È una buona idea usare i servizi dei rider in questi giorni?

Sono l'unico modo di lavorare per i ristoranti ancora aperti, ma secondo i gruppi che rappresentano i fattorini è rischioso per la loro salute

Un fattorino in bicicletta in piazza Castello, a Torino, il 19 marzo 2020 (Marco Alpozzi/LaPresse)
Un fattorino in bicicletta in piazza Castello, a Torino, il 19 marzo 2020 (Marco Alpozzi/LaPresse)

Uno dei settori su cui le restrizioni per il contenimento del coronavirus (SARS-CoV-2) stanno avendo il maggiore impatto è quello della ristorazione e dei bar, che o sono chiusi oppure lavorano esclusivamente facendo consegne a domicilio, con una notevole riduzione del servizio offerto.

Stando sempre in casa, l’idea di ordinare del cibo da farsi consegnare può sembrare intelligente, nonché un modo per sostenere i ristoranti del proprio quartiere e della propria città in un momento di difficoltà. Al tempo stesso però si potrebbe essere preoccupati per il lavoro e la salute dei rider, cioè i fattorini che lavorano per le piattaforme che offrono i servizi di consegna di pasti a domicilio.

Come vanno le cose per bar e ristoranti?
Con le misure in vigore fino al 25 marzo, bar e ristoranti devono restare chiusi al pubblico e possono lavorare solo tramite servizi di consegna a domicilio «nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto». Si possono quindi ordinare pranzi e cene a domicilio, fatta eccezione per la Campania, dove il presidente Vincenzo De Luca ha vietato anche le consegne dopo le 18.

Per via delle misure in vigore, moltissimi ristoranti e bar hanno chiuso: a spanne circa il 90 per cento dei ristoranti, ha detto al Post Luciano Sbraga, vice direttore generale della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (FIPE), l’associazione che rappresenta più di 300mila tra bar, ristoranti, pasticcerie e altri locali pubblici italiani.

La FIPE ha stimato che l’intero settore nel primo trimestre del 2020 perderà 10 miliardi di euro di fatturato, e che quello della ristorazione sarà in assoluto il settore più colpito dall’attuale situazione: molte imprese chiuderanno, molte persone perderanno il loro posto di lavoro. Ai danni dovuti alle attuali restrizioni vanno poi aggiunti quelli subiti dai ristoranti di cucina cinese e sushi, che avevano registrato un notevole calo di clienti, e in molti casi avevano dovuto chiudere, anche prima che l’epidemia di coronavirus arrivasse in Italia.

I ristoranti e i bar che continuano a lavorare sono quelli che già prima accettavano richieste di consegne a domicilio e hanno scelto di farlo pur avendo ridotto la loro attività, e quelli che prima della crisi sanitaria non facevano consegne ma ora si sono attrezzati o si stanno attrezzando per farle. Sono una «minoranza significativa», ha spiegato Luciano Sbraga, che ha fatto l’esempio dei ristoranti che si occupano di cucina tradizionale italiana: se prima dell’inizio della crisi solo il 5-6 per cento di questo tipo di ristoranti offriva il servizio di consegne a domicilio, negli ultimi giorni un altro 11 per cento si è organizzato per farlo.

La decisione dipende anche dal fatto che i ristoratori si aspettano una proroga delle attuali misure oltre il 25 marzo.

La maggior parte dei ristoranti che già preparavano pasti per le consegne a domicilio e buona parte di quelli che stanno cominciando a farlo sfruttano i servizi delle piattaforme di food delivery, come Just Eat, Deliveroo e Glovo, tra le principali e più diffuse piattaforme internazionali attive in Italia, o come MyMenu, attiva nel Nord Italia, e Foodys, nelle grandi città del Sud e a Roma, società italiane più piccole.

Ci sono anche ristoranti, soprattutto tra quelli di cucina tradizionale, che hanno una clientela affezionata intorno a loro, facile da raggiungere e tenere aggiornata sulle proprie attività, che hanno messo in piedi un servizio di consegna in proprio: a volte sono i camerieri rimasti senza lavoro a occuparsi delle consegne, a volte gli stessi titolari.

