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  • Lunedì 2 settembre 2019

«Mi informo su Instagram»

Cosa dovrebbe esserci in un giornale per la generazione Z, quella dei veri giovani d'oggi che qualcuno ancora confonde con i millennial

Un gruppo di adolescenti, membri della cosiddetta "generazione Z", si scatta una fotografia a New York, il 1 dicembre 2017 (Drew Angerer/Getty Images)
Un gruppo di adolescenti, membri della cosiddetta "generazione Z", si scatta una fotografia a New York, il 1 dicembre 2017 (Drew Angerer/Getty Images)

«Mi informo su Instagram», ha detto qualcuno in un gruppo di studenti delle scuole superiori a due giornalisti del Post che gli stavano parlando di come si verifica l’attendibilità di una notizia qualche mese fa. Ci sono certe cose che accomunano gli adolescenti di tutte le epoche, ma di certo il rapporto con le tecnologie digitali di quelli di oggi, gli appartenenti alla cosiddetta “generazione Z”, gli unici davvero considerabili nativi digitali, è una novità. Mentre in Italia i giornali tradizionali fanno confusione tra i “millennial” e quelli che sono venuti dopo, si può provare a fare qualche previsione su come il rapporto dei più giovani con i mezzi di comunicazione digitale cambierà l’informazione e immaginare un giornale per la generazione Z, ora che i suoi membri più vecchi iniziano (hanno 21-22 anni) a essere adulti.

Cosa interessa alla generazione Z
Tracciare linee tra una generazione e l’altra è complicato, un po’ arbitrario e inevitabilmente impreciso nonostante chi si occupi di marketing e di comunicazione – soprattutto negli Stati Uniti, il paese che per primo ha cominciato a studiare le tendenze generazionali – cerchi sempre di farlo per semplificare il proprio lavoro e capire come farlo meglio. Della generazione Z non si conoscono ancora bene le attitudini e le preferenze generali, ma sono già stati realizzati i primi studi e riflessioni sul tema: nell’ultimo anno ne è stata pubblicata una della società di consulenza McKinsey basata sui giovani brasiliani ad esempio, una del gruppo di ricerca sul marketing della rivista Atlantic su quelli americani e, ancora prima, una molto dettagliata di Ipsos MORI, una società che si occupa di sondaggi e ricerche di mercato, su quelli britannici.

Due cose emergono da questi studi e possono aiutare a capire i temi a cui la generazione Z tiene maggiormente: più delle generazioni precedenti i giovani d’oggi appaiono pragmatici e fiduciosi nel dialogo (piuttosto che negli atti di ribellione) e, se danno molta importanza alle identità individuali, le vedono come fluide. Ad esempio, secondo lo studio di Ipsos, solo il 66 per cento di loro definisce il proprio orientamento sessuale come unicamente eterosessuale (contro il 71 per cento dei millennial e l’85 per cento della generazione X): per questo sono più interessati alle mode neutrali dal punto di vista del genere e sono molto più aperti nei confronti delle richieste di diritti delle minoranze.

Questa nuova tendenza si rispecchia molto nelle scelte di alcune case di moda, ad esempio le molte che negli ultimi anni hanno mescolato elementi del cosiddetto streetwear, tipicamente unisex e di forme larghe: sneakers e tute sono arrivate sulle passerelle di alta moda e molti stilisti hanno reinterpretato classici dello stile sportivo. Ad esempio Raf Simon, ex direttore creativo di Christian Dior e Calvin Klein, ha creato un suo modello di OZWEEGO di adidas, ispirate a quello originale del 1998.

