Il governo cinese smetterà di usare computer e software stranieri

Entro il 2022 tutti gli uffici governativi dovranno convertirsi a prodotti interamente cinesi, ma non sarà facile

(Feng Li/Getty Images)
(Feng Li/Getty Images)

Nei prossimi tre anni il governo cinese smetterà di usare computer e software stranieri. Lo ha ordinato una direttiva emessa nei mesi scorsi dal Partito Comunista, l’unico ammesso in Cina, e di cui si ha avuto notizia solo negli ultimi giorni grazie ad alcuni articoli apparsi su giornali occidentali come il Financial Times e l’agenzia di stampa Bloomberg. Fra le altre cose, la decisione sarà un bel problema per le molte aziende occidentali di tecnologia che fanno affari in Cina, anche se al momento il danno è difficile da quantificare.

Secondo le informazioni raccolte dal Financial Times la sostituzione sarà completata entro il 2022: il 30 per cento dei computer e dei software stranieri verranno sostituiti nel 2020, il 50 per cento nel 2021 e il restante 20 per cento nel 2022. È la prima volta che il governo cinese prende una decisione del genere nel campo della tecnologia, anche se Bloomberg ha fatto notare che già nel 2014 il governo di Xi Jinping intendeva abbandonare gran parte della tecnologia straniera utilizzata dalle banche, dall’esercito, dalle agenzie governative e dalle aziende pubbliche.

La misura presa negli scorsi mesi è un successivo passo in avanti, che si può leggere sia come una ritorsione per la decisione del presidente statunitense Donald Trump di impedire a Huawei, una potente azienda di telecomunicazioni cinese al centro da mesi al centro di un delicato caso internazionale, di fare affari negli Stati Uniti (anche se l’applicazione del divieto è stata rinviata più volte); sia come parte del piano di Xi Jinping di rendere indipendente la Cina dal punto di vista tecnologico, uno dei settori su cui era rimasta più indietro fino a vent’anni fa.

Secondo i calcoli della banca d’investimento cinese China Securities, il governo dovrà sostituire fra i 20 e i 30 milioni di computer nei prossimi tre anni. Al momento non è chiaro quanti computer fabbricati all’estero vengano usati dagli uffici governativi cinesi. Secondo alcuni analisti consultati dal Financial Times, già oggi molti uffici tendono a utilizzare dispositivi Lenovo, specialmente dopo che una quindicina di anni fa aveva comprato la divisione che produce computer fissi di IBM (anche se alcuni componenti dei prodotti Lenovo sono tuttora prodotte all’estero, come i processori Intel e gli hard disk di Samsung).

Sarà invece più complesso sostituire i software stranieri a causa dell’assenza di valide alternative cinesi: ancora oggi la maggior parte degli sviluppatori cinesi progetta software compatibili con i due sistemi operativi più diffusi nel mondo, Windows di Microsoft e macOS di Apple, entrambi statunitensi. I sistemi operativi cinesi come Kylin, da alcuni anni basato sulla tecnologia open source di Linux, al momento sono molto meno frequentati.

Brock Silvers, un analista della società di investimenti Adamas Asset Management contattato da Bloomberg, ha spiegato che società che realizzano profitti su grandi numeri come Microsoft «sono indubbiamente preoccupate» perché il loro giro d’affari in Cina – da 135 miliardi di euro all’anno, solo per le società americane – potrebbe ridursi sensibilmente. Tuttavia buona parte delle entrate sono generate dal settore privato, e ancora non è chiaro quanto potrebbe essere influenzato dalle nuove misure.