Le violenze religiose a Delhi
Da domenica sono morte 20 persone negli scontri sempre più violenti tra induisti e musulmani
Da domenica, almeno 20 persone sono morte a Delhi, la capitale dell’India, negli scontri tra musulmani e induisti iniziati dopo settimane di proteste contro la nuova legge sulla cittadinanza, discriminatoria verso i musulmani.
Martedì, nel giorno di scontri più violento fin qui, un gruppo di circa 500 induisti ha attaccato una moschea nel quartiere di Ashok Nagar. Gli aggressori hanno sfondato la porta della moschea, l’hanno danneggiata e si sono arrampicati sul minareto per esporre la bandiera rossa induista. Un corrispondente di BBC ha parlato di un’altra moschea attaccata e parzialmente bruciata, mentre sui social network gira il video di un uomo musulmano picchiato da una folla di induisti e di un altro uomo che cerca di strappare una bandiera con la mezzaluna islamica.
Le violenze più gravi sono avvenute nei quartieri a maggioranza islamica nel nord est di Delhi: Maujpur, Mustafabad, Jaffrabad e Shiv Vihar. Alcune famiglie musulmane, scrive il Guardian, hanno deciso di lasciare la città per precauzione e le loro case sono state attaccate e derubate. BBC dice che le strade dei quartieri musulmani sono semi deserte e che «si sente la puzza delle auto bruciate e si vede il fumo degli incendi».
I giornali internazionali raccontano di gruppi di induisti che pattugliano le strade della città armati di bastoni di ferro e mazze, aggredendo chi capita. Molti dei morti, scrive il Guardian, avevano provato a scappare dalla folla armata saltando dal tetto di edifici troppo alti. Diversi giornalisti hanno inoltre raccontato di essere stati aggrediti da gruppi di persone che volevano sapere di che religione fossero: alcuni di loro sono tra i più di 200 feriti che ci sono stati negli ultimi giorni.
Gli scontri sono iniziati domenica tra gruppi di uomini musulmani e induisti. Per due giorni i musulmani avevano bloccato un’importante strada della città, per protestare contro la legge approvata a dicembre dal governo del primo ministro Narendra Modi che aveva reso più facile ottenere la cittadinanza per tutti gli immigrati tranne quelli di religione musulmana. La popolazione dell’India è all’80 per cento induista e al 14 per cento musulmana e il governo Modi, nazionalista e induista, è da tempo accusato di politiche discriminatorie verso i musulmani.
I'm at Mustafabad, near the Loni Border, and new fires (set post-9pm) are burning in front of our eyes – Muslim jhuggis and tempos, according to onlookers – by masked men shouting JSR. Delhi Police are present saying they are unable to intervene. pic.twitter.com/tXT6k2qcXB
— Raghu Karnad (@rkarnad) February 25, 2020
Le proteste contro la legge proseguivano da mesi, ma domenica la situazione è peggiorata quando un rappresentante locale del partito di Modi ha minacciato i musulmani di far intervenire gruppi di civili induisti per rimuovere i blocchi stradali. La polizia, spesso accusata di proteggere gli induisti, non è intervenuta ed è cominciato un lancio di pietre e sassi tra i gruppi di persone. Da allora ci sono stati scontri in diversi quartieri della città, con attacchi anche a case e negozi, specialmente nei quartieri musulmani.
In passato, Modi era già stato accusato di aver fomentato le divisioni religiose e i pregiudizi verso i musulmani. Quando era governatore dello stato del Gujarat era stato accusato di non aver fatto niente per impedire l’uccisione di circa 800 musulmani da parte di gruppi induisti nel periodo di scontri religiosi del 2002. Oggi, in molti temono che il suo governo voglia trasformare l’India in un paese sempre meno laico, marginalizzando le minoranze e dando ancora più potere agli induisti.