A che punto siamo con il vaccino contro il coronavirus

Ricercatori, aziende farmaceutiche e startup stanno lavorando per trovare il rimedio più importante alla pandemia, c'è una sperimentazione in corso e altre partiranno presto

(Pedro Vilela/Getty Images)
(Pedro Vilela/Getty Images)

Un vaccino contro il coronavirus potrebbe essere la risorsa più importante per fermare la pandemia da COVID-19, evitando la morte di milioni di persone in tutto il mondo. Per questo da circa tre mesi alcune delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, centri di ricerca e alcune ambiziose startup nel settore della biotecnologia sono al lavoro per sviluppare un vaccino, con la prospettiva di poterlo rendere disponibile entro 12-18 mesi. È uno sforzo enorme, che sta richiedendo investimenti da centinaia di milioni di euro e il lavoro di migliaia di ricercatori, che hanno già avviato o confidano di poter avviare presto le sperimentazioni sui primi volontari.

Secondo il censimento più recente svolto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, le iniziative per sviluppare un vaccino contro il coronavirus sono ormai oltre 50 in giro per il mondo, e se ne dovrebbero aggiungere altre nel corso delle prossime settimane. È una risposta senza precedenti per un’emergenza sanitaria altrettanto inedita e per la quale non c’è ancora una cura.

Chi si ammala di COVID-19 deve attendere che il proprio sistema immunitario riesca a superare la malattia: nella maggior parte dei casi è sufficiente rimanere a casa a riposo, mentre nelle circostanze più gravi si rende necessario il ricovero in ospedale, talvolta nei reparti di terapia intensiva. I farmaci somministrati dai medici servono per rallentare la malattia e offrire più tempo al sistema immunitario per sbarazzarsi del coronavirus. Un vaccino consentirebbe di evitare tutto questo, prevenendo la malattia in un’ampia porzione della popolazione.

Fondi
Molte iniziative di ricerca sono finanziate, integralmente o in parte, dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), organizzazione che utilizza fondi forniti da governi e fondazioni per sostenere la ricerca di soluzioni contro malattie che potrebbero causare epidemie su grande scala. L’iniziativa esiste da qualche anno ed è nata in seguito alle epidemie da ebolavirus nell’Africa occidentale.

CEPI ha investito finora 30 milioni di dollari per finanziare lo sviluppo di vaccini da parte di società di biotecnologie come Moderna e Inovio. I finanziamenti sono stati decisi dopo avere effettuato un’analisi preliminare dei sistemi proposti dai laboratori delle aziende farmaceutiche, identificando i candidati ritenuti più promettenti. Nei prossimi mesi l’organizzazione potrà mettere a disposizione fino a 300 milioni di dollari, ma confida nel frattempo di raccogliere altri fondi da distribuire. Alcuni analisti prevedono che dovranno essere investiti almeno 2 miliardi di dollari per trovare un vaccino efficace e per verificarne la sicurezza.

La frontiera dell’mRNA
Tra le aziende che si sono distinte per rapidità nella ricerca di soluzioni c’è Moderna, società nel Massachusetts (Stati Uniti) che esiste da poco meno di dieci anni e con una specializzazione nella ricerca e nello sviluppo di farmaci basati sull’RNA messaggero (mRNA), la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni contenute nel DNA per produrre le proteine. Moderna lavora per realizzare forme sintetiche di mRNA – quindi create in laboratorio – che contengano istruzioni per produrre proteine che aiutino l’organismo a guarire o, nel caso di un vaccino, a impedire che un agente infettivo come un virus possa legarsi alle cellule per replicarsi e causare l’infezione.

Moderna ha terminato lo sviluppo di una prima versione del suo vaccino sperimentale a fine febbraio e a metà marzo ha avviato un test clinico su un numero ristretto di pazienti, per verificare la sicurezza del suo preparato. La società ha impiegato appena 63 giorni dal momento in cui ha ricevuto le informazioni genetiche sul coronavirus a quando ha somministrato le prime dosi del vaccino sperimentale: un risultato senza precedenti, che potrebbe contribuire ad accorciare i tempi.

