• Mondo
  • Venerdì 19 luglio 2019

L’ultima rivoluzione armata nella storia dell’America Latina

Quarant'anni fa i "sandinisti" entrarono nella capitale del Nicaragua, mettendo fine a una dittatura durata oltre 40 anni

Un 87enne della prima ribellione di Sandino, insieme a un 18enne della rivoluzione sandinista e Leon, Nicaragua, 19 giugno 1979 (AP Photo/Richard Cross)
Un 87enne della prima ribellione di Sandino, insieme a un 18enne della rivoluzione sandinista e Leon, Nicaragua, 19 giugno 1979 (AP Photo/Richard Cross)

Il 19 luglio 1979, 40 anni fa, le forze rivoluzionarie nicaraguensi entrarono a Managua, la capitale del Nicaragua, segnando la fine politica di una famiglia che governava in maniera dittatoriale il paese dal 1937. L’ultimo dittatore, che aveva lasciato il Nicaragua due giorni prima, si chiamava Anastasio Somoza Debayle; era il figlio minore di Anastasio Somoza García, comandante della Guardia Nazionale, l’esercito nicaraguense, che 45 anni prima aveva ordinato l’uccisione del leader rivoluzionario più famoso della storia del Nicaragua e uno dei più noti di tutte le Americhe, al quale si erano ispirati anche Fidel Castro e Che Guevara: Augusto Sandino, che durante gli anni Venti e Trenta aveva lottato a lungo contro i conservatori e contro le ingerenze statunitensi in Nicaragua.

La rivoluzione che iniziò 40 anni fa fu chiamata “rivoluzione sandinista” proprio in onore di Sandino, e durò fino al 1990: fu l’ultima rivoluzione armata nella storia dell’America Latina.

Le idee di Augusto Sandino, mezzo secolo prima
I rivoluzionari sandinisti della fine degli anni Settanta si ispirarono alle idee che mezzo secolo prima avevano giustificato la lotta di Augusto Sandino contro le élite conservatrici del Nicaragua.

Marines statunitensi a Puerto Cabezas, Nicaragua, in attesa di ricevere ordini sulla loro missione: catturare il leader ribelle Augusto Sandino. La foto fu scattata nell’aprile 1931 (AP Photo/George Eugene)

Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Sandino combatté in forme diverse una lotta intensa contro le forze più autoritarie e religiose del paese. All’inizio si incorporò nell’esercito dei liberali, i principali nemici dei conservatori, ma dopo un contestato accordo tra i due schieramenti si rifugiò nella giungla con qualche centinaio di miliziani per continuare la lotta, ispirata da generiche idee marxiste. Tra i suoi obiettivi c’erano anche gli Stati Uniti, accusati di avere appoggiato con denaro e soldati le fazioni nicaraguensi più autoritarie.

Fu in quegli anni che Sandino divenne una specie di mito popolare, grazie anche alla sua capacità di sfruttare l’importanza delle immagini. Fu uno dei primi leader rivoluzionari a creare una simbologia che lo identificasse in maniera inequivocabile: nel suo caso, con un grande cappello da cowboy e alti stivali di cuoio.

Un murale che raffigura l’immagine più nota di Augusto Sandino, a Managua, il 23 luglio 2018 (AFP PHOTO / INTI OCON)

La lotta di Sandino finì nel 1933, quando i liberali rivinsero le elezioni e il governo statunitense ordinò il ritiro delle proprie truppe presenti in Nicaragua. Sandino fece un accordo con il governo nicaraguense, accordo che però non piacque all’esercito. Sandino fu ucciso il 12 febbraio 1934 su ordine del generale Anastasio Somoza García, che due anni dopo avrebbe deposto con un colpo di stato il presidente eletto democraticamente e avrebbe instaurato una dittatura familiare durata fino alla rivoluzione del 1979.

I figli di Somoza contro i “figli di Sandino”
La rivoluzione sandinista ebbe origine all’inizio degli anni Sessanta con la formazione del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), gruppo politico-militare di sinistra che riuscì a imporsi su tutti gli altri movimenti che in quegli anni lottavano contro il regime di Somoza. Come molti altri gruppi armati nella regione, anche l’FSLN diceva di ispirarsi alla Rivoluzione cubana, che all’inizio del 1959 aveva rovesciato il regime autoritario di Fulgencio Batista. L’FSLN dovette però aspettare diversi anni prima di ottenere le sue prime importanti vittorie sul piano militare.