Com’è cambiato il servizio dei rider con la crisi sanitaria
Attraverso le piattaforme per ordinare consegne di pranzi e cene a domicilio, specialmente nelle grandi città, continua a essere possibile fare ordini e non ci sono tempi di attesa interminabili o sospensioni come nel caso dei servizi per farsi portare la spesa. Tuttavia certe zone hanno minori disponibilità di ristoranti per il gran numero di locali che hanno chiuso e in generale anche il settore delle consegne ha registrato una flessione, ha confermato un portavoce di Deliveroo.

Per garantire una maggiore sicurezza ai clienti e ai fattorini, la principale iniziativa delle maggiori piattaforme di food delivery è stata l’introduzione della consegna senza contatto: è stato abolito l’obbligo di firma digitale per i clienti, da fare sullo schermo dello smartphone dei rider, che in precedenza era necessaria per certificare l’avvenuta consegna, e sono state diffuse delle istruzioni per fare le consegne a distanza. Deliveroo lo ha spiegato ai propri fattorini con un video.

La consegna senza contatto è una delle raccomandazioni presenti in una serie di linee guida messe insieme dalla FIPE e da Assodelivery, l’associazione che riunisce le piattaforme di delivery food internazionali presenti in Italia, cioè Deliveroo, Glovo, Just Eat, SocialFood e Uber Eats. Per quanto riguarda i fattorini, le linee guida dicono:

– Il cibo preparato viene riposto immediatamente negli zaini termici o nei contenitori per il trasporto che devono essere mantenuti puliti con prodotti igienizzanti, per assicurare il mantenimento dei requisiti di sicurezza alimentare.

– La consegna del cibo preparato avviene assicurando la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro e l’assenza di contatto diretto.

– Chiunque presenti ​sintomi simili all’influenza resti a casa, sospenda l’attività lavorativa, non si rechi al pronto soccorso, ma contatti il medico di medicina generale o le autorità sanitarie.

Il rispetto delle linee guida è lasciato ai ristoratori e ai fattorini, che continuano a essere lavoratori autonomi che collaborano con le piattaforme di food delivery: se non lavorano, non guadagnano.

L’unica grande azienda del settore che ha fatto un qualche tipo di controllo fisico sul rispetto delle precauzioni sanitarie è Glovo, non per il servizio di consegna di pranzi e cene ma per quello di consegna della spesa che le altre piattaforme non fanno. Su Glovo è infatti possibile chiedere la consegna di cibo, prodotti per l’igiene e farmaci senza ricetta. In questi giorni è capitato che dipendenti dell’azienda andassero a verificare il rispetto della distanza precauzionale fuori da alcuni supermercati dove arrivava un numero particolarmente alto di ordini.

Un’altra iniziativa di Assodelivery è stata una parziale distribuzione di mascherine ai rider di Milano e Roma, che avevano cercato di procurarsele autonomamente senza però riuscire ad acquistarle. Per il momento Assodelivery non ha diffuso informazioni sul numero di mascherine effettivamente distribuite, e le piattaforme ci tengono a precisare che il loro uso da parte di chi fa le consegne non è obbligatorio secondo i recenti decreti del governo, che in generale non ha dato indicazioni precise su come debbano avvenire le consegne.

Altre iniziative sono state prese autonomamente dalle singole piattaforme.

Glovo ha detto di stare lavorando per distribuire altre mascherine, guanti e gel igienizzanti, partendo dai fattorini delle grandi città. Just Eat si sta organizzando per distribuire mascherine e guanti e ha disabilitato il pagamento in contanti per le consegne.

Deliveroo – che da parte sua non ha mai accettato pagamenti in contanti – rimborsa invece ai fattorini fino a un massimo di 25 euro per l’acquisto di mascherine, guanti e gel igienizzanti. Deliveroo ha introdotto un’assicurazione per i rider che dovessero ammalarsi di COVID-19: prevede una copertura indennitaria di 30 euro al giorno per un massimo di 30 giorni in caso di ricovero in ospedale, una copertura indennitaria «da convalescenza post terapia intensiva» di 1.500 euro e un’indennità di 350 euro per chi dovesse stare in quarantena a casa perché positivo al coronavirus.

