Breve storia della neve finta nei film

Dal cotone ai farmaci sbriciolati, dai cornflakes dipinti di bianco alle fibre di amianto

A Los Angeles, dove vengono girati tuttora molti film di Hollywood, la neve non cade dal gennaio del 1962. Ma molti film, soprattutto natalizi, prevedono che ci sia la neve: e girare nei posti dove la neve c’è davvero non è sempre possibile, per problemi economici e di imprevedibilità del clima. «Creare banchi di neve, ghiaccioli che scendano dalle grondaie e fiocchi di neve è da sempre una sfida per i registi», scrive l’Economist raccontando, in breve, la storia della neve finta al cinema, nata da una necessità.

Quando si cominciarono a girare film a Hollywood, la neve veniva creata con materiali comuni: grandi palle di cotone venivano gonfiate per creare dei cumuli, ma con gravi rischi per la sicurezza; le pasticche per digerire venivano polverizzate e soffiate da grandi ventilatori per riprodurre le tempeste di neve, finché gli attori inalandole non cominciarono ad accusare qualche disturbo. Allora si pensò di dipingere di bianco i cornflakes, che erano convincenti sullo schermo ma che avevano alcuni fastidiosi inconvenienti: lo scricchiolio che facevano quando venivano calpestati rendeva i dialoghi inutilizzabili.

Nel Mago di Oz del 1939, Dorothy e i suoi compagni vengono sorpresi dalla neve in un campo di papaveri: quella neve era realizzata con fibre di amianto, altamente cancerogene. Commercializzato con nomi come “Pure White”, l’amianto è stato utilizzato nei film fino a dopo la Seconda guerra mondiale e in quello stesso periodo fu commercializzato come neve artificiale anche per decorare gli alberi di Natale di casa. Nel film Il medico di campagna del 1936 vennero utilizzati circa 455 chili di fibre di amianto per riprodurre le terre del Québec.

Frank Capra, uno dei registi più importanti della cosiddetta epoca d’oro di Hollywood, fra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, si oppose ai metodi utilizzati fino ad allora: non perché fosse preoccupato per la salute degli attori e di chi lavorava con lui, dice l’Economist, ma perché erano in generale rumorosi e lui voleva girare in presa diretta i dialoghi di La vita è meravigliosa. Così Russell Shearman, tecnico e supervisore agli effetti speciali, si inventò un innovativo e rivoluzionario tipo di neve artificiale: mescolò la foamite, materiale utilizzato nella composizione di alcune polveri per estintori, con acqua, zucchero e sapone, creando una soluzione che venne pompata attraverso le macchine per il vento. Il risultato fu molto realistico e, soprattutto, silenzioso (quell’anno Shearman vinse l’Oscar per i risultati ottenuti).

Il dottor Živago di David Lean venne girato tra la Spagna e la Finlandia, e non in Russia dove il libro di Boris Pasternak era stato censurato. Per riprodurre ghiaccio e neve venne utilizzata della cera d’api congelata e mescolata con polvere di marmo. La scena iniziale di The Gold Rush del 1925 di Charlie Chaplin mostra la Sierra Nevada, in California (che rappresentava il Chilkoot Pass in Alaska), ma le condizioni meteorologiche costrinsero Chaplin a ritirarsi in uno studio, dove il paesaggio innevato fu riprodotto con farina e sale. Anni dopo Stanley Kubrick, spiega l’Economist, «non prese nemmeno in considerazione l’idea di girare con la neve vera, che si sarebbe sicuramente sciolta prima che la prima scena fosse completata». Per Shining, del 1980, lavorò dunque in uno studio britannico usando sale e polistirolo.

Tra le soluzioni più comuni e recenti per riprodurre la neve al cinema c’è la carta riciclata conosciuta come Snowcel: si vede in film come The day after tomorrow (del 2004) e nel Gladiatore (del 2000). L’inconveniente di questo materiale è la sua tendenza a non rimanere a terra e a fluttuare verso l’alto. Oggi sempre più spesso le sostanze alternative alla neve vengono sostituite con immagini grafiche digitali, utilizzate anche nei film con attori veri. La neve, proprio come il fuoco e il pelo, è particolarmente difficile da riprodurre al computer, ma nel 2013 è stata sviluppata una nuova tecnica per il film Frozen, chiamata “material point method”, che registra e ricrea le proprietà dei fiocchi di neve.