I ricercatori di Moderna hanno fatto così in fretta perché hanno potuto adattare conoscenze già sviluppate nella ricerca di altri vaccini, basate sull’analisi di come i virus si legano alle membrane cellulari per eludere i loro sistemi di sorveglianza. Questo meccanismo è fondamentale per i virus, perché consente loro di avere accesso alla cellula e di sfruttarne le strutture (organuli) per replicarsi e diffondere poi le loro copie in altre cellule.

L’azienda aveva già lavorato su altri coronavirus, come quelli che causano la MERS e la SARS, analizzando le loro punte sulle quali ci sono le strutture proteiche che consentono di eludere i sistemi di protezione nelle membrane delle cellule (i coronavirus si chiamano così proprio perché le loro punte ricordano quelle di una corona). Il vaccino sperimentale contiene mRNA per “istruire” il sistema immunitario a riconoscere le punte e a saperle contrastare, evitando che il coronavirus riesca a legarsi alle cellule.

Le sfide per Moderna comunque non mancano: a oggi nessun vaccino basato su mRNA ha mai raggiunto le fasi finali delle sperimentazioni cliniche né è stato approvato per essere utilizzato sulla popolazione. È un approccio piuttosto innovativo rispetto a quello classico, che prevede l’impiego di virus attenuati o inattivati per suscitare la risposta immunitaria. Questi sistemi richiedono tempi più lunghi per la produzione di grandi quantità di vaccini, a differenza di quelli a mRNA che possono essere prodotti più rapidamente: per ogni dose è necessaria una quantità inferiore di principio attivo. Anche per questo motivo Moderna investe da anni in soluzioni di questo tipo, che potrebbero rivelarsi più adatte in una pandemia in cui sono necessari miliardi di dosi.

Coronavirus inattivo
Sinovac, un’azienda di biotecnologie con sede a Pechino (Cina), sta seguendo l’approccio più tradizionale, con un vaccino basato sull’inattivazione del coronavirus, al quale viene poi aggiunto un adiuvante per stimolare ulteriormente la risposta immunitaria. La società aveva ottenuto risultati incoraggianti una quindicina di anni fa, quando aveva sperimentato lo stesso sistema sul coronavirus della SARS, che ha alcune cose in comune con l’attuale virus. La sperimentazione aveva riguardato cavie di laboratorio e non aveva portato all’insorgenza di problemi tali da far temere effetti avversi negli esseri umani.

L’impiego di virus inattivati nei vaccini ha permesso nel Novecento di tenere sotto controllo numerose malattie, salvando la vita di milioni di persone, che hanno inoltre potuto vivere in media più a lungo. È un sistema sul quale abbiamo grandi conoscenze e che può raggiungere buoni livelli di produzione, considerato che nel mondo ci sono centri di produzione dei vaccini che ogni anno producono milioni di dosi, per esempio contro la comune influenza stagionale.

Virus vettore
Un altro approccio sperimentato da CanSino, azienda di biotecnologie cinese, prevede invece di sfruttare un altro virus per trasportare nell’organismo la sola proteina che si trova sulla punta dei coronavirus, in modo che il sistema immunitario impari a contrastarla senza avere a che fare con tutto il coronavirus (che indurrebbe la malattia).

I ricercatori hanno scelto l’adenovirus-5 (Ad5), uno dei virus che causano il raffreddore, per questo scopo. Semplificando molto: il vaccino contiene una versione di Ad5 modificata per trasportare il gene del coronavirus con le istruzioni per produrre la proteina sulle sue punte, il sistema immunitario reagisce per sbarazzarsi di Ad5 e nel frattempo sviluppa la capacità di riconoscere la proteina. In questo modo, nel caso di un’infezione da coronavirus potrà impedire che questo si leghi alle cellule per replicarsi.

CanSino aveva già sperimentato un sistema simile tre anni fa, quando aveva sviluppato un vaccino sperimentale contro Ebola, con esiti positivi nei test di laboratorio su cavie. Nel 2007 un sistema simile pensato contro l’HIV non aveva però portato a risultati altrettanto incoraggianti, spingendo la società farmaceutica che l’aveva sviluppato (Merck) a interrompere la sperimentazione.

