Il governo toccherà le partite IVA, e non tutti sono contenti

Niente estensione della flat tax, e saranno corrette alcune distorsioni create dall'ultima legge di bilancio: secondo alcuni però forse esagerando

(ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)
(ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)

Il governo interverrà sui titolari di partite IVA modificando alcuni dei regimi di tassazione agevolata introdotti dal precedente governo, accusati di aver generato distorsioni e occasioni di elusione fiscale. Il risultato sarà un aumento delle tasse sui lavoratori autonomi e un aumento degli obblighi, in particolare per coloro che dichiarano le cifre più alte.

Le anticipazioni di questo intervento hanno causato immediatamente discussioni e polemiche, con accuse provenienti in particolare dal centrodestra, che ha tra le sue priorità gli interessi dei lavoratori autonomi e dei possessori di partite IVA. Anche il Movimento 5 Stelle ha chiesto di moderare gli interventi su questa categoria e, anche se il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha assicurato che la legge di bilancio «non sarà cambiata», sembra che nei prossimi giorni possa essere introdotta qualche modifica.

Cosa ha deciso il governo?
La legge di bilancio e il decreto fiscale, i due documenti che dovrebbero illustrare nel dettaglio le misure economiche che il governo intende intraprendere per il 2020 e gli anni successivi, non sono stati ancora pubblicati: al momento circolano soltanto delle bozze. Grazie a questi documenti e agli annunci dei ministri sappiamo che l’obiettivo principale del governo è eliminare il cosiddetto “secondo modulo” della flat tax per le partite IVA, che venne approvata un anno fa dal primo governo Conte.

Il “primo modulo” era già entrato in vigore nel 2019 e aveva permesso alle partite IVA che dichiaravano meno di 65 mila euro in un anno di utilizzare un sistema semplificato per pagare le imposte, oltre che un’aliquota molto conveniente, soprattutto per i contribuenti di fascia alta: appena il 15 per cento dell’imponibile (calcolato però con una formula fissa, quindi senza tenere conto delle singole detrazioni, da cui il nome della misura: “regime forfettario”).

Il “secondo modulo” di questa riforma avrebbe esteso a partire dal 2020 il regime forfettario anche a chi avesse dichiarato tra i 65 mila e i 100 mila euro di reddito, con un’aliquota solo leggermente più elevata, pari al 20 per cento. Per fare un confronto, è un’aliquota più bassa di quella pagata da un contribuente ordinario che dichiara in un anno 15 mila euro (che paga un’aliquota marginale al 23 per cento).

Quasi tutti sono concordi che questi due interventi hanno effetti piuttosto distorsivi sul già molto distorto sistema fiscale italiano. Dario Di Vico ha scritto sul Corriere della Sera che questa norma ha prodotto soprattutto «aggiustamenti fiscali di tipo opportunistico»: studi legali associati che si sono divisi in modo da restare sotto i 65 mila euro, ricchi consulenti e professionisti passati dal lavoro dipendente alla partita IVA per risparmiare e così via (già oggi gli autonomi sono i principali responsabili dell’evasione fiscale e, secondo le stime ufficiali, insieme agli imprenditori non pagano il 68 per cento delle imposte sul reddito dovute). Il governo, prosegue Da Vico, «aveva il diritto-dovere di intervenire per risanare queste distorsioni».

Per queste ragioni il secondo governo Conte ha deciso di abolire il “secondo modulo” prima che entri in vigore: non ci sarà nessuna flat tax o regime forfettario per chi dichiara tra i 65 mila e i 100 mila euro. Il ministero dell’Economia, però, ha introdotto anche una serie di cambiamenti per chi guadagna meno di 65 mila euro, e questi interventi sono stati accolti in maniera molto meno entusiasta. Secondo Di Vico, infatti, ne è uscito uno «strumento di punizione» per freelance e partite IVA.

Le modifiche al regime forfettario
Il problema di questo secondo intervento del governo è che è ancora molto fumoso. Non ci sono testi ufficiali che lo descrivono, ma soltanto alcune righe molto generiche nel Documento programmatico di bilancio e qualche dettaglio ulteriore nelle bozze del decreto fiscale che sono state fatte circolare tra quotidiani e professionisti. A quanto pare, l’intervento principale andrà a toccare le partite IVA che dichiarano tra i 30 mila e i 65 mila euro.

Come abbiamo visto, questa categoria gode oggi di una flat tax al 15 per cento e di un regime forfettario per cui l’imponibile (cioè la parte del reddito su cui si calcola quante tasse bisogna pagare) viene automaticamente ridotto di un “forfait”, diverso per ogni categoria, senza bisogno di conservare tutta la documentazione che fino a poco tempo fa era necessario avere per ottenere detrazioni (fatture per acquisti di beni e strumenti, del carburante o dei treni per quei professionisti che devono viaggiare per lavoro e così via).

Il governo ha deciso di non toccare la flat tax, ma ha invece modificato il regime forfettario, facendolo tornare “analitico”. Significa che non ci sarà più una detrazione automatica e che chi vorrà abbattere il proprio imponibile dovrà provare di aver effettuato spese necessarie a compiere il proprio lavoro. Visto che le detrazioni automatiche erano molto generose, probabilmente superiori a quanto spendono in media i professionisti, questo potrebbe tramutarsi per molti in un aumento delle imposte.

In maniera ancora non del tutto chiara, però, il governo sembra aver previsto un’eccezione a questo ritorno al “regime analitico”. Nei documenti che circolano si parla infatti della possibilità di usufruire di un “regime premiale” se si deciderà di passare alla fatturazione elettronica. Cosa significhi “premiale” al momento non è chiarissimo, ma sembra probabile che chi farà questa scelta avrà la possibilità di continuare a utilizzare le detrazioni del regime forfettario (una scelta verso la quale spingono anche forze politiche della maggioranza, come il Movimento 5 Stelle).

Non sembra invece che siano messi in discussione i nuovi “paletti” previsti dal governo per accedere al regime agevolato. Questi nuovi limiti (per esempio il divieto di usufruire di regimi agevolati per chi ha già uno stipendio da dipendente pari o superiore ai 30 mila euro l’anno) sono stati previsti per combattere le distorsioni previste dagli attuali regimi che abbiamo già visto.

Cosa cambierà, in breve
Quello che sembra certo: sarà cancellata l’introduzione della flat tax al 20 per cento e il passaggio al regime forfettario per le partite IVA che guadagnano tra i 65 mila e i 100 mila euro. Non sarà invece cancellata la flat tax al 15 per cento per le partite IVA fino ai 65 mila euro e nemmeno il regime dei minimi per coloro che dichiarano meno di 30 mila euro.

Ci sono dubbi invece su come il governo deciderà di gestire l’attuale regime forfettario per chi dichiara tra i 30 e i 65 mila euro. È possibile che alcuni contribuenti saranno obbligati a passare al regime analitico (dovranno quindi dichiarare le proprie spese, senza poter usufruire di una generosa detrazione automatica), ma sembra che ad alcune condizioni sarà possibile rimanere nel forfettario (per esempio passando alla fatturazione elettronica). Infine saranno introdotte nuove limitazioni per avere accesso a questi regimi agevolati, per esempio nuove barriere per chi ha già uno stipendio da dipendente. Il regime dei minimi (valido per chi dichiara meno di 30 mila euro) non dovrebbe invece essere cambiato, a parte per l’introduzione di questi nuovi criteri per potervi accedere.