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  • Domenica 20 ottobre 2019

Com’è che Giuliani è finito così

Da ex rispettatissimo sindaco di New York è diventato una specie di faccendiere di Trump, per lo stupore di molti

(Drew Angerer/Getty Images)
(Drew Angerer/Getty Images)

Una delle figure centrali del nuovo scandalo che ha interessato il presidente americano Donald Trump, e che ha convinto i Democratici ad avviare una procedura di impeachment nei suoi confronti, è noto da tempo ai giornalisti e al pubblico americano: è Rudolph “Rudy” Giuliani, popolare e rispettato sindaco di New York fra il 1994 e il 2001.

Nei primi anni Duemila Giuliani era uno dei leader più riconoscibili del Partito Repubblicano: era soprannominato «il sindaco d’America» per come aveva gestito i giorni dell’attentato dell’11 settembre, e si candidò da favorito alle primarie del partito per la presidenza degli Stati Uniti. Quindici anni dopo, Giuliani è diventato l’avvocato personale di Trump – o meglio, «la sua spalla, il suo apologeta e difensore dell’indifendibile», come lo ha definito qualcuno – ed è accusato da più parti di aver condotto una campagna potenzialmente illegale per trovare informazioni imbarazzanti su Joe Biden, possibile avversario di Trump nel 2020. Cos’è successo nel frattempo? Com’è passato Giuliani da essere uno stimato e rispettato politico a fare quello che va a difendere Trump in televisione, spesso in modo abbastanza improbabile?

Giuliani è nato a New York, nel distretto di Brooklyn, da genitori di origini italiane. Dopo essersi laureato in legge lavorò nell’ufficio di un giudice di New York e nel 1975, a 31 anni, diventò un collaboratore del vice-procuratore generale degli Stati Uniti. Negli anni fece decisamente carriera: nel 1981 il neoeletto presidente Ronald Reagan lo nominò associated attorney general, la terza carica più alta del Dipartimento della Giustizia, e quattro anni più tardi lo mise a capo di uno dei distretti della procura di New York. Nel 1989, concluso il suo mandato, Giuliani decise di entrare in politica e si candidò a sindaco di New York: perse per circa 50mila voti contro il Democratico David Dinkins, che però quattro anni dopo batté con un margine simile. Nel 1997 fu rieletto con un margine di 12 punti sulla sua sfidante Democratica.

Giuliani divenne famoso in tutto il mondo dopo gli attentati dell’11 settembre. «Nei giorni e nelle settimane successive riuscì a proiettare sulla città una calma paterna che sembrava inversamente proporzionale al caos attorno a lui», ha scritto per il sito di CNN John Philp, che nel 2003 diresse un documentario su Giuliani. «”Ricostruiremo e saremo più forti di prima”, disse Giuliani. Persino i suoi principali avversari gli credettero, e Oprah Winfrey gli appiccicò addosso un soprannome che sopravvive ancora oggi: sindaco d’America». TIME lo celebrò come la Persona dell’Anno del 2001. Concluso il suo mandato, Giuliani si mise a fare discorsi e pubblicò un libro autobiografico, Leadership, con una grossa casa editrice americana.

In realtà gli ultimi mesi del suo mandato nascosero molte controversie che lo avevano riguardato, e alcuni limiti personali che sarebbero emersi di nuovo nel corso della sua carriera. Giuliani, per esempio, puntò moltissimo sulla sicurezza della città applicando controlli e misure restrittive soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione, fra cui minoranze etniche, tossicodipendenti e senzatetto. Difese più volte le brutalità commesse dalla polizia di New York, che negli anni successivi si sarebbe rivelata piena di problemi.

Più di recente è emerso che Giuliani non aveva organizzato alcun piano di emergenza per attacchi terroristici dopo il primo attentato al World Trade Center del 1993. Nelle prime ore successive a quello del 2001, inoltre, le operazioni di soccorso furono gestite in maniera caotica perché il centro cittadino per la gestione emergenze aveva la sede proprio nel World Trade Center, proprio per volontà di Giuliani nonostante i molti pareri contrari. Giuliani era anche noto per i suoi inciampi, come la volta in cui insultò un abitante di New York durante il suo programma radiofonico settimanale, o come quando annunciò in una conferenza stampa che aveva divorziato da sua moglie, lasciandosi sfuggire che non glielo aveva ancora detto.

