Tom Waits ha 70 anni

Una buona scusa per riascoltare le sue 16 migliori canzoni, scelte dal peraltro direttore del Post

(AP Photo/Evan Agostini)
(AP Photo/Evan Agostini)

Oggi Tom Waits – cantante, polistrumentista e attore, tra le altre numerose cose – compie 70 anni. Questo è quello che ne scriveva il peraltro direttore del Post Luca Sofri nel suo libro Playlist, La musica è cambiata, per il quale aveva scelto sedici delle sue canzoni.

Tom Waits
(1949, Pomona, California)
Tom Waits ha la voce fatta a forma della sua faccia, che pare sia stata impastata da un pizzaiolo e lasciata nel forno troppo a lungo. Tom Waits è un mito. Lo è davvero: gode di un culto unanime, scrive musica e pubblica dischi da più di trent’anni, non riceve mai una critica negativa, decine di colleghi lo citano a modello, le sue canzoni sono state cantate da tutti, talento e riservatezza gli stanno incollati addosso, incollati alla sua faccia, accrescendo il suo fascino presso i fans. Rispondendo a un giornalista che gli chiedeva della sua ricca ed elevatissima produzione di canzoni, una volta disse: “Non ci vedo niente di così straordinario, so scrivere solo due tipi di canzoni: quelle sarcastiche e quelle romantiche”.

Ol’ 55
(Closing time, 1973)
La vecchia 55 era una Buick Roadmaster del ’55 (gli americani hanno questa cosa che chiamano le macchine con l’anno di produzione), che Waits si comprò da giovane, e ne andava matto. A lui la versione della canzone degli Eagles non piacque mai tanto («preferisco la mia»), e nemmeno gli Eagles in generale: «Mi eccitano quanto guardare la vernice che si asciuga: i loro dischi sono buoni per tenere la polvere lontano dal giradischi».

Grapefruit moon

(Closing time, 1973)
Epigramma per questo libro: “Ho sentito quella musica, e mi sta uccidendo. Non te ne accorgi, bellezza? Che ogni volta che sento questa canzone, qualcosa dentro va in pezzi”. Devo ricordarmene.

San Diego serenade

(The heart of saturday night, 1974)
Tom Waits che si traveste da Billy Joel. «Parla di una ragazza, tanto tempo fa. Ero pazzo di lei. Anche suo marito». E anche: «L’ho scritta pensando a Ray Charles, pensando che gli sarebbe piaciuto cantarla. Non so perché. Non l’ho mai conosciuto».

Please, call me baby

(The heart of saturday night, 1974)
Loro hanno litigato. Però “chiamami, baby. Fa troppo freddo, per stare in giro, per strada. Quando siamo arrabbiati diciamo delle stupidaggini. Ma non voglio che tu ti ammali e ci resti secca camminando sotto la pioggia”.

Tom Traubert’s blues

(Small change, 1976)
Come capita a noi per il “Va’ pensiero”, in Australia discutono da sempre se sostituire l’inno nazionale vigente con la più popolare canzone tradizionale australiana, “Waltzing Mathilda”, appunto. Che ha più di un secolo e non parla di nessuna Mathilda – “Waltzing Mathilda” è un modo di dire per il girovagare del suo protagonista – ed è diventata famosa nel resto del mondo anche grazie alla citazione di Tom Waits nella sua canzone più bella, “Tom Traubert’s blues”: che racconta le fatiche e i tormenti di un soldato in terre lontane, o, come la spiega Waits «del vomitare in un paese straniero».

The piano has been drinking
(Small change, 1976)
La rivolta degli oggetti, nel locale di Londra dove Tom Waits suonò per due settimane nel 1976. La cravatta ha sonno, il tappeto ha bisogno di un parrucchiere, il telefono ha finito le sigarette e i portacenere sono in pensione. E il pianoforte ha bevuto. “È il pianoforte che ha bevuto, non io”.

A sight for sore eyes

(Foreign affairs, 1977)
“A sight for sore eyes” è qualcuno che non vedevi l’ora di incontrare: una gioia per gli occhi, all’incirca. “Ne è passata di acqua, sotto i ponti, eh?”. Si parla dei vecchi tempi, di Joe Di Maggio e Mickey Mantle. “E Monk è sempre un campione, ma io sono il migliore”. Un brindisi per Di Maggio, e uno per l’oste! E una partita a flipper, che ti straccio. E hai sentito di Nash? È morto, in un incidente, saranno due o tre anni. No, lei è sposata, ha due figli. Un altro brindisi, per Di Maggio.

Foreign affair

(Foreign affairs, 1977)
Una formidabile e commossa celebrazione del viaggio, dell’andarsene, del frequentare il mondo. Con un attacco che converte in melodia dolcissima una formula da guida turistica:
“When travelling abroad in the continental style,
 it’s my belief one must attempt to be discreet,
 and subsequently bear in mind your transient position 
allows you a perspective that’s unique”
.
E anche tu ti domandi “come accidenti hai mai potuto pensare che avresti potuto essere contento dentro i confini comunali di una cittadina del Midwest”, o della Toscana.

