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  • Sabato 23 novembre 2019

Forse nascerà una nuova nazione

A Bougainville è iniziato il referendum per chiedere l'indipendenza dalla Papua Nuova Guinea, vent'anni dopo una sanguinosa guerra civile

Il capoluogo di Bougainville, Buka. (NESS KERTON / AFP)
Il capoluogo di Bougainville, Buka. (NESS KERTON / AFP)

A partire da sabato 23 novembre e fino al 7 dicembre gli abitanti di Bougainville, un’isola della Papua Nuova Guinea grande all’incirca come Cipro, decideranno se chiedere ufficialmente l’indipendenza, con un referendum i cui preparativi sono durati quasi vent’anni e deciso dopo una sanguinosa guerra civile in cui morirono migliaia di persone. Ci si aspetta che i sì all’indipendenza vincano con oltre il 90 per cento dei voti: ma il risultato non sarà legalmente vincolante, e la decisione ultima spetterà al Parlamento della Papua Nuova Guinea.

Con l’indipendenza, Bougainville diventerebbe lo stato più giovane del mondo, e il primo a formarsi ufficialmente dopo il Sud Sudan nel 2011: ma in tanti credono che potrebbero volerci molti anni, forse addirittura venti, perché si formi effettivamente la nazione di Bougainville.

Una macchina della polizia neozelandese nella capitale Buka. (NESS KERTON / AFP)

Bougainville è in realtà un gruppo di isole: quella principale è molto più grande delle altre e prese il nome dal primo europeo che vi sbarcò, l’esploratore francese Louis de Bougainville nel 1768. Ha circa 250mila abitanti, perlopiù nativi del posto visto che la maggior parte degli immigrati lasciò l’isola durante la guerra. Nel corso del Novecento, Bougainville fu prima occupata dai tedeschi, poi dall’Australia, poi dai giapponesi e poi di nuovo dall’Australia, dopo la Seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni Quaranta entrò infine a far parte del Territorio della Papua Nuova Guinea, che ottenne l’indipendenza dall’Australia nel 1975.

Al centro dell’isola di Bougainville c’è la miniera di rame di Panguna, aperta all’inizio degli anni Settanta e diventata negli anni Ottanta la più grande miniera a cielo aperto del mondo. La miniera diventò il centro dell’economia non solo di Bougainville ma dell’intera Papua Nuova Guinea, visto che il rame che produceva arrivò a rappresentare quasi la metà delle esportazioni del paese. Parzialmente di proprietà statale, diede lavoro a decine di migliaia di locali ma attirò anche migliaia di minatori dalle isole vicine e dall’Australia, cosa che destabilizzò la vita sull’isola e provocò ostilità e malcontenti tra la popolazione nativa.

Un insediamento sull’isola di Bougainville nel 1914. (Berliner Verlag/Archiv/picture-alliance/dpa/AP Images)

Nacque così un movimento contrario alla miniera, sia per l’afflusso di lavoratori stranieri sia per ragioni ambientali: la Papua Nuova Guinea stanziò l’esercito, mentre i ribelli si organizzarono nell’Esercito Rivoluzionario di Bougainville (BRA). Il conflitto durò dieci anni, durante i quali ci fu un periodo di autogoverno del BRA, che però perse in fretta il controllo delle varie milizie locali, organizzate su base tribale: il conflitto prese quindi la piega di una guerra civile, finché l’esercito della Papua Nuova Guinea approfittò delle divisioni per riprendere il controllo dell’isola. Le ostilità tra l’esercito e il BRA proseguirono per anni, fino al 1997, quando le parti si resero conto che la guerra non stava andando bene per nessuno. Circa 20.000 persone, su una popolazione di 200.000 abitanti, morirono nel conflitto, tra i più sanguinosi della storia moderna dell’Oceania.

