C’è della spazzatura che deve restare dov’è, nei parchi americani

Perché in certi casi anche una lattina di settant'anni può avere un valore archeologico, perlomeno negli Stati Uniti

Il Joshua Tree National Park. (Ric Tapia via AP)
Il Joshua Tree National Park. (Ric Tapia via AP)

Jordan Raphael, biologo in forza al Fire Island National Seashore, un parco naturale di Long Island, a New York, ha raccontato al sito Atlas Obscura un’esperienza curiosa che risale a circa 14 anni fa, quando aveva appena cominciato il suo lavoro. Mentre stava esplorando i boschi dell’isola per studiare la popolazione locale di cervi dalla coda bianca, si imbatté in un cumulo di decine di lattine e contenitori di vetro. Chiedendosi come fosse finita lì tutta quella spazzatura, chiamò il suo capo per avvertirlo. Gli fu detto che la spazzatura doveva rimanere lì: era un reperto archeologico.

Se i parchi naturali nordamericani sono visitati e tutelati per il loro patrimonio naturalistico, ci sono casi in cui la spazzatura ritrovata è considerata storica, e per questo viene lasciata al suo posto: per quanto possa sembrare strano lasciare della spazzatura in un parco naturale. Bottiglie, vecchi strumenti arrugginiti, contenitori di cibo e altre cianfrusaglie possono infatti essere importanti per gli archeologi per capire le abitudini di chi ha frequentato quei parchi prima di noi. Come ha spiegato Rebecca O’Sullivan, conduttrice di un podcast di archeologia chiamato The Materialists, «non c’è niente che gli archeologi amino più della spazzatura», perché «è una delle cose che ci rende umani».

La spazzatura, infatti, ci dice delle cose su cosa usavano le persone, su come lo usavano, sul valore che gli davano: per questo, esistono leggi apposite negli Stati Uniti che proteggono le cose vecchie ritrovate nei parchi nazionali: se hanno più di 100 anni, sono considerate un reperto archeologico. In certi casi lo sono perfino gli oggetti che hanno solo 50 anni, se sono legati a una persona o a un evento importante. Queste leggi sono strettamente legate al contesto degli Stati Uniti: un paese abitato fino al Cinquecento da popolazioni indigene di cui sono arrivate fino a noi poche testimonianze archeologiche, e i cui edifici più vecchi di 400 anni si contano sulle dita delle mani, o quasi. L’asticella per cominciare a parlare di reperti archeologici è inevitabilmente più bassa rispetto all’Europa, in questo contesto.

Raphael ha spiegato che le lattine di Fire Island spiegano come funzionavano le cose prima che fosse istituito il parco nazionale, negli anni Sessanta: nella zona si stavano sviluppando le comunità locali, ma mancavano i servizi e non esisteva un sistema di raccolta dei rifiuti, che per questo venivano ammassati dagli abitanti e gettati nei boschi. Ma ci sono lattine e rottami per terra anche al più famoso Joshua Tree National Park, in California, i cui antichi ranch attraggono vandali fin dall’Ottocento e che è stato a lungo un luogo frequentato da minatori e campeggiatori abusivi.

Ma per reperti di questo tipo, quello che sta intorno al singolo oggetto è importante tanto quanto, se non di più, l’oggetto stesso, spiega Atlas Obscura. E l’idea che rifiuti di poche decine d’anni siano dei reperti storici non è molto condivisa: per questo, visitatori benintenzionati dei parchi nazionali raccolgono di continuo la “spazzatura archeologica”, per buttarla altrove e pensando di fare una buona azione. Una volta spostata dal posto in cui si trova, una lattina degli anni Venti diventa irrilevante dal punto di vista archeologico. Per questo, alcuni parchi hanno provato a disseminare qua e là dei cartelli per dare istruzioni su quale spazzatura vada lasciata dov’è, e quale possa invece essere raccolta. In certi casi, i parchi hanno cercato di impedire del tutto ai visitatori di accedere a luoghi in cui ci sono rottami e rifiuti particolarmente importanti, deviando i sentieri suggeriti.

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