Anche Uber Eats ha previsto i rimborsi fino a un massimo di 25 euro per l’acquisto di alcuni oggetti da parte dei suoi fattorini: salviette igienizzanti o guanti monouso. Ha anche detto che si sta organizzando per fornire ai rider altro materiale, che in parte è già stato distribuito a Milano.

Infine tutte le piattaforme hanno comunicato ai propri fattorini quali regole igieniche seguire, fornendo i link delle istruzioni date da istituzioni come il ministero della Salute e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Tuttavia queste istruzioni sono state diffuse in italiano, nonostante una buona parte dei fattorini siano stranieri e abbiano una conoscenza limitata della lingua italiana.

Le proteste dei gruppi che rappresentano i rider
In questi anni, come è noto, sono nati dei gruppi che rappresentano i fattorini di food delivery e che hanno in più occasioni protestato per le politiche aziendali delle piattaforme per cui lavorano, in particolare per le condizioni di pagamento.

Negli ultimi giorni questi gruppi – i principali sono Deliverance Milano, Riders Union Bologna, Riders Union Roma e Riders per Napoli – hanno protestato per chiedere al governo di vietare i servizi di consegna a domicilio, che secondo loro non rientrano nei servizi essenziali e, per come sono svolti, mettono a rischio la salute dei fattorini: non tanto per il momento della consegna, ma soprattutto per gli assembramenti fuori dai ristoranti che accettano le consegne e in generale per i rischi che si corrono – e che corrono anche molti altri lavoratori – stando fuori casa in questi giorni.

La protesta è rivolta anche contro le società di food delivery, che secondo loro avrebbero già dovuto fornire mascherine e guanti a tutti i fattorini. I gruppi che li rappresentano invitano la popolazione a non ordinare cene a domicilio – quindi a non far lavorare i rider che sono per strada – e a non pensare che dare mance più grandi sia una soluzione.

Deliverance Milano e Riders Union Roma hanno detto al Post che molti fattorini hanno smesso di lavorare per via del rischio di contagio: alcuni perché potevano permetterselo economicamente, altri perché, pur non potendo farlo, hanno preferito salvaguardare la propria salute.

Secondo Deliverance Milano, tra i fattorini che continuano a lavorare molti non hanno capito a pieno la gravità della situazione e i rischi collegati al lavoro, tanto che non si sono preoccupati di acquistare guanti e mascherine, oppure non li usano nel modo migliore. I portavoce di Deliveroo, Glovo e Just Eat hanno detto invece che, nonostante alcune oscillazioni nella norma, non c’è stato un grosso calo nel numero di fattorini in servizio.

In che modo il decreto “Cura Italia” sostiene la ristorazione
Il decreto cosiddetto “Cura Italia” prevede diverse misure per sostenere il settore della ristorazione e dei bar, tra cui un’integrazione salariale per i lavoratori dipendenti fino a un massimo di nove settimane, sospensione dei termini di pagamento dell’IVA in scadenza a marzo e dei versamenti dovuti tra l’8 marzo e il 31 maggio.

Secondo la FIPE, queste vanno bene come misure d’emergenza ma non saranno sufficienti e ne serviranno altre, principalmente perché la crisi della ristorazione durerà più di nove settimane. Inoltre non sono state ancora diffuse indicazioni riguardo al pagamento o alla proroga delle tasse locali: anche quelle avranno un impatto sulla situazione di bar e ristoranti.

La FIPE da parte sua sta pensando a come si potrà far risollevare il settore una volta conclusa la crisi sanitaria e le restrizioni attuali. Nel frattempo, ha detto Sbraga, ritiene che le consegne a domicilio possano essere un modo per «tenere viva la fiammella dell’attività»: dal punto di vista dei ristoratori, le consegne sono indubbiamente importanti.