Vent’anni dal “millennium bug”

La storia della cosa più vicina a una vera profezia di "fine del mondo" – il malfunzionamento dei computer allo scoccare del millennio – che poi si risolse in quasi niente

Annuncio di Best Buy per il "millennium bug"
Un annuncio della catena di rivenditori di elettronica Best Buy per il "millennium bug" (via Imgur)

«Il governo non si rende conto. Ascoltano con sospetto i nostri discorsi sul problema della data, pensano forse che il doppio zero sia una stranezza. Non si rendono conto che qui si decide il destino economico del paese. Non so fino a che punto abbiano capito che se qualcosa va male c’è un’intera classe dirigente che se ne va a casa». Così si esprimeva preoccupato Ernesto Bettinelli in un’intervista su Repubblica il 5 febbraio 1999. Bettinelli – costituzionalista, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio – all’epoca era a capo del “Comitato 2000”, voluto dall’allora governo D’Alema per fronteggiare un problema che sarebbe arrivato con il nuovo millennio e che avrebbe riguardato tutti i sistemi informatici d’Italia e del mondo: il cosiddetto “millennium bug”.

In cosa consisteva il “millennium bug”

I computer che usiamo oggi si sono evoluti moltissimo rispetto a quelli degli anni Settanta e degli anni Ottanta, ma una cosa non è cambiata: entrambi eseguivano ed eseguono dei calcoli ricevendo istruzioni attraverso un linguaggio basato sul sistema binario. I primi computer non avevano molto spazio per immagazzinare i dati e quindi, per risparmiare, molti programmi rappresentavano gli anni solamente con le ultime due cifre. Con l’avvicinarsi dell’anno 2000, però, in molti ipotizzarono che i computer non fossero in grado di capire che “00” era l’inizio di un nuovo secolo, e quindi avrebbero ricominciato il conteggio dal 1900.

Potrebbe sembrare un problema di poco conto, ma il cambio di data scorretto avrebbe potuto scombinare un sacco di cose. Come ha sottolineato National Geographic, per esempio, le banche fanno il calcolo dei tassi di interesse su base giornaliera e progressiva, perciò se i computer avessero interpretato il cambio di data come un ritorno al 1900 avrebbero potuto calcolare i tassi facendoli regredire di cento anni, causando un caos finanziario inimmaginabile.

Anche in altri contesti avrebbero potuto esserci problemi simili: nel settore dei trasporti, per esempio, che già vent’anni fa dipendeva dai computer nell’organizzazione e programmazione dei viaggi. Oppure nelle centrali elettriche, che si basano su una routine di controlli fatti dai computer su base giornaliera e che una data scorretta avrebbe potuto compromettere. Insomma, potenzialmente il “millennium bug” avrebbe potuto causare disastri su più livelli, almeno secondo i più allarmisti. Invece alla fine – spoiler – non successe un granché.

Cosa successe dopo il primo gennaio 2000

I problemi furono minimi e i sistemi informatici mondiali rimasero intatti, probabilmente anche per gli interventi effettuati prima della fine dell’anno. Si registrarono malfunzionamenti nelle apparecchiature di monitoraggio di una centrale giapponese; in Italia ci furono problemi per alcuni computer degli uffici pubblici, in particolare nei tribunali di sorveglianza di Napoli e Venezia, risolti in breve tempo, e in un ospedale di Foggia dove gli orologi elettronici tornarono indietro di un anno; in Australia ebbero malfunzionamenti due macchine per obliterare i biglietti degli autobus, e negli Stati Uniti ci fu qualche problema con i sistemi dello United States Naval Observatory, che tra le altre cose segna l’orario ufficiale della nazione: allo scoccare della mezzanotte il sito dell’agenzia segnò la data del primo gennaio 19100.

Ma al di là di questo, nel giro di poco si capì che la frenesia da “millennium bug” degli allarmisti e dei media era stata sovradimensionata rispetto a quello che successe. I paesi che si prepararono meno a questa scadenza, alla fine, non ebbero più problemi di quelli che invece spesero un sacco di soldi: globalmente furono spesi 300 miliardi di dollari per rendere i sistemi informatici “immuni” dal bug, di cui 100 solo dagli Stati Uniti, dove però ci fu comunque qualche malfunzionamento anche se di poco conto.

Probabilmente è proprio negli Stati Uniti che la paura di potenziali catastrofi si diffuse di più: negli ultimi mesi del 1999 gli acquisti di cibo, acqua e armi aumentarono nel timore che succedesse qualcosa di veramente grave, e quando a fronte di tutto questo non ci furono grandi problemi, cominciò a circolare l’idea che il “millennium bug” fosse una specie di complotto inventato da chissà chi.

Un’inchiesta video del New York Times, nel 2013, cercò di ricostruire quanto ci fosse di fondato dietro al “millennium bug”. Secondo un rapporto ufficiale del Senato, gli intensi preparativi avevano evitato che si presentasse una grossa crisi, e anche secondo gli esperti il fatto che non sia successo nulla fu prova dell’ottimo lavoro dei programmatori, benché svolto sotto traccia. Una ricerca citata dal video, però, ha stimato che la cifra spesa dagli Stati Uniti per il “millennium bug” fu molto più alta del necessario, e inoltre non viene spiegato perché negli altri paesi che si prepararono meno tutto continuò comunque a funzionare.

Il “millennium bug” nella cultura di massa

Oggi non sono rimaste molte tracce del “millennium bug”, ma al tempo era continuamente al centro di articoli e servizi al telegiornale. Negli Stati Uniti vennero girati addirittura due film, entrambi intitolati Y2K (in uno ci recitò Malcolm McDowell, Alex di Arancia Meccanica), ma forse il prodotto culturale più famoso in cui si parla del “millennium bug” sono I Simpson: in una puntata della serie La paura fa novanta, Homer era incaricato di risolvere il problema informatico alla centrale nucleare, ma essendo Homer trascura il suo lavoro e causa la diffusione del problema in tutto il mondo, distruggendolo.