Dopo anni di trattative mediate dalla Nuova Zelanda fu firmato un accordo di pace nel 2001, che stabiliva che si sarebbe dovuto tenere un referendum sull’indipendenza tra i 10 e i 15 anni dopo l’elezione del primo governo autonomo di Bougainville, che avvenne nel 2005. La scadenza del 2020 è quindi stata rispettata, nonostante i veri preparativi per organizzare il referendum siano cominciati all’inizio del 2019 e la data sia già stata posticipata due volte. Mauricio Claudio, a capo della commissione organizzatrice, ha spiegato al Guardian che ci sono stati molti problemi legati alle «comunicazioni, alle infrastrutture, al meteo ostile e all’energia inaffidabile».

Un seggio per il referendum a Buka. (NESS KERTON / AFP)

Ciononostante, il referendum è stato organizzato in tempo: gli oltre 205.000 elettori registrati avranno a disposizione 829 seggi, di cui 800 sull’isola, 25 nelle varie province della Papua Nuova Guinea e quattro nelle remote miniere della regione. Ci saranno dei seggi anche alle vicine isole Salomone e in Australia, per permettere di votare a chi vive all’estero.

Il quesito chiederà se gli elettori vogliono più indipendenza dalla Papua Nuova Guinea o l’indipendenza, ma ci sono pochi dubbi su come finirà: da decenni a Bougainville la stragrande maggioranza della popolazione vuole diventare uno stato autonomo, e questa spinta è stata da sempre legata alla miniera di Panguna e alla ricchezza che ha prodotto, che ha convinto gli abitanti dell’isola di potercela fare da soli. L’identità locale si è definita intorno alla miniera, ma anche intorno alle differenze etniche tra gli abitanti di Bougainville e il resto della Papua Nuova Guinea, visibili fin dal colore della pelle (generalmente molto più scura sull’isola).

Dei volantini con le informazioni sul referendum fotografati a Buka. (NESS KERTON / AFP)

La miniera però è chiusa dal 1989, quando cominciò la guerra, e sull’isola non ci sono altri centri produttivi di rilievo, nonostante esistano diverse miniere più piccole. Oggi è uno dei territori più poveri della regione, in cui la maggior parte delle persone vive in case fatiscenti e isolate, in buona parte senza energia elettrica e malcollegate al resto dell’isola.

Satish Chand, docente di economia alla University of New South Wales di Sydney, il governo locale di Bougainville nel 2016 ha raccolto circa 705mila dollari di tasse, e ha ricevuto oltre 12 milioni di dollari dal governo della Papua Nuova Guinea: è quindi molto lontana dall’autonomia finanziaria, e questo è per esempio il motivo per cui Helen Hakena, attivista per i diritti umani di Bougainville, voterà a malincuore contro l’indipendenza, come ha spiegato al Guardian.

Ci sono comunque grandi incertezze su quali saranno le conseguenze del referendum: è chiaro che l’indipendenza non sarà una cosa immediata, ma c’è chi pensa che possano volerci addirittura una decina di anni di trattative tra il governo locale e quello della Papua Nuova Guinea, che probabilmente non renderà facili le cose, preferendo evitare di perdere un territorio e di creare un precedente che potrebbe essere imitato da altre isole. Lo scorso maggio, però, James Marape è diventato il nuovo primo ministro della Papua Nuova Guinea, dopo otto anni di governo di Peter O’Neill: Marape è considerato più aperto sull’indipendenza di Bougainville, nonostante abbia più volte parlato di una «Papua Nuova Guinea unita».

I preparativi per il referendum sono stati accompagnati dalla fine del processo di disarmo, che non era stato concluso davvero dopo il conflitto ed era una condizione fondamentale per considerare sicura la votazione. I capi dei vecchi gruppi ribelli –compresi quelli che non avevano firmato la pace nel 2001 – hanno accettato di riconsegnare le armi e di provare a garantire lo svolgimento pacifico del referendum. Dopo varie proroghe, il disarmo si è concluso a fine settembre, ed è stato seguito da una cerimonia di riconciliazione con la Papua Nuova Guinea