I vent’anni di “Magnolia”

Aveva un cast incredibile e una scena che è rimasta, ma da allora Paul Thomas Anderson si è pentito di una cosa

tom-cruise-magnolia

Il 17 dicembre 1999 uscì in alcune sale statunitensi il terzo film di un regista che si stava costruendo una fama di giovane prodigio del cinema hollywoodiano, e a ragione. Paul Thomas Anderson girò Magnolia avendo dimostrato il suo enorme talento con il film Boogie Nights, e aveva avuto praticamente carta bianca per replicarne il successo, mettendo insieme una lunghissima storia a incastro con un cast sterminato e pieno di attori famosi. L’aveva chiamata Magnolia, un titolo che gli ronzava in testa da anni, e ci aveva messo dentro un sacco di cose ambiziose. Non funzionarono tutte, e il film non fu un grande successo commerciale, ma nei vent’anni che sono passati dalla sua uscita è diventato, come si dice, un “film di culto”, un po’ per quello che ha fatto dopo Anderson (Il PetroliereThe Master), un po’ per gli attori, un po’ per la colonna sonora e un po’ perché era un gran film.

Magnolia racconta le storie intrecciate di una serie di personaggi che vivono a Los Angeles, perlopiù incentrate sul lutto, sulla sofferenza, sulla malattia, sulle frustrazioni. Il racconto corale e l’ambientazione ricorda un po’ America oggi di Robert Altman, così come il gusto per le coincidenze: il film è aperto da tre aneddoti di fatalità inspiegabili, partendo da quella diventata celebre del sommozzatore – interpretato da Patton Oswald – che viene pescato in un lago da un Canadair è lasciato cadere su un bosco in fiamme.

– Leggi anche: Da dove salta fuori Adam Driver

Boogie Nights, nel quale aveva raccontato l’industria pornografica californiana degli anni Settanta, era stato un grande successo di pubblico e di critica, e quindi la casa di produzione New Line Cinema aveva lasciato praticamente carta bianca a Anderson per il suo film successivo. Lui all’inizio voleva fare una cosa piccola, ma poi si mise a sviluppare un’idea per una storia con tanti protagonisti e si rese conto che il film sarebbe venuto più o meno opposto: lungo, complicato e molto melodrammatico. La stima e la libertà della casa di produzione fece sì che ottenne tutti gli attori che voleva, anche se in futuro avrebbe spiegato che fu troppo testardo e piantagrane durante le fasi di produzione.

Le storie di Magnolia sono quella del poliziotto romantico e impacciato interpretato da John C. Reilly, del conduttore di quiz per bambini malato terminale interpretato da Philip Baker Hall, la cui figlia Claudia – che conosce e inizia una relazione con il poliziotto – lo odia perché crede l’abbia molestata da bambina. C’è un ex campione del quiz per bambini, William Macy, ossessionato dall’idea di aggiustarsi i denti con un apparecchio, e c’è il produttore morente del quiz che chiede al suo infermiere – Philip Seymour Hoffman – di contattare per lui il figlio, il “guru del rimorchio” interpretato da Tom Cruise.

Proprio quello di Tom Cruise diventò uno dei personaggi più celebri del cinema di quegli anni. Allora Cruise era uno degli attori più famosi e richiesti di Hollywood, reduce dal successo di Mission: Impossible e impegnato in quei mesi nelle riprese di Eyes Wide Shut, l’ultimo film di Stanley Kubrick. Una sera vide con Nicole Kidman Boogie Nights, gli piacque un sacco e scrisse ad Anderson di raggiungerlo sul set. Anderson ci andò, conobbe Kubrick – a cui chiese sorpreso spiegazioni sulle poche persone impiegate nella troupe – e propose a Cruise di recitare nel suo film. Lui accettò, anche se oltre ad Eyes Wide Shut stava lavorando anche a un altro film che sarebbe uscito l’anno dopo, Mission: Impossible II.

Frank Mackey, il predicatore televisivo misogino autore del metodo “Seduci e distruggi” che insegna a uomini disperati come abbordare le donne trattandole come oggetti, fu perfezionato da Cruise e Anderson, ed era in un certo senso opposto a quello represso di Eyes Wide Shut. Prima dell’uscita del film di Kubrick era circolata voce che Cruise avrebbe interpretato uno psicologo malato di sesso, ma non fu così: quel personaggio fu in parte quello di Magnolia, anche se l’aura di seduttore di Mackey è ridicolizzata dall’unica scena in cui lo si vede alle prese con una donna.

Cruise per quel ruolo fu nominato all’Oscar e vinse un Golden Globe. Tra le interpretazioni più apprezzate ci fu quella di Reilly, che fino ad allora aveva recitato soprattutto parti un po’ comiche, e che chiese ad Anderson di fare un personaggio diverso. Anderson chiamò anche Philip Seymour Hoffman, che aveva già recitato in Boogie Nights, oltre a Julianne Moore, a cui fece fare la parte della moglie che ha sposato un ricco produttore per soldi, ma che poi se ne è innamorata.

A rendere il film memorabile fu un’intuizione quasi casuale che ebbe Anderson, che pensò di risolvere le linee narrative con una gigantesca pioggia di rane, che all’inizio non si era nemmeno reso conto fosse ispirata dall’Antico Testamento. La scena diventò una delle più famose del cinema degli anni Novanta, citata e riprodotta moltissime volte, e contribuì a rendere Magnolia uno dei film più discussi della fine del decennio.

Non fu un grande successo di incassi, ma fu accolto benissimo dalla critica e vinse diversi premi, tra cui l’Orso d’oro alla Berlinale, e piacque tantissimo a gente come Ingmar Bergman e Roger Ebert. Contribuì al successo anche la colonna sonora, composta in buona parte dalla cantautrice Aimee Mann, che venne anche candidata all’Oscar per la canzone “Save Me”.

Anderson ha detto in diverse occasioni di essersi pentito della lunghezza del film. Nel 2015, nel podcast di Marc Maron, ha spiegato che «non mi facevo fare nessun editing. Era davvero troppo lungo, cazzo», e rispondendo su Reddit alla domanda su cosa farebbe se potesse rigirarlo, ha detto: «mi darei una calmata e taglierei venti minuti».

– Leggi anche: Via col vento, spiegato bene
– Leggi anche: Dentro “The Irishman”