Com’è la storia della regola dei due mandati

Se ne riparla ora, di nuovo, perché se si andasse a votare molti noti e influenti esponenti del Movimento 5 Stelle non sarebbero candidabili

Luigi Di Maio (ANSA / CIRO FUSCO)
Luigi Di Maio (ANSA / CIRO FUSCO)

Fin dai suoi primi anni, quando ancora non era in Parlamento, il Movimento 5 Stelle diceva di vedere la politica come un’attività “a termine”. Una delle sue regole più vecchie e note riguarda il cosiddetto «vincolo dei due mandati», che impone agli eletti del partito di non ricandidarsi al termine del secondo mandato di una qualunque carica elettiva.

Problema: in conseguenza della crisi di governo, nei prossimi mesi si potrebbe dover tornare a votare per eleggere un nuovo Parlamento. E secondo la regola dei due mandati, quasi tutti i più importanti esponenti del Movimento, compreso il suo capo politico Luigi Di Maio, non potrebbero più candidarsi, perché sono già stati parlamentari per due legislature, cioè per due mandati. È il motivo per cui si sta parlando di una possibile deroga, anche se in passato sia Di Maio che Beppe Grillo avevano detto in modo categorico che non ci sarebbero mai state deroghe su questo punto.

La regola
Il vincolo dei due mandati è presente nel Codice etico del M5S, che obbliga i candidati «a non presentare la propria candidatura per una carica elettiva, qualora siano già stati esperiti dall’iscritto n. 2 mandati elettivi così come definiti in apposito Regolamento emanato ai sensi dell’art. 9 comma b) dello Statuto».

Il regolamento dice che tra i «requisiti essenziali e inderogabili per candidarsi sotto il simbolo del MoVimento 5 Stelle in qualsiasi tipo di elezione, a livello comunale, delle province autonome, regionale, nazionale ed europea» è obbligatorio «non aver già svolto, anche per periodi parziali, due mandati elettivi ad una o più delle cariche indicate al punto precedente». Così come tra le altre cose è obbligatorio «non essere iscritti ad altri partiti» o «non essere iscritti alla massoneria».

Nel 2017 Grillo, fondatore e “padre nobile” del Movimento, scrisse, a proposito di questa regola, da lui definita «fondante»:

Il MoVimento 5 Stelle è una comunità di cittadini fondata su delle regole. Sono poche, chiare e semplici. Proprio per questo inamovibili. Una delle regole fondanti è quella dei due mandati elettivi a qualunque livello. Consigliere comunale, sindaco, consigliere regionale, parlamentare nazionale ed europeo. Questa regola non si cambia né esisteranno mai deroghe ad essa. “Ogni volta che deroghi ad una regola praticamente la cancelli” diceva Gianroberto [Casaleggio].

Il 31 dicembre 2018 Di Maio scrisse in un tweet che la regola dei due mandati era certa «come l’alternanza delle stagioni».

La prima deroga
A fine luglio, Di Maio ha proposto una deroga al vincolo dei due mandati e ha introdotto l’idea del «mandato zero» nel caso di eletti in consigli comunali, con diverse eccezioni a seconda dei diversi percorsi politici di ogni eletto. La deroga del mandato zero – «un mandato «che non si conta nella regola dei due mandati» – è stata poi approvata pochi giorni dopo sulla piattaforma Rousseau, il sito internet su cui si svolge gran parte dell’attività degli iscritti al Movimento.

La seconda deroga?
Come detto, il «mandato zero» è però un jolly che possono giocarsi solo i consiglieri comunali, e nemmeno tutti. Con la possibilità di elezioni anticipate, il problema vero del vincolo dei due mandati si pone ora, e riguarda gran parte del cosiddetto “stato maggiore” del Movimento, compresi tanti suoi famosi parlamentari e diversi suoi ministri.

Ecco allora che da quando si parla di crisi, e quindi di possibili elezioni imminenti, si parla di possibili deroghe al vincolo dei due mandati anche per i parlamentari. In particolare, sono stati molto ripresi dai giornali i passaggi in cui Grillo, in un post pubblicato ieri sul suo blog, ha parlato della necessità di «fare dei cambiamenti» e di non confondere «coerenza con rigidità». Grillo poi ha scritto: «Io non vorrei che la gente abbia confuso la biodegradabilità con l’essere dei kamikaze». Come spiega AGI,  essere biodegradabile «era l’aggettivo usato dall’allora garante nel marzo 2018 per descrivere la differenza del Movimento dalla Lega, con allusione al vincolo del secondo mandato».

Insomma, quella di Grillo sembra essere una prima apertura a eventuali revisioni, deroghe ed eccezioni del vincolo dei due mandati. I giornali scrivono che a favore di una revisione di questo tipo ci sarebbero anche Di Maio, l’influente socio di Rousseau, Max Bugani, e Alessandro Di Battista, che nella ultima elezione non si è candidato e quindi è ancora a un solo mandato. Già a giugno Di Battista aveva detto che se il governo fosse caduto durante l’estate lui avrebbe chiesto di non considerare questa legislatura come un vero mandato. Di Battista è quindi tra quelli che credono che se questa legislatura dovesse concludersi entro l’anno non sarebbe una piena legislatura – sarebbe anzi la più breve della storia repubblicana – e quindi non andrebbe contata.

Sempre secondo i giornali, tra chi si oppone a una deroga di questo tipo ci sarebbe invece Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau e uno dei più importanti dirigenti del Movimento 5 Stelle. Di recente sul tema si è esposto anche Riccardo Fraccaro, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, che è già al secondo mandato e ha detto: «Nel M5S c’è la regola dei due mandati, per me ci sono due mandati».

Chi è già al secondo mandato
Ricapitolando: sebbene se ne parli, all’interno del M5S non esiste per ora una regola alla deroga dei due mandati per i senatori o i deputati Se si votasse domani, prima di un’eventuale deroga decisa e magari approvata da Rousseau, non potrebbero candidarsi quasi 100 parlamentari, tra cui Di Maio, il presidente della Camera Roberto Fico, e i ministri Alfonso Bonafede, Barbara Lezzi, Danilo Toninelli e Giulia Grillo. Non potrebbe ricandidarsi nemmeno parlamentari come Paola Taverna, Carlo Sibilia, Francesco d’Uva, Giulia Sarti e Stefano Patuanelli.