Eppure, negli anni immediatamente successivi al suo mandato da sindaco mise in piedi una società di consulenza ed espanse la sua rete di contatti e le sue apparizioni pubbliche, tanto da candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti nel 2007 con i Repubblicani. Dopo diversi mesi in cima ai sondaggi, riemersero alcuni piccoli scandali legati sia a quando era sindaco sia alla sua società, Giuliani li gestì malissimo e la sua campagna si concluse nel gennaio del 2008 con una serie di pesanti sconfitte nei primi stati delle primarie, e una spesa totale di 60 milioni di dollari. La pochezza della sua campagna, che ruotava quasi tutta intorno alle settimane in cui Giuliani diventò il “sindaco d’America”, fu descritta molto bene da Joe Biden durante un dibattito delle primarie Democratiche, nel 2007: «le frasi di Giuliani sono fatte solo di tre cose: soggetto, verbo, e “11 settembre”».

Per Giuliani iniziò un periodo lontano dal centro del dibattito politico: le sue consulenze e discorsi pubblici diventarono sempre meno remunerativi, e fu così per esempio che andò a monetizzare la sua fama in posti come l’Ucraina (il paese al centro della procedura di impeachment contro Trump, in parte proprio per via di una campagna portata avanti dallo stesso Giuliani). Tornò sulla scena soltanto a partire dal 2016, e solo grazie al suo rapporto strettissimo con Donald Trump.

Trump e Giuliani si erano conosciuti durante il mandato di Giuliani da sindaco: all’epoca Trump era uno spregiudicato imprenditore immobiliare, reso famoso soprattutto dai tabloid della città, mentre Giuliani stava entrando solo in quel momento nei circoli dell’alta società newyorkese. Il rapporto divenne ancora più stretto, e così rimase nel corso degli anni, anche perché i due avevano due case una accanto all’altra a Palm Beach, in Florida. Nel 2000 Trump e Giuliani furono persino protagonisti di uno sketch registrato per un evento locale a New York in cui Giuliani finge di sedurre Trump, vestito da donna.

Quando nel 2016 Trump decise di candidarsi alle primarie dei Repubblicani per la presidenza degli Stati Uniti, mentre la maggior parte dei dirigenti del partito si tenne a debita distanza da lui, Giuliani fu uno dei primi pezzi grossi a schierarsi con Trump. Fu forse l’unico modo con cui poteva recuperare la rilevanza persa dopo il fallimento della sua candidatura a presidente.

In quei mesi diede decine di interviste televisive presentandosi come surrogate di Trump – una figura a metà fra il portavoce e il collaboratore – facendosi notare soprattutto per le palesi notizie false che diffuse nei confronti dell’avversaria di Trump, Hillary Clinton, e per essere stato una delle poche persone a difendere Trump su tutta la linea quando emerse il filmato in cui Trump si vantava di molestare le donne.

Mano a mano Giuliani si avvicinò sempre di più al comitato elettorale di Trump. Chris Christie, ex governatore del New Jersey e uno dei primi Repubblicani moderati ad appoggiare Trump, ha raccontato al New Yorker che nei mesi finali della campagna elettorale del 2016 Giuliani era diventato il First Friend, cioè la persona con cui Trump si confrontava e di cui si fidava di più in assoluto: «si conoscono da una vita, fra di loro c’è enorme rispetto. Rudy era diventato la persona accanto a cui Donald si sedeva in aereo per commentare le voci e le critiche. Era anche la persona più vicina a Donald dal punto di vista generazionale. Rudy diventò una persona su cui Donald poteva fare affidamento, con cui poter chiacchierare e persino divertirsi», ha raccontato Christie.

Giuliani rimase fuori dalla spartizione delle cariche dopo la vittoria nel 2016, ma rimase comunque molto vicino a Trump, tanto da diventare il suo avvocato personale e essere coinvolto nella maggior parte delle controversie che lo riguardavano. Durante l’indagine del procuratore speciale Robert Mueller comparve più volte in tv a difendere Trump, a volte in maniera così lacunosa e contraddittoria che un funzionario della Casa Bianca raccontò a Politico che «per gestire i casini che combina Rudy non basta una sola persona».

Ultimamente Giuliani era stato incaricato da Trump di gestire la campagna di pressione nei confronti dell’Ucraina per ottenere materiale imbarazzante su Joe Biden, possibile avversario di Trump alle elezioni del 2020, il cui figlio Hunter aveva diversi interessi con società ucraine (legittime, secondo giornalisti e funzionari dell’intelligence, che non l’hanno mai accusato di nulla). Qualche giorno fa si è scoperto che la procura federale di New York sta indagando per capire se la campagna portata avanti da Giuliani e alcuni suoi collaboratori – tre dei quali sono stati arrestati per attività varie in Ucraina – abbiano violato le leggi americane.