Il coronavirus ha ridotto l’inquinamento
In Cina soprattutto per l'interruzione delle attività produttive, nel Nord Italia perché c'è meno traffico: ma sarà probabilmente un effetto temporaneo
Le osservazioni satellitari realizzate nelle ultime settimane da Copernicus, l’iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per monitorare l’atmosfera, mostrano che da gennaio all’11 marzo le emissioni di diossido di azoto (NO2) – uno dei principali gas inquinanti, che favorisce l’asma e altri problemi polmonari – sono molto diminuite in Europa. In particolar modo nel Nord Italia, una delle aree più inquinate del continente, dove da metà febbraio la concentrazione di NO2 è diminuita del 10 per cento. È uno degli effetti secondari della pandemia da coronavirus (SARS-CoV-2), che già si era visto in Cina: il rallentamento delle attività produttive e, nel caso dell’Italia, soprattutto degli spostamenti ha ridotto i livelli di inquinamento dell’aria.
L’effetto del coronavirus sull’inquinamento in Cina
In Cina nella regione di Hubei, quella da cui è partita la diffusione del SARS-CoV-2, il numero di «giorni con una buona qualità dell’aria» è aumentato del 21,5 per cento a febbraio rispetto allo stesso mese l’anno scorso, secondo i dati del ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese. E le rilevazioni sull’atmosfera fatte dalla NASA e dall’ESA mostrano che tra gennaio e febbraio le emissioni di diossido di azoto – prodotte da veicoli a motore, centrali elettriche e altri impianti industriali – sono diminuite in tutte le più grandi città cinesi. Ogni anno c’è un calo delle emissioni in quel periodo dell’anno per via dei festeggiamenti per il Capodanno cinese, ma quest’anno, passate le feste, le emissioni non sono tornate ad aumentare.
Fei Liu, una ricercatrice della NASA che si occupa di qualità dell’aria, ha commentato così i dati satellitari sul diossido di azoto: «È la prima volta che vedo una diminuzione così notevole su un’area così grande per via di uno specifico evento». Il diossido di azoto viene usato come indice generale di inquinamento dell’aria generale, pur non essendo legato all’aumento dell’effetto serra, perché a differenza dell’anidride carbonica (CO2) non viene prodotto da animali, piante o altre fonti naturali: la sua presenza nell’atmosfera è dunque indicativa delle emissioni prodotte esclusivamente dalle attività umane. In seguito alla crisi economica iniziata nel 2008 c’era stato un calo di emissioni di diossido di azoto in molti paesi, ma in modo graduale. Intorno a Pechino le emissioni erano diminuite in modo significativo anche durante le Olimpiadi del 2008, ma l’effetto si era visto solo in quella città e i livelli di inquinamento erano tornati a crescere dopo la fine degli eventi sportivi.
Secondo il Center for Research on Energy and Clean Air (CREA), un’organizzazione che fa ricerca sull’inquinamento dell’atmosfera, le emissioni di anidride carbonica sono diminuite almeno del 25 per cento tra il 3 febbraio e il 1 marzo per via delle misure per contenere la diffusione del coronavirus. Come spiega un articolo di CNN, alla Cina si deve il 30 per cento delle emissioni di anidride carbonica mondiali: dunque la riduzione delle attività produttive e le altre misure di contenimento del coronavirus, anche per un breve periodo, hanno avuto un grosso impatto sull’atmosfera.
Secondo le stime del CREA, a causa del coronavirus la Cina non ha emesso nell’atmosfera circa 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica, più della metà della quantità emessa in un anno dal Regno Unito. I voli interni sono diminuiti del 70 per cento ed è stata diminuita sia la produzione di acciaio che l’estrazione di petrolio, ma il calo delle emissioni è dovuto in gran parte alla riduzione del consumo di carbone, il combustibile fossile più inquinante, che tuttora è molto usato in Cina: nel 2018 il 59 per cento dell’energia usata nel paese era stata prodotta con il carbone. Tra il 3 febbraio e il 1 marzo, sempre secondo l’analisi di CREA, le principali centrali elettriche a carbone della Cina hanno diminuito del 36 per cento la propria produzione per la minor domanda di energia elettrica.
L’effetto del coronavirus sull’inquinamento in Italia, per ora
In Italia, dove per produrre l’energia elettrica si usa molto di più il gas naturale, meno inquinante del carbone, e fonti di energia rinnovabili, la riduzione delle emissioni rilevata dai satelliti si deve soprattutto alla diminuzione del traffico stradale, secondo un articolo del Washington Post del 13 marzo. Emanuele Massetti, un ricercatore della Georgia Tech University che si occupa degli effetti sull’economia del cambiamento climatico, ha detto al Washington Post: «Penso che dipenda soprattutto dall’assenza di automobili con motori diesel per la strada. Mi aspetto che l’inquinamento diminuisca ancora con la dispersione e l’assorbimento del particolato nell’atmosfera. Tra qualche giorno nel Nord Italia sperimenteranno l’aria più pulita di sempre». Secondo una ricerca realizzata nel 2019 per conto della Commissione Europea, i trasporti sono responsabili del 70 per cento dell’inquinamento da ossidi di azoto a Milano.
