È iniziato il viaggio di Solar Orbiter verso il Sole

La sonda si avvicinerà alla nostra unica stella per esplorare i suoi poli per la prima volta, protetta da un ingegnoso scudo termico per non finire arrosto

di Emanuele Menietti – @emenietti

La sonda Solar Orbiter con il Sole sullo sfondo, in un'elaborazione grafica (ESA/ATG medialab)
La sonda Solar Orbiter con il Sole sullo sfondo, in un'elaborazione grafica (ESA/ATG medialab)

La sonda Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha iniziato da qualche ora il suo viaggio verso il Sole. Grande più o meno quanto un SUV, il satellite è stato lanciato da Cape Canaveral in Florida (Stati Uniti) poco dopo la mezzanotte (in Italia erano le 6 del mattino di lunedì) a bordo di un razzo Atlas V fornito dalla NASA, che collabora con l’ESA per diversi scopi della nuova missione. Solar Orbiter raggiungerà il Sole tra un paio di anni e offrirà immagini mai viste della nostra unica stella, dando l’opportunità ai ricercatori di studiare soprattutto le caratteristiche dei poli solari, aree ancora poco conosciute.

Perché i poli del Sole
Solar Orbiter non è la prima sonda a essere inviata verso il Sole, ma le missioni condotte finora si sono concentrate soprattutto sulla sua parte equatoriale, compiendo orbite grossomodo sullo stesso piano di quelle seguite dalla Terra e dagli altri pianeti del sistema solare. La nuova sonda percorrerà orbite a una diversa angolazione, rendendo quindi possibile l’osservazione dei due poli del Sole. Sono aree poco esplorate e scarsamente visibili dalla Terra, perché il nostro pianeta orbita mantenendosi più o meno al livello dell’equatore solare (la parte centrale della stella).

Studiando i poli, i ricercatori confidano di comprendere meglio alcuni meccanismi del Sole che ancora ci sfuggono, e che determinano il cosiddetto “tempo meteorologico spaziale”, cioè il modo in cui cambiano le condizioni ambientali nello Spazio. I dati raccolti da Solar Orbiter dovrebbero inoltre permettere di studiare meglio il comportamento ciclico del Sole, che dura 11 anni.

Il Sole, in brevissimo
Abituati a vederlo in cielo o ad avvertirne comunque la presenza ogni giorno, tendiamo a dare il Sole come un elemento piuttosto scontato della nostra esistenza. Eppure, se la nostra stella non esistesse, non esisteremmo nemmeno noi e nemmeno l’articolo che state leggendo ora.

Il Sole ha un diametro di 1,39 milioni di chilometri, circa 109 volte quello della Terra, e sarebbero necessari 330mila pianeti come il nostro messi insieme per raggiungere la sua massa. La nostra stella costituisce da sola il 99,86 per cento di tutta la massa del sistema solare e si trova a una distanza media di 150 milioni di chilometri da noi. In termini astronomici, è comunque una stella di dimensioni medio-piccole ed è classificata come una “nana gialla” (con una temperatura superficiale di 5.500 °C). Si stima che il Sole abbia 4,6 miliardi di anni e che sia in una fase di equilibrio, nella quale fonde costantemente gigantesche quantità di idrogeno in elio nel suo nucleo.

(NASA/SDO)

11 anni
Da circa quattro secoli, gli astronomi sanno che il Sole ha un andamento ciclico, ma non sanno di preciso perché duri 11 anni e quali siano i meccanismi che lo inducono. All’inizio e alla fine di ogni ciclo, l’enorme campo magnetico prodotto dal Sole si inverte, con i poli che passano rispettivamente da negativo a positivo e da positivo a negativo. È un po’ come se si possedesse una calamita e questa invertisse la propria polarità, ma su una scala molto più grande, come quella di una sfera infuocata col diametro di 1,39 milioni di chilometri.

Questa inversione influisce sul comportamento del Sole, con periodi di massima e di minima attività. Durante la prima, per esempio, la superficie solare si riempie di macchie solari, che diventano invece pressoché assenti durante la seconda. Le due fasi sono importanti perché determinano la quantità di materiale emessa del Sole, particelle altamente energetiche che vengono proiettate in ogni direzione e che spesso raggiungono la Terra.

La superficie solare, vista dal telescopio DKIST (NSO/AURA/NSF)

Nei periodi di massima attività solare, la quantità di materiale espulsa dal Sole raggiunge il suo picco, condizionando il tempo meteorologico spaziale. Il grande campo magnetico intorno alla Terra e l’atmosfera ci proteggono dalle emissioni più nocive e pericolose, ma queste possono comunque causare problemi ai nostri satelliti e ai sistemi di comunicazione, senza contare i maggiori rischi per gli astronauti che vivono sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Comprendere meglio i cicli solari dovrebbe aiutarci a diventare più abili nel fare le previsioni meteo spaziali, ambito nel quale siamo ancora piuttosto scarsi a confronto con le previsioni del meteo terrestre. La maggior parte delle ricerche si è finora basata sui dati raccolti da sonde e telescopi nella parte equatoriale del Sole, ma visto che i poli sono essenziali nel processo, il nuovo Solar Orbiter dovrebbe offrire nuove e preziose informazioni rimaste finora inaccessibili.