Kentucky avenue

(Blue Valentine, 1978)
Ognuno ha la sua. La strada dove giocavo io da ragazzino si chiama-va via D’Achiardi. C’era un signo
re, “il Gabbani”, che ci bucava il pallone (“ve lo foro!”) quando fi
niva nel suo giardino, e bisognava scavalcare la ringhiera e correre a prenderlo prima che uscisse con la
 bava alla bocca e un coltello da cu-cina in mano. Panico. “Mrs. Storm
 will stab you with a steak knife if
you step on her lawn”.
Tom Waits era cresciuto in una strada che si chiamava Kentucky avenue, a Whittier, in California. Queste sono le storie di quei tempi.
 La Buick dovrebbe essere una Roadmaster del ’55, come quella di
“Ol’ 55”, per via dei quattro fori
 sulla fiancata. I versi finali parlano
di un amico di Waits, Kipper, che
stava su una sedia a rotelle con la poliomielite.

Somewhere

(Blue Valentine, 1978)
Ci si erano messi due dei più grandi del settore – Leonard Bernstein e Stephen Sondheim – per scrivere “Somewhere”, la canzone di West side story. Gli venne bellissima e inevitabilmente leziosa e fredda. Molti anni dopo, passò di lì Tom Waits, mantenne l’arrangiamento orchestrale senza fare troppo il punk, e la cantò come veniva a lui, come se volesse mantenersi fedele all’originale. Bastò a farne tutta un’altra formidabile cosa.

Christmas card from a hooker in Minneapolis

(Blue Valentine, 1978)
“Caro Charlie, sono incinta e abito sulla Nona strada, sopra una libreria scalcagnata dietro Euclide avenue. Non mi faccio più, e ho smesso di bere. Il mio uomo suona il trombone e ha un lavoro. Dice che mi ama, anche se il bambino non è suo. Dice che lo amerà come se fosse suo, e mi ha regalato un anello che era di sua madre. Sai che ogni sabato sera mi porta a ballare? Ti penso ogni volta che passo vicino a un benzinaio, Charlie, per via di tutta quella brillantina che ti mettevi in testa. E ho ancora quel disco di Anthony and the Imperials, anche se mi hanno rubato il giradischi, figurati. Sai, ero quasi impazzita dopo la cosa di Mario, e sono tornata a Omaha dai miei. Ma tutti quelli che conoscevo erano morti o in prigione, e allora me ne sono tornata a Minneapolis. Credo che stavolta ci resto. Sai una cosa? Credo di essere felice per la prima volta dopo l’incidente. E vorrei avere tutti i soldi che abbiamo speso per farci. Mi comprerei un intero garage e mi terrei tutte le macchine per guidarne una diversa ogni giorno, a seconda di come mi gira.
Caro Charlie, porca puttana, se vuoi saperla tutta non c’è nessun marito e non suona nessun trombone. Mi servono dei soldi per pagare l’avvocato. E Charlie, forse esco in permesso per San Valentino”.

Ruby’s arms

(Heartattack and vine, 1980)
Un arrangiamento da Esercito della Salvezza, a dire dello stesso Waits, e un racconto che somiglia a quello di “Tanta voglia di lei” dei Pooh, solo che qui la “strana amica di una sera” sta ancora dormendo, mentre lui se ne esce in punta di piedi nel mattino con il fagotto delle sue cose.

Time
(Rain dogs, 1985)
“E se sei a est di Saint Louis,e il vento fa un comizio, e la pioggia sta applaudendo…”.
“E le cose che non ricordi dicono alle cose che non puoi dimenticare, che in ogni sogno la storia mette un santo…”.

Innocent when you dream
(Franks wild years, 1987)
A un certo punto l’Audi gli chiese di usarla per uno spot in Spagna. Lui rifiutò – come altre decine di volte in casi simili – e quelli usarono una melodia molto simile. Waits fece causa e vinse, come le altre volte che un imitatore era stato assoldato per cantare le sue canzoni in spot pubblicitari.

Soldier’s things
(Swordfishtrombones, 1983)
Didascalia di un banco dei pegni e delle cose che i marinai vi hanno lasciato, le cose che sono la loro vita. “Tinker, tailor” è la citazione di una specie di ambarabà ciccì coccò anglosassone.

Barcarolle

(Alice, 2002)
Robert Wilson è uno dei più importanti autori teatrali contemporanei. Nel 1992 mise in scena Alice, tratta dal romanzo di Lewis Carroll, con le musiche di Tom Waits. Anni dopo i due collaborarono anche all’adattamento di Woyzeck di Georg Büchner (prima, avevano allestito The black rider). Le due raccolte di canzoni uscirono contemporaneamente solo nel 2002. Ma già nel 1992 a Tom Waits avevano rubato la macchina con dentro le registrazioni di Alice, che quindi circolavano in bootleg da allora.