La sfilata di adidas alla “AYFW – About You Fashion Week” a Berlino, il 6 luglio 2019 (Andreas Rentz/Getty Images for AYFW )

Un altro tema che sta molto a cuore ai più giovani, come si è visto da tante manifestazioni dell’ultimo anno, è l’ambiente. I dati non dicono che nella generazione Z ci siano più attivisti rispetto alle generazioni precedenti, ma la generazione di Greta Thunberg (e, se prendiamo una definizione lasca, di Boyan Slat, il 25enne ideatore di The Ocean Cleanup, l’impresa per tentare di ripulire l’oceano Pacifico dalla plastica) è sicuramente più attenta ai rischi legati al cambiamento climatico. Moltissimi ragazzi in tutto il mondo hanno partecipato alle manifestazioni dei Fridays For Future di Thunberg e tanti sono presenti ad altre iniziative del genere, come le corse Run For The Oceans con cui sono stati raccolti fondi per iniziative per la difesa degli oceani e la sensibilizzazione sul consumo di plastica monouso.

Secondo l’ultimo Harvard IOP Youth Poll, un grande sondaggio sulle opinioni politiche dei giovani americani fatto dall’Università di Harvard, più del 70 per cento della generazione Z pensa che il cambiamento climatico sia un problema; il 66 per cento crede che sia «una crisi che richiede azioni urgenti», non solo a livello internazionale, ma anche locale. Nel 2015 solo il 32 per cento dei giovani intervistati era d’accordo con la frase «il governo dovrebbe fare di più contro il cambiamento climatico anche a spese della crescita economica» e il 23 per cento era contrario; nel sondaggio del 2019 invece il 46 per cento era d’accordo, solo il 16 per cento contrario.

Infine una cosa che sicuramente interessa la generazione Z sono le serie tv che si guardano sulle piattaforme di streaming: il 76 per cento dei 16-24enni è abbonato a un servizio come Netflix secondo i dati di Ipsos. Per questo una sezione dei giornali che sicuramente deve cambiare – dove non è già successo – è quella relativa agli spettacoli e alla programmazione televisiva: conta quasi solo quello che si guarda in streaming.

Un giornale online
Per quanto riguarda i mezzi di informazione gli studi confermano prima di tutto una cosa che sappiamo già da tempo: le nuove generazioni leggono molto meno i giornali di carta. Secondo un grosso sondaggio fatto nel 2017 nel Regno Unito da Ofcom, l’autorità regolatrice per le società di comunicazione, solo il 54 per cento degli adulti della generazione Z legge un quotidiano o una rivista di carta almeno una volta al mese, contro il 64 per cento dei millennial e il 70 per cento della generazione X – i genitori della generazione Z. Questo non significa però che i più giovani non cerchino informazione: l’82 per cento dei membri della generazione Z e l’84 per cento dei millennial consulta siti di notizie almeno una volta al mese. Il 64 per cento dei 18-24enni usa internet come principale fonte di informazione e il 33 per cento usa i social network «specificamente per informarsi».

Un giornale pensato per la generazione Z dunque deve essere online e accessibile dai social network attraverso cui i giovani accedono a internet: principalmente Facebook (nonostante il suo calo di popolarità è ancora molto frequentato), Instagram e Snapchat. Negli ultimi anni alcune nuove “riviste” digitali rivolte ai più giovani (in Italia Freeda e Lisa del gruppo Condé Nast ma anche Venti, il nuovo canale della youtuber Sofia Viscardi) hanno cominciato a usare i social non solo come principale accesso ai propri contenuti, ma proprio come luogo attraverso cui diffonderli: non hanno un sito con una propria url, esistono solo nelle loro pagine sui social.

Forse i gruppi chiusi
Un’altra tendenza che potrebbe svilupparsi – come è ancora da vedere – è l’uso di strumenti come i gruppi chiusi su Facebook per costruire un legame con i propri lettori e, in un certo senso, organizzarli meglio come comunità. È una cosa di cui tra gli addetti ai lavori del mondo dei media si parla da qualche anno e che potrebbe essere particolarmente interessante per la generazione Z. Tra gli altri lo dice GenExit, un rapporto poco convenzionale curato dalla società di “strategia culturale” americano-brasiliana BOX1824 (c’entra con chi ha inventato il concetto di normcore), che contrappone millennial e generazione Z e tra le altre cose dice:

Il vero problema non è mai stato la capacità di farsi vedere dagli altri. È la capacità di connettersi. Siamo inondati di opinioni sul rinnovato desiderio di comunità che c’è in giro. Alcuni la vedono come una cosa positiva. Ma bisogna dirlo: se vogliamo qualcosa è perché non ce l’abbiamo.