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Il 13 marzo l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) della Lombardia ha detto che non è ancora possibile trarre conclusioni dai dati sull’inquinamento dell’aria della Lombardia degli ultimi giorni e che ci vorrà più tempo per valutare l’effetto delle misure di contenimento per il coronavirus sulla qualità dell’aria: i dati, presi su tutto il periodo di durata delle misure, andranno messi in relazione con le condizioni meteorologiche di queste settimane, e poi confrontati con i dati nello stesso periodo degli anni passati.
Ogni giorno però il sito dell’ARPA diffonde i dati sulla presenza di diossido di azoto, particolato (PM10 e PM2,5) e altri inquinanti rilevati dalle sue centraline in giro per la città e i giornali hanno notato un miglioramento della qualità dell’aria negli ultimi giorni. Confrontando i bollettini su questo tema diffusi dall’Agenzia Mobilità, Ambiente e Territorio del comune di Milano (qui si possono scaricare) dall’inizio di marzo a oggi, si vede che le concentrazioni degli inquinanti nell’aria sono sempre state inferiori ai limiti normativi. L’ultima settimana di febbraio invece le concentrazioni di PM10 erano state superiori ai limiti normativi per cinque giorni consecutivi. Le rigide restrizioni attualmente in atto sono entrate in vigore il 9 marzo e da allora ci sono stati molti giorni ventosi che favoriscono una dispersione degli inquinanti, quindi la buona qualità dell’aria potrebbe risentire anche di questi fattori. Il bel tempo di lunedì e martedì invece potrebbe favorire la concentrazione di inquinanti, dunque i valori rilevati nei prossimi giorni potrebbero dire qualcosa in più sull’effetto delle restrizioni per il coronavirus.
Claus Zehner, capo della missione di Copernicus che sta rilevando i dati satellitari sull’inquinamento atmosferico, ritiene che la diminuzione delle emissioni di diossido di azoto sopra la Pianura Padana sia «particolarmente evidente» e che, nonostante l’influenza delle condizioni meteorologiche sulla concentrazione di inquinanti dell’aria, si possa dire con buon grado di certezza che il minor traffico e le minori attività industriali siano legate alla riduzione delle emissioni rilevate.
Come cambiano le emissioni di inquinanti nei momenti di crisi mondiale
Le emissioni di anidride carbonica legate alle attività umane sono in aumento fin dall’inizio della Rivoluzione industriale in Inghilterra nel Settecento, e sono aumentate in particolare nel corso del Novecento, con la progressiva industrializzazione di tutti i paesi del mondo, ma nell’ultimo secolo è capitato varie volte che importanti eventi storici abbiano avuto un impatto sull’inquinamento atmosferico. Secondo i dati messi insieme dal Global Carbon Project è successo in occasioni di gravi crisi che hanno coinvolto gran parte del mondo: le guerre mondiali, le crisi economiche mondiali e avvenimenti con grandi conseguenze geopolitiche, come il crollo dell’Unione Sovietica.
È ancora presto per valutare l’effetto complessivo che la diffusione del coronavirus avrà sui livelli di inquinamento dell’atmosfera, ma se le cose continueranno così è possibile che la pandemia di COVID-19 si aggiungerà a questa sequenza di eventi, l’ultimo dei quali è stato la crisi economica del 2008-2009. In quel periodo le emissioni mondiali diminuirono dell’1,4 per cento circa secondo il Global Carbon Project. Ma l’effetto fu temporaneo: con la fine della crisi economica tornarono a crescere e nel 2018 erano cresciute del 16 per cento rispetto al 2009.
Ci si aspetta che anche dopo la fine dell’attuale situazione le emissioni torneranno a crescere e non ci sarà un impatto a lungo termine dell’attuale calo delle emissioni. Massetti ha spiegato al Washington Post: «Ci sarà solo un piccolo impatto sulle concentrazioni globali di anidride carbonica, a meno che non si arrivi a una grande recessione mondiale».
Alcuni attivisti ambientalisti sperano che finita l’attuale crisi sanitaria la Cina ne approfitti per avviare alcune riforme per ridurre l’inquinamento che il presidente Xi Jinping aveva promesso nel 2017 e per cui l’anno successivo aveva istituito il ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente. Altri temono che invece le misure straordinarie per far ripartire l’economia non terranno conto delle conseguenze ambientali e ci sarà un aumento nella diffusione di sostanze inquinanti, che potrebbe anche del tutto annullare l’effetto della riduzione delle ultime settimane.
In Cina era già successo dopo la crisi economica del 2008-2009: il governo aveva finanziato le industrie e grossi progetti infrastrutturali che avevano fatto aumentare notevolmente l’inquinamento. In seguito al peggioramento della qualità dell’aria, in particolare nell’inverno tra il 2012 e il 2013, erano state prese alcune prime importanti misure contro l’inquinamento: gli ambientalisti più ottimisti sperano che il governo cinese, memore di quell’esperienza, tenga maggior conto dell’ambiente nel prossimo futuro.
Tra gli esperti del rapporto tra ambiente ed economia c’è anche chi spera che in tutto il mondo il periodo di ripresa che seguirà la crisi attuale diventi un’occasione per i governi per ripensare alcune modalità produttive, dando maggior importanza, ad esempio, al lavoro da casa, che riduce gli spostamenti dei pendolari, e finanziando ulteriormente il settore delle fonti di energia rinnovabili.