Le foto degli indiani che tornano a casa
Sono migranti delle zone più povere che cercano lavoro nelle grandi città: ora sono rimasti senza stipendio e rischiano la fame
Nel fine settimana decine di migliaia di indiani hanno lasciato le grandi città, in cui erano emigrati per lavorare, per tornare nei paesini rurali da cui provenivano. Molti di loro, che sono pagati giorno per giorno senza alcun contratto, sono rimasti senza lavoro e senza stipendio dopo le misure annunciate dal primo ministro indiano Narendra Modi per contenere il coronavirus (SARS-CoV-2): resteranno in vigore per 21 giorni a partire dal 25 marzo e prevedono che nessuno possa uscire dalle proprie abitazioni tranne che per comprovate esigenze e che restino chiuse le attività commerciali non essenziali.
L’assenza di treni e di autobus ha costretto la maggior parte dei lavoratori a tornare a casa a piedi, come mostrano le foto di lunghe file di uomini e donne ai margini delle strade e delle autostrade degli ultimi giorni; altri si sono nascosti all’interno dei camion. Negli ultimi giorni più di 20 indiani sono morti mentre cercavano di tornare nelle loro case.
Sabato i governatori degli stati dell’Uttar Pradesh, Bihar e Haryana hanno messo a disposizione centinaia di autobus per riportare i lavoratori a casa ma domenica il primo ministro Modi ha invitato gli stati a chiudere le frontiere per evitare ulteriori spostamenti e la conseguente diffusione del virus nelle zone rurali, più povere e con un sistema sanitario ancora meno attrezzato per far fronte all’epidemia. I funzionari governativi stanno cercando di rintracciare chi è tornato a casa per imporgli un isolamento di 14 giorni.
Ogni anno, più di 9 milioni di persone si spostano dalle zone rurali dell’India verso le grandi città per lavorare come manovali e operai e poi mandare i soldi a casa, spesso vivendo nelle affollatissime baraccopoli ricevendo paghe bassissime, a giornata: per loro è difficile rispettare l’isolamento imposto da Modi, che è affrontato facilmente solo dalla classe medio alta che vive nelle case e che può permettersi di accumulare provviste. Molti indiani si sono quindi ritrovati nella condizione di decidere se andare al lavoro rischiando di ammalarsi, se restare a casa e patire la fame o se provare a tornare nei paesini d’origine.
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CNN racconta per esempio la storia di Jeetender Mahender, un operatore sanitario che vive nella baraccopoli di Valmiki a Mumbai insieme alla sua famiglia. Non hanno acqua corrente né un bagno, sono rimasti con poco cibo e se lui non va al lavoro non viene pagato. A Valmiki i vicoli sono così stretti che quando due persone si incontrano è inevitabile che si tocchino, in più «usiamo tutti lo stesso bagno all’aperto – ha detto Mahender – e ci sono 20 famiglie che vivono appiccicate alla mia minuscola casa. Di fatto viviamo tutti insieme, se si ammala uno di noi ci ammaliamo tutti». Alcuni lavori svolti da chi abita nelle baraccopoli sono considerati servizi essenziali, come quello dei pulitori: molti di loro puliscono gli ospedali senza guanti, mascherine e sufficienti protezioni, e la sera ritornano nei loro quartieri affollati. Il rischio di ammalarsi è alto, così come quello di infettare moltissime persone.
Ogni giorno molti indiani sono costretti a uscire di casa per rifornirsi d’acqua. Sempre CNN riporta l’esperienza di Sia, una donna che vive nella baraccopoli di un cantiere edile a Gurugram, vicino a New Delhi: si alza ogni mattina alle 5 e va a prendere l’acqua da una cisterna, come fanno molte altre donne che vivono lì, perché non ci sono docce e bagni per lavarsi e bere. Sia ha raccontato che non viene pagata da 20 giorni e che il suo stipendio è di 5 dollari al giorno: lo spende interamente per sfamare la sua famiglia. L’insufficienza di bagni e le condizioni igienico sanitarie sono un grave problema che rischia di peggiorare il contagio. Secondo uno studio riportato da CNN, a Dharavi, una delle più grandi baraccopoli indiane, vicino a Mumbai, c’è solo un bagno ogni 1.440 abitanti; il 78 per cento dei bagni comuni nelle baraccopoli di Mumbai è privo d’acqua.
In India al momento sono stati accertati 1.251 casi di coronavirus e sono risultate positive 32 persone morte. Secondo il Consiglio indiano per la ricerca medica, al 29 marzo il paese aveva effettuato 34.931 tamponi, su 1,3 miliardi di persone. Negli ospedali pubblici i tamponi scarseggiano, in quelli privati costano 60 dollari, lo stipendio mensile di un pulitore.