Google non dovrà estendere il diritto all’oblio fuori dall’Unione Europea

I link rimossi nelle pagine europee dei risultati dei motori di ricerca continueranno a essere visibili nel resto del mondo

(LLUIS GENE/AFP/Getty Images)
(LLUIS GENE/AFP/Getty Images)

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che Google non dovrà applicare il “diritto all’oblio” su scala globale. Il motore di ricerca, come i suoi concorrenti, dovrà comunque continuare a gestire le richieste di chi vuole che i link verso contenuti che li riguardano siano rimossi dalle pagine dei risultati, nel caso in cui ritengano che le informazioni siano “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”. La decisione della Corte era molto attesa e di fatto mantiene invariate le regole applicate negli ultimi cinque anni, e che hanno comunque ricevuto diverse critiche per i rischi che comportano per la libertà di stampa e la libera circolazione delle informazioni online.

In linea generale, il cosiddetto “diritto all’oblio” è la possibilità di rendere meno accessibili (o nascondere) notizie vere, ma che possono danneggiare l’onore e le attività personali e professionali dei singoli, come i suoi precedenti giudiziari. Il principio è che ognuno debba avere la possibilità di non essere per sempre associato a un fatto di cronaca o a qualche precedente con la giustizia, trascorso un congruo periodo di tempo da quelle vicende. L’applicazione del diritto all’oblio si è però rivelata complessa online, dove gli archivi digitali sono molto più semplici da consultare e accessibili rispetto a quelli cartacei tradizionali.

Nel 2014, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha quindi stabilito che ogni cittadino europeo abbia il diritto di chiedere a Google (e agli altri motori di ricerca) di rimuovere dalle pagine dei risultati i link verso gli articoli che li riguardano e che non sono più rilevanti. Quei contenuti non spariscono: non vengono cancellati dai proprietari dei siti, ma diventano molto più difficili da recuperare, se non si possiede un link diretto verso le loro pagine.

La soluzione imposta dalla Corte ha però portato a diverse storture, con soggetti che hanno provato ad approfittarne per nascondere propri precedenti giudiziari, minacciando iniziative legali contro i siti interessati, che spesso per evitare problemi o spese insostenibili hanno tagliato corto, scegliendo la strada dell’autocensura. La sentenza del 2014 ha inoltre imposto a Google di regolarsi autonomamente sulla gestione delle richieste, affidandogli il compito di decidere o meno se accoglierle sulla base di criteri molto vaghi (nel caso di un rifiuto, gli interessati possono tentare una via giudiziaria). La società statunitense in cinque anni ha gestito oltre 850mila richieste di vario tipo in Europa, decidendo nel 45 per cento dei casi di deindicizzare i contenuti. Una volta eliminati, i link restano invisibili nelle versioni europee di Google e a chi accede al motore di ricerca da un paese dell’Unione, mentre restano accessibili all’esterno dell’Unione Europea.

Nel 2015, il garante per la privacy francese (Commission nationale de l’informatique et des libertés, CNIL) aveva imposto a Google di rimuovere i link su scala globale e non solo all’interno dei paesi europei. Google rifiutò l’ordine e la sanzione da 100mila euro inflitta dal CNIL, presentando un ricorso presso la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Nelle sue memorie difensive, Google aveva ricordato che un’applicazione su scala globale del diritto all’oblio avrebbe limitato la libertà di informazione, e favorito il lavoro dei regimi che impongono la loro censura e controllano gli organismi di stampa.

L’opposizione di Google era stata sostenuta da diverse altre aziende tecnologiche come Microsoft e da numerose organizzazioni online, a cominciare da Wikimedia, la fondazione che si occupa di Wikipedia. A inizio anno, uno dei consiglieri della Corte di giustizia aveva segnalato l’inutilità di estendere la deindicizzazione dei link al di fuori dell’Unione Europea, raccomandando che fossero mantenuti i principi già espressi nella sentenza del 2014.

Google ha commentato favorevolmente la nuova decisione della Corte, ricordando che: “Dal 2014 abbiamo lavorato sodo per rispettare il diritto all’oblio in Europa, e per mantenere un equilibrio tra il diritto delle persone ad accedere alle informazioni e il diritto alla privacy. È bello constatare che la Corte sia stata d’accordo con le nostre obiezioni”.