Johnson & Johnson sta sperimentando una soluzione analoga, utilizzando come mezzo di trasporto un altro adenovirus. La società ha inoltre annunciato un progetto da un miliardo di dollari contro la COVID-19, con metà dei fondi che deriveranno da finanziamenti pubblici negli Stati Uniti, che saranno erogati sulla base del raggiungimento di particolari risultati nei vari passaggi della ricerca.

Altre soluzioni
Numerosi altri centri di ricerca sono al lavoro per soluzioni simili a quelle di Moderna, Sinovac e CanSino, o stanno lavorando ad alcune loro variazioni. È per esempio in fase di studio la possibilità di depotenziare il coronavirus, realizzandone una versione meno aggressiva in laboratorio, tale da non causare gli effetti gravi della malattia e consentire al sistema immunitario di imparare a riconoscere la minaccia, senza altri particolari rischi. Soluzioni di questo tipo, con virus depotenziati, sono già impiegate da anni in altri vaccini con successo.

Un approccio ulteriore prevede di modificare geneticamente alcune delle proteine del coronavirus, in modo da depotenziarne gli effetti, così da potersi immunizzare senza rischi. Tra le tante ricerche di laboratorio in corso ci sono anche tentativi per impiegare il vaccino contro il morbillo, integrandolo con le informazioni genetiche dell’attuale coronavirus e altre soluzioni per creare in laboratorio versioni più “compatte” del virus, con proteine che inducano il sistema immunitario a rilevare la presenza di una potenziale infezione per fermarla.

Corsa
La rapidità di risposta da parte della ricerca e delle aziende farmaceutiche sul coronavirus non ha praticamente precedenti, se si considera che sappiamo dell’esistenza del problema da poco più di tre mesi. Per virus che nel passato recente avevano suscitato forti preoccupazioni, come lo Zika (ZIKV), ci era voluto il doppio del tempo prima che fossero disponibili i primi prototipi di vaccini da sperimentare. Ciò non toglie comunque che un vaccino richieda enormi cautele prima di essere diffuso tra la popolazione: è una sostanza che viene somministrata a persone per una malattia che ancora non hanno, ed è quindi necessario che sia sicuro e ben tollerato. Per questo sarà necessario almeno un anno prima di avere risultati concreti.

Immunità
Sulla grande ricerca di un vaccino incombe poi un aspetto non secondario: a oggi non abbiamo la certezza sul livello di immunizzazione che si raggiunge dopo aver avuto la COVID-19. Non è chiaro se il nostro sistema immunitario sia in grado di serbare un ricordo della minaccia nel lungo periodo, evitando quindi che il coronavirus possa causare nuovamente la malattia in chi già l’aveva avuta. I vaccini si basano proprio su questa capacità, portando a un’immunizzazione, ma evitando che ci si debba ammalare.

Le ricerche condotte finora sembrano indicare il mantenimento dell’immunità per lo meno nel breve periodo, ma serviranno mesi prima di capire se sia una condizione permanente o temporanea. Altri coronavirus, come quelli che causano i sintomi comuni del raffreddore, tendono a essere dimenticati dal sistema immunitario, e questa è una delle ragioni per cui prendiamo più volte il raffreddore nella vita (ci sono anche altre specie di virus che lo causano, comunque). Studi sulla MERS e sulla SARS hanno tuttavia indicato la permanenza dell’immunità, cosa che lascia più ottimisti i ricercatori che stanno studiando l’attuale coronavirus.

Quando e se sarà mai pronto, nel migliore dei casi il vaccino contro il coronavirus potrà quindi dare un’immunizzazione permanente come avviene con i vaccini per altre diverse malattie. Nel peggiore dei casi, il vaccino offrirà una temporanea immunizzazione e dovrà essere ripetuto periodicamente, un po’ come avviene con il vaccino antinfluenzale, che ogni anno viene calibrato sulle varianti più diffuse e in circolazione degli influenzavirus.