Come va nelle Marche

Pur essendo meno seguite dai media sono una delle regioni con il sistema sanitario in maggior sofferenza, tanto da aver deciso di costruire un ospedale temporaneo: ma ora le cose stanno migliorando

Strade semideserte ad Ancona, 12 marzo 2020
(ANSA/Stefano Sacchettoni)
Strade semideserte ad Ancona, 12 marzo 2020 (ANSA/Stefano Sacchettoni)

Nella prima fase della pandemia, pur non ricevendo moltissima attenzione mediatica, le Marche erano una delle prime regioni, dopo la Lombardia, per rapporto tra numero di abitanti e numero di persone ricoverate in terapia intensiva. Un grafico messo insieme dall’ISPI mostra per esempio che ancora il 6 aprile la regione più vicina al limite di saturazione dei posti era la Lombardia (93 per cento), seguita dalla Liguria (89 per cento) e poi proprio dalle Marche (83 per cento). Nei giorni precedenti la percentuale era stata anche più alta.

La situazione di partenza del sistema sanitario marchigiano era «buona», ha raccontato al Post il presidente della regione Luca Ceriscioli, che dopo aver vinto le primarie del Partito Democratico nel 2015 è stato eletto con poco più del 40 per cento dei voti. Ma per decenni c’è stato un investimento molto basso nella ristrutturazione degli ospedali: «L’ultimo ospedale inaugurato è Jesi, nel 2015, ha richiesto 18 anni di realizzazione». La situazione di pressione sugli ospedali, i dati sulle percentuali di ricoverati e di posti occupati in terapia intensiva in rapporto al numero di abitanti e le previsioni (il 31 marzo Ceriscioli aveva detto che ci si aspettava un picco per metà aprile, «con una esigenza crescente in termini di posti letto di terapia intensiva») avevano spinto Ceriscioli a rivolgersi a Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile, per replicare nelle Marche il progetto di un nuovo ospedale di emergenza già avviato all’interno della Fiera di Milano.

In quella prima fase, i toni erano preoccupati. Ceriscioli a un certo punto aveva scritto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: «Vista la drammaticità della situazione, Le chiediamo di assegnarci personale per poter far fronte all’emergenza nelle strutture ospedaliere e sanitarie. Sarebbe importante avere subito a disposizione ogni tipo di personale sanitario operativo, compresi quelli militari». All’ospedale Carlo Urbani di Jesi era arrivato un contingente della Marina Militare per montare un ospedale da campo che la regione aveva richiesto e ottenuto dalla Protezione Civile, mentre a fine marzo il laboratorio di Ascoli Piceno aveva aumentato la sua capacità grazie all’attivazione di una seconda macchina per elaborare i test. All’inizio di aprile a Pratica di Mare era arrivato un volo dall’Ucraina con 30 medici e infermieri specializzati in rianimazione.

Il 24 marzo però Bertolaso era risultato positivo al coronavirus ed era stato ricoverato. Il giorno prima era stato ad Ancona e aveva fatto i sopralluoghi per la costruzione della nuova struttura: accompagnato da Ceriscioli, che quindi aveva dovuto mettersi in autoisolamento. «Sono in quarantena, ma insieme a Guido Bertolaso continuiamo a lavorare sul progetto per l’ospedale per cento malati di coronavirus», aveva subito assicurato Ceriscioli in un video girato a casa sua.

Il 3 aprile la giunta aveva approvato l’attivazione della nuova area sanitaria presso la Fiera di Civitanova Marche, capace di ospitare fino a 100 posti di terapia intensiva e subintensiva: in un edificio di 5.000 metri quadri su un unico piano, di proprietà pubblica, concesso in comodato d’uso gratuito dal comune di Civitanova, e già predisposto con tutti gli impianti funzionali agli allestimenti. Tempi di costruzione previsti: 10 giorni. Costi: 12 milioni di euro.

Dal punto di vista procedurale, si è scelto di replicare il modello lombardo delle donazioni private attraverso il Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM), ordine religioso cattolico scelto direttamente da Bertolaso («La scelta la fa chi mette in moto l’iniziativa», dice Ceriscioli). La Fondazione utilizzerà i fondi ricavati dalle donazioni per la realizzazione della struttura, che poi donerà alla regione. «Ora siamo alla fase della raccolta fondi, che procede bene. Le donazioni consistono in risorse economiche, e siamo a 2,5 milioni di euro, ma anche nell’acquisto diretto di strumentazioni e materiali per 6 milioni di euro», ha detto Ceriscioli: «Possiamo dire che il budget è stato raggiunto».

Nel frattempo la situazione del contagio sembra essere migliorata. I dati dell’8 aprile del Gores, il Gruppo operativo regionale per le emergenze sanitarie, dicono che fin qui nelle Marche è stata accertata la morte di 669 persone che avevano contratto il coronavirus. La zona più colpita è quella di Pesaro Urbino (379 morti accertati), seguita da Ancona, Macerata , Fermo e Ascoli Piceno. I test che sono stati eseguiti, sempre all’8 aprile, sono 17.532: quelli risultati positivi sono quasi 4.900, con 133 persone ricoverate in terapia intensiva. Le persone morte nelle ultime 24 ore sono 17, a fronte delle 35 del 30 marzo.

«Dall’analisi delle curve epidemiologiche risulta che dal primo aprile c’è stata una svolta», ha spiegato Ceriscioli. «L’epidemia si sta riducendo, ieri abbiamo avuto un numero molto basso di nuovi positivi, e lo si vede anche dalla pressione sugli ospedali. I posti liberi in terapia intensiva per ora sono una trentina, su una capienza massima raggiunta durante l’emergenza di 170».

I dati delle Marche nel grafico del Sole 24 Ore

Il progetto della nuova struttura temporanea ha sollevato diverse perplessità, soprattutto dopo il miglioramento della situazione: perché spendere per una struttura provvisoria che servirà pochi mesi? Perché usare il conto corrente di una Onlus e non della regione o della Protezione Civile? Perché scegliere Guido Bertolaso? E perché resta urgente fare l’ospedale se i dati stanno migliorando?

Ceriscioli risponde a queste obiezioni dicendo di Bertolaso che è stata «chiamata una persona che non manca di esperienza e che stava facendo la stessa cosa da un’altra parte», che l’intervento privato è necessario per fare le cose «in massima velocità», che la gestione diretta da parte della regione avrebbe portato a «complessità» e rallentamenti, e che «gestire lo stesso numero di pazienti in uno spazio finalizzato a quello scopo richiede il 25 per cento in meno di personale».

Ceriscioli ha aggiunto che l’obiettivo della nuova struttura era inizialmente gestire il picco «che poi ha avuto un andamento diverso, e meglio così», ma «la seconda funzione altrettanto importante è svuotare il prima possibile gli ospedali in giro per la regione dai malati di COVID-19. La struttura temporanea di Civitanova potrà accelerare il meccanismo di ritorno alla normalità delle altre strutture. E c’è anche un altro motivo: non è detto che l’epidemia finisca, e poter contare su una struttura specializzata è un elemento di sicurezza». La nuova infrastruttura potrebbe restare attiva «un anno», ha detto, ma per ora è difficile fare previsioni.