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  • Mercoledì 12 febbraio 2020

L’omicidio di Vittorio Bachelet, 40 anni fa

Era vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura: fu ucciso dalle Brigate Rosse

Vittorio Bachelet (Ansa foto)
Vittorio Bachelet (Ansa foto)

Il 12 febbraio del 1980, all’Università La Sapienza di Roma due militanti delle Brigate Rosse uccisero sulle scale della facoltà di Scienze politiche il professor Vittorio Bachelet. Era stato presidente dell’Azione Cattolica italiana negli anni del Concilio Vaticano II, docente universitario e, al momento dalla morte, era vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura.

All’epoca, sulla prima pagina del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Bruno Tucci raccontarono così, quel che era accaduto:

«Sono le 11.35 di una mattinata splendida. Il sole è primaverile, la temperatura è tiepida, nei viali dell’università gli studenti passeggiano con i libri sotto il braccio. Vittorio Bachelet, 54 anni, sposato con due figli, professore di Diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, ha appena concluso la lezione. Esce dall’aula numero 11, dedicata ad Aldo Moro, e si avvia chiacchierando verso le scale che portano all’ingresso della facoltà. Sono con lui la sua assistente Bindi (Rosy Bindi, che al tempo aveva 29 anni, ndr) e due studenti. Bachelet sale le scale e si ferma nell’androne (…)

Sul pianerottolo e sulle scale che conducono al secondo piano una quindicina di studenti discutono fra di loro. È il momento dell’agguato: i due terroristi sono sulla porta, la tengono aperta, sorvegliano, con disinvoltura, il professore e la piazzetta interna, cioè la via della fuga. (…)

Bachelet continua a parlare con l’assistente, la terrorista si innervosisce, decide di entrare in azione. Con freddezza, fa un paio di passi, raggiunge il professore che le volge la schiena, lo afferra per una spalla, lo gira e spara quattro volte. Quattro colpi all’addome da non più di trenta centimetri. Il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura si piega su se stesso, barcolla, cerca istintivamente rifugio in un angolo a ridosso della vetrata. Interviene il secondo terrorista: si precipita verso Bachelet che sta crollando a terra. Preme per quattro volte il grilletto, il professore si affloscia su un fianco, perde gli occhiali. L’assassino si china su di lui e gli spara il colpo di grazia alla nuca. L’autopsia confermerà che gli assassini hanno usato una pistola calibro 32: otto pallottole che lo hanno centrato. Una al cuore, una alla nuca».

Poco dopo, ai centralini di due giornali (Repubblica e Avanti!) arrivarono le telefonate di rivendicazione: «Siamo le Brigate Rosse, abbiamo giustiziato noi il professor Bachelet. Seguirà comunicato». Nel comunicato, si diceva che Bachelet aveva reso possibile la trasformazione del CSM «da organismo formale a mente politica» assumendo il «controllo delle attività giuridiche dei singoli magistrati» e «assicurando inoltre un collegamento organico all’Esecutivo».

Dopo la morte di Bachelet, Sandro Pertini, capo della Stato e dunque presidente del CSM, disse subito che con quell’omicidio la lotta armata in Italia aveva toccato il suo punto più alto di aggressione allo Stato: «Questo di oggi è il più grave delitto che sia stato consumato in Italia perché il delitto Moro aveva un carattere politico, mentre quello di oggi è diretto contro le istituzioni; perché si è voluto colpire il vertice della magistratura, il vertice del pilastro fondamentale della democrazia».

Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini sul luogo dove Vittorio Bachelet fu ucciso, 12 febbraio 1980 (ANSA/ ARCHIVIO)

Vittorio Bachelet era nato il 20 febbraio del 1926 a Roma, ultimo di nove figli. A cinque anni lo iscrissero all’Azione Cattolica presso un circolo parrocchiale di Bologna, dove la famiglia viveva. Nel 1938 tornò a Roma, frequentò giurisprudenza ed entrò nella Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI). A questi anni risale la sua amicizia con Aldo Moro. Mentre proseguiva la sua carriera accademica, venne nominato da Papa Giovanni XXIII vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica e poi, da Paolo VI, presidente con la precisa missione di rinnovare l’organizzazione secondi i principi del Concilio Vaticano II. In questi anni si impegnò anche contro l’aborto, per «l’indissolubilità della famiglia» e contro il divorzio.

Iscritto al Democrazia Cristiana, nel 1976 venne eletto al consiglio comunale di Roma, incarico che lasciò poco dopo perché venne nominato vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, del quale entrò a far parte come membro “laico”, cioè eletto dal Parlamento in seduta comune con una larga maggioranza. Nel 1977 divenne ordinario di Diritto amministrativo alla Sapienza di Roma. Quando nel 1978 rapirono e poi uccisero Moro, il nome di Bachelet venne ritrovato nelle carte dei brigatisti, come quello di molti altri indicati come possibili obiettivi. Lui rifiutò la scorta.

Nel raccontare la storia di Vittorio Bachelet, in molti oggi ricordano le parole che il figlio Giovanni, docente alla Sapienza e deputato del Partito Democratico dal 2008 al 2013, pronunciò al funerale: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».

Nel maggio del 1980, per l’esecuzione materiale dell’omicidio di Vittorio Bachelet vennero arrestati Bruno Seghetti e Anna Laura Braghetti, entrambi coinvolti nel sequestro Moro avvenuto due anni prima (Braghetti è autrice del libro Il prigioniero, da cui è stato liberamente tratto il film Buongiorno, notte di Marco Bellocchio). Vennero condannati all’ergastolo e oggi si trovano entrambi in libertà condizionale. Di loro, Giovanni Bachelet, in un’intervista, ha detto: «Hanno fatto il percorso rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione, e ritengo che mio padre come Aldo Moro, due persone che hanno dato la vita per la Repubblica e lo Stato di diritto, non possano che rallegrarsi di ciò».