• Mondo
  • Sabato 22 febbraio 2020

L’unico paese dove il divorzio è illegale, oltre al Vaticano

Sono le Filippine, e c'entra (indovinate?) la religione

Manila, Filippine (AP Photo/Basilio Sepe)
Manila, Filippine (AP Photo/Basilio Sepe)

In tutto il mondo ci sono solo due paesi in cui non è consentito divorziare per nessuna ragione e in nessuna forma: la Città del Vaticano e le Filippine. Se il divieto per la Città del Vaticano non stupisce più di tanto, quello in vigore nelle Filippine potrebbe sorprendere, soprattutto per le recenti aperture nella società filippina su alcuni temi sociali, tra cui i diritti degli omosessuali.

Le Filippine sono un’ex colonia spagnola poi passata sotto il controllo statunitense, e sono diventate definitivamente indipendenti nel 1946. Sono un paese a stragrande maggioranza cattolica (l’80 per cento), con una presenza di protestanti (8,2 per cento) e musulmani (5,6 per cento), e leggi e pratiche molto conservatrici: per esempio non sono concessi matrimoni tra persone dello stesso sesso, è vietato l’aborto e i contraccettivi sono da tempo oggetto di una dura battaglia legale che ne limita la distribuzione.

Nelle Filippine, in realtà, il divorzio non è vietato per tutta la popolazione: a certe condizioni è permesso ai musulmani grazie alla sharia, la legge islamica, che è parzialmente implementata nel sistema legale filippino e i cui tribunali operano sotto la supervisione della Corte Suprema nazionale. Per il resto della popolazione, l’unico modo per mettere fine a un matrimonio è quello di ottenere l’annullamento, che però ha spese molto alte e viene concesso solo in casi particolari.

Cattolici filippini toccano il Cristo Nero durante una processione a Manila, il 9 gennaio 2020 (Ezra Acayan/Getty Images)

Il divieto di divorziare nelle Filippine potrebbe stupire anche perché i filippini sono molto meno conservatori delle leggi che li governano, ha scritto l’Economist.

Secondo un sondaggio realizzato nel 2017, più della metà della popolazione pensa che il divorzio dovrebbe essere legalizzato; 7 filippini su 10 appoggiano una legge che permette al governo di distribuire contraccettivi ai poveri (norma promulgata nel 2012 ma mai pienamente applicata), molti sono apertamente gay, e il gay pride organizzato lo scorso anno a Manila, la capitale, ha attirato 70mila persone; nel 2016 una donna transgender aveva ottenuto un seggio al Congresso, ed è riuscita poi a essere rieletta lo scorso anno.

Secondo l’Economist, il motivo per cui le Filippine hanno leggi molto più conservatrici rispetto alla loro società è «uno sfortunato mix tra politica e religione».

Anzitutto le Filippine sono un paese molto religioso, dove nel 2017 il 46 per cento dei cattolici frequentava settimanalmente la Chiesa – una percentuale particolarmente alta, anche se distante dal 66 per cento del 1991. Negli ultimi anni, comunque, sembra che i cattolici abbiano perso un po’ della loro influenza, soprattutto per il contemporaneo aumento della popolarità del presidente filippino Rodrigo Duterte, che tra le altre cose in passato ha usato l’aggettivo «stupido» per definire Dio e si è riferito al Papa con l’espressione «figlio di puttana».

La riduzione dell’influenza della Chiesa cattolica sulla politica delle Filippine è però stata compensata dalla crescita di diverse sette protestanti, che negli ultimi anni sono diventate sempre più influenti pur rappresentando meno del 10 per cento della popolazione.

Tra queste, è emerso in particolare il movimento evangelico “Gesù è il Signore”, il più grande del paese, fondato tra gli altri dal vicepresidente della Camera del Congresso filippino, Eddie Villanueva. Un altro noto parlamentare, conosciuto anche all’estero, l’ex fortissimo pugile Manny Pacquiao, in diverse occasioni ha espresso posizioni molto conservatrici, fino a descrivere le persone coinvolte in una relazione omosessuale come «peggiori degli animali».

Manny Pacquiao al Congresso filippino a Quezon, il luglio 2017 (AP Photo/Aaron Favila)

La religione è riuscita a imporsi come forza importante della politica filippina anche per la debolezza dei partiti, poco organizzati e resi ancora più deboli dalla particolare legge elettorale in vigore nel paese. Nelle Filippine c’è infatti un’unica circoscrizione per tutto il territorio nazionale, che di fatto penalizza i candidati che si alienano i grandi e influenti gruppi nazionali, come i movimenti religiosi.

Attualmente il Congresso filippino sta discutendo una legge che prevede la legalizzazione del divorzio, ma sembra avere poche possibilità di essere approvata.