Il gruppo Condé Nast usa i gruppi chiusi dal 2017, quando ne creò uno legato alla rivista di viaggi Traveler, solo per il pubblico femminile: più di 50mila persone nel tempo sono entrate nel gruppo (per farlo le utenti devono spiegare perché sono interessate a farne parte e dire di averne accettato le linee guida) e dato che le loro interazioni con i contenuti proposti sono particolarmente vivaci, altre sette testate di Condé Nast hanno creato gruppi simili, tra cui il New Yorker, Vanity Fair e Teen Vogue. Lo stesso Facebook ha deciso di assecondare questa tendenza a privilegiare i gruppi chiusi. Per le testate è conveniente anche per ragioni pubblicitarie: dividendo il proprio pubblico sulla base dei suoi diversi interessi è possibile anche direzionare meglio la pubblicità, da cui la maggior parte dei giornali digitali ancora dipende.

Infine, anche se è vero che la generazione Z, ancora più dei millennial, ha molta familiarità con i brevi contenuti video diffusi su internet non significa che abbia capacità di attenzione minore: non ci sono prove credibili che i più giovani non riescano a concentrarsi e prestare attenzione tanto quanto le generazioni precedenti. Quindi un giornale pensato per un pubblico giovane non deve per forza pubblicare solo testi e video brevi, o almeno, non più degli altri giornali.

Una manifestazione di adolescenti per il clima ad Aquisgrana, in Germania, il 21 giugno 2019 (Sascha Schuermann/Getty Images)

La questione delle notizie false
Una cosa che distingue la generazione Z dai millennial è il tipo di siti di notizie che preferiscono e la fiducia che ripongono in quello che leggono. Sempre secondo quel grosso sondaggio fatto nel Regno Unito nel 2017, solo la metà dei ragazzi con età comprese tra i 12 e i 15 anni pensava che le notizie trovate online fossero vere o parzialmente vere: quando la stessa domanda era stata fatta nel 2008, ai 12-15enni di allora, l’87 per cento aveva detto di fidarsi. Lo stesso atteggiamento si vede anche nei rapporti con i social network. Forse per questo la generazione Z sembra fidarsi di più delle testate più affermate: secondo la ricerca dell’Atlantic Re:think, ha un’opinione migliore dei giornali fondati prima del 2000 che di quelli con una storia più recente. Insomma, i siti dei quotidiani tradizionali o comunque legati a essi potrebbero essere favoriti.

Secondo l’analisi di Ipsos MORI, da un lato la generazione Z conosce bene il problema delle notizie false ed è scettica nei confronti delle notizie trovate online, dall’altro usa principalmente internet per informarsi. Per questo come già fanno i millennial, e forse di più, i membri della generazione Z saranno lettori che triangoleranno le notizie, cercando conferme tra diverse fonti online e ciò che dicono gli altri esponenti della propria “bolla”. Per questo per un giornale che vuole proporsi al pubblico più giovane potrebbe essere importante dare risalto alla verifica delle notizie e allo svelamento delle bufale. Anche perché per quanto i giovani possano essere abituati a triangolare le notizie, non è detto che riescano a farlo bene soprattutto quando entrano in gioco i pregiudizi personali. Per questo creare un ambiente mediatico accogliente e coinvolgente ma anche affidabile deve essere un requisito importante per qualunque giornale voglia rivolgersi alla generazione Z.

Questo articolo è sponsorizzato da adidas per il lancio delle nuove OZWEEGO, che riprendono le forme di quelle del 1998.