un’assistente sanitaria ha gestito da sola l’interno reparto Schiaffinati, che conta più di venti pazienti: «non capitava da trent’anni», ha raccontato una caposala al Corriere della Sera.

I dipendenti dall’ospedale sono stati i primi a parlare ai giornali della situazione al Trivulzio, intorno alla metà di marzo. Da lunedì 20 aprile saranno ascoltati anche dalla Guardia di Finanza, che sta collaborando all’indagine con la procura di Milano.

Tre giorni fa si è chiusa invece l’ispezione del ministero della Sanità: i tecnici del ministero stanno analizzando i documenti trovati e nelle prossime settimane dovrebbero compilare una relazione sulla gestione del coronavirus nella struttura. Gli ispettori del ministero hanno anche sentito in videoconferenza il direttore generale del Trivulzio, Giuseppe Calicchio, nominato dalla regione Lombardia, che al momento è anche indagato dalla procura di Milano per epidemia colposa e omicidio colposo.

Intanto continuano ad emergere racconti e testimonianze di dipendenti e parenti degli ospiti. Tre giorni fa un gruppo di medici ha scritto una lettera aperta in cui ha elencato una serie di accuse alla direzione della struttura: «La triste e sofferta verità è che a fronte della diffusione del virus all’interno del Pat [Pio Albergo Trivulzio] siamo stati lasciati completamente soli», si legge nella lettera: «senza direttive che prevedessero protocolli aziendali diagnostico/terapeutici, univoche direttive sul trattamento dell’epidemia e delle norme di isolamento, senza la possibilità di fare tamponi, senza dispositivi di protezione fino al 23 marzo», cioè pochi giorni dopo che le morti sospette nella struttura erano finite sui giornali.

Negli ultimi giorni Repubblica ha inoltre raccontato diverse storie di parenti di persone in cura al Trivulzio, tutte piuttosto notevoli. Alessandro Azzoni, un dirigente d’azienda la cui madre è ricoverata al Trivulzio da due anni, ha raccontato che non la vede da circa un mese e mezzo: «So che ha la febbre da giorni, mi dicono che è a letto da una settimana. Non mangia, non beve, non parla, non risponde, non cammina più. Mi avevano chiesto l’autorizzazione di legarla al letto perché non andasse in giro ad infettare altri. Mi dicono che tutte le sue compagne di reparto siano malate». Insieme ad altri parenti Azzoni ha fondato un comitato per rappresentare le istanze dei parenti degli ospiti affetti da COVID-19.

Nel frattempo i giornali e la procura stanno raccogliendo informazioni anche su altre case di riposo della città: il Corriere della Sera ha stimato che il coronavirus abbia causato la morte di «un migliaio di anziani» ricoverati nelle case di riposo e in strutture simili al Trivulzio. Fra le altre strutture coinvolte nell’indagine c’è anche la casa di risposo gestita dalla Fondazione Don Gnocchi, molto famosa in città: secondo la ricostruzione di diversi giornali anche in questa struttura la gestione dell’emergenza è stata molto confusa, e si sono registrate decine di morti attribuibili al coronavirus.