I guerriglieri sandinisti intensificarono le loro azioni militari a partire dal dicembre 1974, quando assaltarono la casa di un ministro nicaraguense che aveva organizzato un ricevimento in onore dell’ambasciatore statunitense in Nicaragua. Durante l’assalto furono presi in ostaggi diversi membri del governo Somoza, che dovette pagare un riscatto di 5 milioni di dollari, pubblicare vari comunicati di propaganda dell’FSLN e scarcerare 18 guerriglieri che erano stati in precedenza arrestati, tra cui uno dei futuri leader del gruppo e attuale presidente del Nicaragua, Daniel Ortega. L’operazione, che per la prima volta dimostrò la vulnerabilità del regime, fu raccontata anche in una sceneggiatura dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez pubblicata con il titolo El asalto (“L’assalto”).

Un altro momento fondamentale per la rivoluzione sandinista arrivò nel 1978, con l’assassinio di Pedro Joaquín Chamorro, direttore del giornale La Prensa, oppositore di Somoza e membro di una delle famiglie più importanti del paese. L’omicidio di Chamorro, ha scritto BBC Mundo, spinse la borghesia nicaraguense a schierarsi contro il presidente Somoza e a lato dell’FSLN. Chamorro comunque non fu l’unico giornalista a essere ucciso in Nicaragua in quegli anni: nel 1979 fu ucciso a Managua anche il giornalista statunitense di ABC News Bill Stewart, la cui storia fu raccontata quattro anni più tardi dal film Sotto tiro diretto da Roger Spottiswoode e interpretato da Nick Nolte, Ed Harris, Gene Hackman e Joanna Cassidy.


Il 17 luglio 1979, quando la presa del potere da parte dei rivoluzionari sembrava quasi fatta, Anastasio Somoza Debayle salì su un aereo e lasciò definitivamente il paese. Quel giorno fu soprannominato «il giorno dell’allegria». I guerriglieri sandinisti entrarono a Managua il 19 luglio, accolti dai festeggiamenti della folla, e buttarono giù la famosa statua del «cavallo dei Somoza» che si trovava all’entrata principale dello Stadio Nazionale, vicino alla parte vecchia della capitale: era la fine politica della dinastia dei Somoza, che aveva governato in maniera autoritaria il Nicaragua per oltre 40 anni.

Il governo rivoluzionario e le elezioni del 1990
La giunta rivoluzionaria, che ottenne immediatamente il riconoscimento della comunità internazionale, governò fino al 1990 con risultati controversi. Se da una parte fu accusata di reprimere le opposizioni, censurare la stampa ed espropriare le proprietà e le imprese della borghesia nicaraguense, dall’altra riuscì a ottenere risultati positivi come la riduzione significativa dell’analfabetismo e il miglioramento della sanità pubblica. Gli anni Ottanta del Nicaragua sono però ricordati nel resto del mondo per lo scandalo Iran-Contra, che colpì l’amministrazione statunitense di Ronald Reagan. In sintesi, Reagan aveva iniziato a finanziare illegalmente i controrivoluzionari nicaraguensi (i cosiddetti “Contra”) che combattevano contro il governo dell’FSLN, usando i soldi ottenuti dalla vendita segreta di armi all’Iran, allora già sotto embargo.

Daniel Ortega e Violeta Barrios de Chamorro a Managua, il 18 aprile del 1990 (AP Photo/Ruben Farina)

Il periodo rivoluzionario si concluse con l’elezione a presidente del Nicaragua di Violeta Chamorro, vedova del giornalista di La Prensa Pedro Joaquín Chamorro, ucciso nel 1978. Chamorro era stata eletta a sorpresa sconfiggendo Daniel Ortega, leader dell’FSLN e attuale presidente del paese, che oggi viene accusato di avere tradito gli ideali rivoluzionari e governare il Nicaragua in maniera autoritaria. Con il passaggio del potere a Chamorro, i “Contra” vennero smobilitati e l’FSLN diventò la prima forza politica nella storia dell’America Latina che, dopo avere ottenuto il potere con la lotta armata, lo cedette tramite elezioni democratiche.