Solar Orbiter
La sonda Solar Orbiter ha una base di circa 2,5 metri quadrati e raggiunge una lunghezza di 3,1 metri; con i pannelli solari aperti raggiunge un’estensione massima di circa 18 metri. È stata assemblata dall’europea Airbus Defence and Space e numerosi stati membri dell’ESA hanno contribuito alla produzione delle strumentazioni scientifiche, così come la NASA.

I dieci strumenti a bordo serviranno per fare rivelazioni e analisi delle particelle emesse durante l’attività solare, per misurare il campo magnetico della stella e per scattare immagini ad alta risoluzione della superficie del Sole. Solar Orbiter si avvicinerà fino a 42 milioni di chilometri dal Sole, un avvicinamento mai tentato prima da altre sonde e che consentirà di raccogliere maggiori quantità di dati.

Scudo termico
Per avvicinarsi così tanto al Sole, Solar Orbiter dovrà utilizzare uno speciale scudo termico, che rimarrà costantemente orientato in direzione della stella, riparando le strumentazioni dalle forti radiazioni. Lo scudo è stato progettato e costruito dalla franco-italiana Thales Alenia Space, l’azienda spaziale più grande e importante in Europa per la produzione di satelliti e di alcuni dei moduli che costituiscono la Stazione Spaziale Internazionale. L’azienda ha diversi siti produttivi in Italia e un centro di eccellenza nella ricerca e produzione per le esplorazioni spaziali con sonde interplanetarie e rover (robot automatici) a Torino.

In una missione per avvicinarsi al Sole, lo scudo termico riveste un ruolo essenziale, e per questo Thales Alenia Space ha sviluppato soluzioni e tecnologie innovative. Lo scudo è un grande rettangolo realizzato con strati di titanio che ricopre un intero lato di Solar Orbiter, quello che sarà costantemente rivolto verso il Sole (salvo brevi periodi con orientamento diverso nel corso di alcune manovre). Tra lo scudo e il resto della sonda c’è una sorta di intercapedine, che consentirà al calore di disperdersi, evitando che le strumentazioni raggiungano temperature eccessivamente alte, che potrebbero danneggiarle e fonderle.

Preparazione di un test per lo scudo termico di Solar Orbiter (ESA-Anneke Le Floc’h)

Lo scudo termico di Solar Orbiter consentirà di resistere a temperature che superano i 500 °C, ma al tempo stesso dovrà permettere ad alcune strumentazioni di superare la sua barriera, per effettuare le misurazioni. Per farlo, potranno sfruttare alcuni fori ricavati nello scudo e a loro volta protetti da strutture mobili (occultatori esterni), che si sposteranno per il tempo necessario a rilevare i dati. Il principio è più o meno quello dello spioncino della porta di casa: così come se ne discosta un momento il coperchio per osservare la persona sul pianerottolo, Solar Orbiter fa la stessa cosa per tenere periodicamente d’occhio il Sole.

Gli occultatori esterni sullo scudo termico di Solar Orbiter (ESA)

Italia a bordo
Oltre al lavoro di Thales Alenia Space, l’Italia è presente su Solar Orbiter con lo strumento METIS, realizzato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica. È un coronografo, cioè uno strumento per osservare le regioni coronali del Sole (la parte più esterna dell’atmosfera solare) dove si producono alcune delle attività più spettacolari prodotte dalla nostra stella, come le espulsioni di massa coronale.

METIS sarà il primo coronografo in grado di ottenere immagini della corona solare sia nella luce visibile sia in quella ultravioletta, invisibile all’occhio umano. I dati raccolti offriranno nuovi spunti ai ricercatori per lo studio del vento solare, il flusso di particelle cariche (elettroni e protoni) emesse dal Sole in grande quantità. Ogni secondo, la nostra stella perde circa 800 milioni di chilogrammi di materiale sotto forma di vento solare, una quantità comunque trascurabile se rapportata alla sua gigantesca massa.

In viaggio
Il viaggio iniziato nelle prime ore di lunedì 10 febbraio porterà Solar Orbiter a sfruttare le spinte offerte dalla gravità di Venere e della Terra per raggiungere la sua orbita operativa nella parte più interna del sistema solare.

L’avventura verso la nostra unica stella è appena incominciata.